Pubblichiamo il discorso con cui Arianna Ciccone, cofondatrice del Festival Internazionale del Giornalismo, ha introdotto l'evento “Resistere: un monologo di Roberto Saviano” durante la XIX edizione dell'International Journalism Festival.
Resistere.
La prima cosa che mi viene in mente quando sento questa parola è la Resistenza europea contro il nazifascismo che non fu solo resistenza armata.
Ne fecero parte anche le azioni di sabotaggio, le proteste, gli scioperi, lo spionaggio, aiutare gli ebrei a nascondersi o fuggire, la stampa clandestina per contrastare la propaganda nazista.
Resistenza era anche ascoltare di nascosto la BBC, che trasmetteva in varie lingue, anche in italiano.
Radio Londra ebbe un ruolo importante nella resistenza italiana. Il fascismo aveva proibito l’ascolto di radio estere, rendendo di fatto Radio Londra un programma clandestino.
Sono fermamente convinta che la prima forma di resistenza, prima ancora della partecipazione attiva, sia la conoscenza e l’informazione. Più i cittadini sono informati e sentono la responsabilità di approfondire, di essere consapevoli delle cose del mondo, più le democrazie sono forti e possono resistere agli attacchi cui sono sottoposte continuamente.
Chi è al potere dovrebbe avere come obiettivo principale quello di essere al servizio dei cittadini. Non sempre è così.
C’è chi è mosso solo dal desiderio di accumulare potere per sé e per il sistema che lo sostiene, arricchendo entrambi, nell’impunità. In questi casi, per mantenere il potere è fondamentale evitare di rendere conto delle proprie azioni, scelte e parole. Questo tipo di potere ci preferisce ignoranti, inattivi, indifferenti.
L’arretramento democratico è un lento processo di erosione, in cui ogni piccolo passo fa apparire normale ciò che una volta era scandaloso. È un processo particolarmente insidioso perché sovverte gli strumenti della democrazia stessa. Elezioni, parlamenti, tribunali e media diventano armi per abbattere quei sistemi democratici di cui dovrebbero essere pilastri.
Stiamo assistendo a voci critiche, accademici, media, attivisti minacciati, silenziati. Semplici studenti fermati e arrestati per strada, per aver espresso le proprie opinioni.
È l’America di Trump, allineata al regime fascio-mafioso di Putin e che considera l’Europa un nemico.
Tra le armi principali di questo attacco spaventoso alle democrazie liberali: la disinformazione, la propaganda manipolatoria, la creazione di una ‘realtà alternativa’ a cui milioni di persone stanno decidendo di aderire.
Avrete sentito tutti dello scandalo Signal. I principali responsabili della sicurezza nazionale americana hanno condiviso piani di guerra in una chat non governativa, infrangendo non so quante leggi in un colpo solo, e hanno inavvertitamente aggiunto il direttore di The Atlantic, Jeffrey Goldberg, autore poi dello scoop su questa incredibile vicenda.
Goldberg è così finito al centro di una campagna violentissima da parte di Trump e dei suoi, in una paradossale e surreale inversione di responsabilità lo hanno accusato di aver mentito. Davanti alle evidenze si è continuato a negare, denigrare, e offendere, cercando di screditare il giornalista che ha semplicemente fatto il suo lavoro. Un nemico del popolo e prima ancora di Trump.
Social media come Facebook, Instagram e X hanno portato queste dinamiche su scala inimmaginabile. Oggi queste piattaforme sono i quartieri generali della propaganda di un nuovo movimento globale fascista, i loro proprietari sono oligarchi senza scrupoli che ormai hanno deciso di abbracciare una ideologia ripugnante e antidemocratica.
Con la complicità diretta o indiretta di media tradizionali che con un uso irresponsabile dei social contribuiscono al degrado del discorso pubblico.
Lo vediamo anche qui nel nostro paese. Un sistema mediatico asfittico, anestetizzato o peggio ancora complice e co-responsabile. Dove i fatti non contano più, e l’odio e la crudeltà sono stati normalizzati. Con una base elettorale addestrata a rifiutare la democrazia in favore del tribalismo guidato dalla paura.
Sono anni che Roberto Saviano denuncia qui da noi dinamiche molto simili. Sono anni che Roberto Saviano subisce il trattamento riservato al direttore di The Atlantic.
In un contesto dove la verità e i fatti sono costantemente sotto attacco, il giornalismo e la scrittura diventano inevitabilmente una forma di resistenza.
L’anno prossimo saranno 20 anni dall’uscita di Gomorra.
Il romanzo ha segnato il successo e la notorietà di Roberto Saviano in tutto il mondo, cambiando per sempre il racconto della realtà fra letteratura e giornalismo. All’epoca Roberto aveva 26 anni, di lì a poco anche la sua vita sarebbe cambiata per sempre, costringendolo a una esistenza sotto scorta per le minacce ricevute dalla camorra. E da allora Roberto resiste.
Nel 2010 l’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi accusò Saviano di voler danneggiare con le sue opere la reputazione dell’Italia. Di fatto lo espose ancora di più nonostante fosse sotto protezione, rendendolo ancora più vulnerabile.
Negli ultimi anni, invece, Roberto è stato portato a processo da diversi ministri e dalla stessa presidente del Consiglio. È stato oggetto di campagne di odio, è stato calunniato, dileggiato. Il suo lavoro ha subito censure o veri e propri boicottaggi istituzionali.
Roberto Saviano ha interpretato il suo ruolo di giornalista, scrittore, intellettuale come attivismo in nome dei fatti e come lotta per i diritti, instancabile nel puntare i riflettori sui lati oscuri del potere.
E ha scelto di farlo, immergendosi senza riserve nell’arena pubblica, cercando di interpretare al meglio la contemporaneità.
Oggi davanti all’allargarsi di derive autoritarie nel mondo, segnate dall’abuso della tecnologia e dall’ascesa delle oligarchie, la Storia ci chiede di fare una scelta netta per la democrazia, la pace, la giustizia e la libertà.
Le democrazie possono morire per tante ragioni. Tra di esse, l’indifferenza morale, la pigrizia intellettuale e l’opportunismo politico hanno sempre avuto un posto speciale.
Come ha scritto Natalia Antelava, giornalista georgiana esperta di autoritarismi e oligarchie, speaker anche quest’anno al Festival:
Il nostro fallimento raramente è dovuto all'assenza di profeti, ma nel rifiutarci di dare ascolto ai loro avvertimenti.
Roberto ci ha avvertiti:
“Cercano di mettere mano alle leggi per costruire un sistema più repressivo possibile. Eppure, non ci sarebbe nemmeno bisogno, perché già hanno dato un messaggio a tutti portando me e altri intellettuali a processo. Agiscono a colpi di querele, fanno capire che bisogna spendere molti soldi per difendersi. E qui c’è un altro punto. L’editoria è in crisi, la macchina televisiva e produttiva è senza soldi. La mancanza economica rende meno possibile la libertà. E nessuno vuole mettersi contro il governo quando questo diventa l’unica fonte di finanziamento. Il risultato di questa dinamica? Stiamo arretrando sul coraggio e sulla capacità di racconto. Sono ormai pochi gli editori con competenza e passione. Così arretrano le regole democratiche”.
In questo momento storico così critico e decisivo, guardo con ammirazione profonda a quei popoli che stanno resistendo: primo fra tutti il popolo ucraino, che da tre anni resiste contro l’invasione criminale di Putin.
Il popolo turco, il popolo serbo, il popolo georgiano, il popolo ungherese, il popolo rumeno. Migliaia e migliaia di uomini e donne in piazza, in marcia da mesi per la democrazia, la libertà, la dignità.
In questo momento storico abbiamo bisogno di sentirci parte di una comunità che resiste contro la propaganda, contro le bugie, contro i fatti alternativi. Contro l’assalto alla verità, ai fatti, alla democrazia.
Grazie Roberto per il coraggio e la capacità di racconto di questi anni. Grazie per essere stato e ed essere nonostante tutto al nostro fianco in questo cammino di resistenza.
Immagine in anteprima: Francesco Cuoccio/#ijf25