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educazione

S’Atobiu 2025: in Sardegna, la quarta edizione del Festival dell’editoria indipendente

Il 30 aprile, a Tertenia in Ogliastra, si apre la quarta edizione del festival dell’editoria indipendente, organizzato dall’ASCE Sardegna.
Pubblichiamo il comunicato  stampa degli organizzatori.

FESTIVAL S’ATOBIU IV edizione, Tertenia-Selargius, dal 30/04 al 4/05

È diventato ormai una certezza S’Atobiu (l’Incontro, in lingua sarda), il festival della piccola editoria indipendente nato nel novembre del 2022 dall’esigenza di costruire uno spazio di confronto e di riflessione su temi che spesso vengono lasciati al margine dalla grande informazione mainstream.

Il festival, organizzato da ASCE (Associazione Sarda Contro l’Emarginazione) insieme al Movimento per la Decrescita Felice di Cagliari – Quartu Sant’Elena e alla comunità Il pane e le Rose, in questa quarta edizione si sdoppierà, come nel 2024, per toccare due realtà dell’isola, con un programma che avrà momenti in comune e altri creati ad hoc, e attraverseremo i saperi – ed i saper fare – delle donne, sminuiti, temuti e criminalizzati nel corso della storia.

Da pratiche empiriche, tramandate oralmente da una generazione di donne all’altra, con la nascita delle università, tali conoscenze vengono istituzionalizzate escludendo, nel contempo, le donne da un accesso agli studi. Assistiamo in tal modo ad una presa di potere del sapere da  parte degli uomini.
Nel medesimo contesto, molte donne ancora praticanti vengono bollate come eretiche e bruciate al rogo accusate di stregoneria.

Dalla Dea Madre a S’Accabadora, tramite levatrici, mediche e tessitrici, S’Atobiu disegna un cerchio: nascita, vita, cura, resistenza, morte. Il cerchio delle Donne.

Programma Tertenia

PROGRAMMA TERTENIA, Ex asilo Via Nuoro 30 aprile – 1° maggio

Mercoledì 30 aprile
10’00 – Presentazione del festival, esposizione lavori delle classi III e IV della
Scuola primaria di Tertenia;
11’00 – Dea Madre e il cerchio della vita, Cristina Muntoni
12’00 – E poi scoprimmo l’acqua, Giacomo Mameli (racconta)”Hotel Nord
America”
13’00 – Pranzo sociale*
15’00 – Dalla levatrice alla sala parto, Bruxas Ogliastinas
16’00 – Laboratorio “Tingere in blù lana e cotone Isatis tinctoria”, a cura di
Tiziana Melis e Alessandro Nonnoi
17’00 – Le erbe officinali, con Rosaria Murru e Casa Elicriso
18’00 – Cilento Donne e tessiture, con Maria De Biase
19’00 – Cena sociale*
21’00 – Concerto di Launeddas, con Andrea Contu e Angelo Murgia

Giovedì 1° maggio
10’00 – Su tessingiu de prama e de iscrarìa, con Luca Meloni e Giuseppina Putzu
11’00 – Mexinas de is feminas e resistentzia, con Francesco Sardo
12’00 – La costruzione della figura della strega, con Adelina Talamonti
13’00 – Pranzo sociale*
14’30 – Laboratorio Tessere relazioni, a cura di Associazione Retedonna aps
16’30 – L’eredità di Maria Lai, con Damiano Rossi, Stazione dell’arte di Ulassai
17’00 – Contos e crochet, con Enedina Sanna
19’00 – Cena sociale*
21’00 – Concerto
Evento Fb Tertenia
Per info S’Atobiu a Tertenia 3511793224 3491996514

Programma Selargius

PROGRAMMA SELARGIUS, Centro ASCE SS 387 km 8’00 3 – 4 maggio

Sabato 3 maggio
10’00 – Il sapere delle donne: da Donna Sanna Sulis ai laboratori con le detenute,
con Rita Corda, Maria Grazia Caligaris e Federica Portoghese
11’00 – Cilento Donne e tessiture, con Maria De Biase
12’00 – Laboratorio “la tintura con le erbe”, a cura di Luisa Ledda, prima parte
13’00 – Pranzo sociale*
15’00 – Laboratorio “la tintura con le erbe”, a cura di Luisa Ledda, seconda parte
16’30 – Tratura della seta, con APS Sinergie/Ecomuseo di Zagarolo
18’00 – L’eredità delle donne di Casa Lussu, reading musicale con Claudia
Crabuzza e Dilva Foddai, presenta Enedina Sanna
19’00 – Cena sociale*
21’00 – Claudia Crabuzza in concerto, con Dilva Foddai all’organetto

Domenica 4 maggio
10’00 – Apertura Mercato Contadino
Laboratorio Su strex’e fenu, i cestini di Sinnai, a cura di Alessandra Floris
11’00 – Mexinas de is feminas e resistentzia, con Francesco Sardo
12’00 – La costruzione della figura della strega, con Adelina Talamonti
13’00 – Pranzo sociale*
14’30 – Tombola contadina
15’30 – Tessitura delle Janas e Attitu, con Natalino Piras
17’00 – Laboratorio “Danza creativa Movimento Fuoco”, Nicoletta Carboni
18’30 – Monologo con la Morte, Is Mascareddas
19’00 – Cena sociale e saluti finali
Evento Fb Selargius https://fb.me/e/65L2Km9Le
per info Atobiu a Selargius 3513111741 3297642130

* I pranzi e le cene sono a offerta libera e consapevole. Porta con te le tue stoviglie NON usa e getta. Madre natura ti sarà grata.

ASCE Sardegna – Selargius

 

Redazione Sardigna

La Marcia dei Bruchi 2025 si conclude a Bologna

Il 16 aprile scorso si è conclusa a Bologna la 4a edizione della Marcia dei Bruchi, ideata dall’attivista italo-congolese John Mpaliza e che quest’anno ha attraversato la regione Emilia Romagna.

“Insieme cammineremo come bruchi, ci trasformeremo in farfalle e in questo modo trasformeremo le guerre in pace”: con questo messaggio Mpaliza ha inaugurato la marcia itinerante, giovedì 6 marzo a Piacenza, la città di partenza.

Le edizioni precedenti hanno attraversato le regioni del Trentino-Alto Adige, della Puglia e del Piemonte.

“Tutti sono chiamati a fare la propria parte”, sostiene Mpaliza. “Si continua a dire che la pace è un ideale impossibile da raggiungere, però se non ci proviamo tanto vale non fare nulla per cambiare le cose. Noi pensiamo invece sia fondamentale ascoltare la voce dei nostri figli e di tutte le nuove generazioni: cittadini di domani ma soprattutto cittadini di oggi.”

La Marcia dei Bruchi fu “battezzata” con questo nome grazie alla fantasia di un bambino di 9 anni, Giacomo, che durante l’incontro di preparazione alla 1a edizione della Marcia, così si espresse: “Saremo in tantissimi, cammineremo insieme, come bruchi, ci trasformeremo in farfalle e così speriamo di trasformare anche il mondo.” Ottimista, sognatore e concreto: una lezione di vita per noi adulti.

La prima edizione della Marcia dei Bruchi si organizzò in Trentino-Alto Adige nel 2022 con un’ampia partecipazione: circa 12.000 persone di cui 9.000 erano giovani e student*. Questa importante iniziativa cominciò a prendere forma nel 2020 durante gli incontri di sensibilizzazione su temi cruciali e attuali (cambiamenti climatici, diritti umani, consumo critico e sostenibile) presso l’Istituto Tecnico Economico “Falcone e Borsellino” e il Liceo “Dante Alighieri” di Bressanone.

L’idea all’origine della prima edizione era semplice: coinvolgere le scuole primarie (soprattutto quarte e quinte) e secondarie di primo e secondo grado a preparare insieme agli/alle insegnanti lavori di gruppo su argomenti che sono inestricabilmente legati alla nostra sopravvivenza su questa terra. Meglio, alla nostra vita su questo pianeta. Quindi gli argomenti elaborati sono sempre stati i seguenti: la giustizia climatica e i cambiamenti climatici, i diritti umani, la pace e ogni altro argomento che ruoti intorno al benessere di questo mondo.

Le classi possono dar via libera a tutta la loro immaginazione giovanile, sempre ricca di spunti e di idee su cui riflettere. Messaggi, riflessioni e perché no? anche slogan – intelligenti – da diffondere nel proprio territorio e nella propria città. Nella giornata conclusiva della Marcia i lavori preparati vengono esposti e discussi insieme.

Un aspetto importante, tra altri, da sottolineare è insistere a responsabilizzare i giovani sul fatto che il nostro stile di vita condiziona anche le altre vite.

“Quanto avviene a migliaia di chilometri merita la nostra attenzione, perché in un modo o nell’altro ha un impatto sulla nostra vita. Nello stesso modo, le nostre azioni hanno ripercussioni sulle vite degli altri, anche a migliaia di chilometri” (…) “E per garantire loro un futuro migliore è importante sensibilizzarli (…) su quanto il benessere di un mondo, quello sviluppato e arricchito, spesso e volentieri dipenda da violazioni dei diritti umani in un altro “mondo”, quello impoverito”.

Tra le tante guerre attuali quella che affligge la Repubblica Democratica del Congo è iniziata nel 1996 ed è tuttora in corso. Ha prodotto oltre 7 milioni di profughi interni e 10 milioni di morti. La ricchezza di questo Paese (80% di risorse mondiali di coltan, minerale indispensabile per i cellulari, 70% di cobalto, litio, necessario per le batterie delle auto elettriche e uranio, oro, platino, petrolio) è la causa delle costanti violenze a danno della popolazione locale. Tanto per rimanere nella recente attualità, l’occupazione di Goma, nell’est del Paese, zona di ricchezze minerarie, ce lo conferma ancora una volta. “Il Congo è un Paese ricco da morire”, come Mpaliza ripete spesso.

https://www.marciadeibruchi.org/

 

 

Redazione Italia

L’80° anniversario della Liberazione: suggerimenti alle storiche e agli storici del futuro

Come valuteranno le storiche e gli storici del futuro il 25 aprile in Italia quando per caso o in virtù di un disegno a noi oscuro le manifestazioni per l’80° anniversario della Liberazione si sono congiunte a un evento di portata mondiale come la morte di Francesco, il Papa di tutti e non solo il Papa di Roma? Naturalmente la possibile risposta alla domanda non è, né avrebbe senso che fosse il tema di questo articolo che piuttosto vuole raccomandare alle storiche e agli storici del futuro di non limitarsi alle cronache ufficiali delle varie manifestazioni e commemorazioni della Resistenza che si sono svolte un po’ dappertutto in Italia.

Il mio osservatorio privilegiato è Torino dove, tra numerose altre iniziative, come ogni anno si è svolta la fiaccolata serale del 24 aprile che da sempre si snoda da Piazza Arbarello a Piazza Castello, attraversando Via Cernaia e Via Pietro Micca. Se le storiche e gli storici del futuro poggeranno le loro analisi sulle cronache non riusciranno a cogliere le ragioni profonde e vere che dividono la piazza istituzionale dalla piazza dei giovani riformisti che vogliono l’esercito europeo e dalla piazza dei giovani radicali che in guerra non ci vogliono andare. Le piazze dove si manifestano i dissensi sono una prova della vitalità della democrazia che “se è reale, non sta mai zitta e dà fastidio per sua natura” (Davide Ferrario, Nella piazza del 25 aprile meglio divisioni che silenzio “sobrio”, “Corriere della Sera, Torino, sabato 26 aprile 2025, p. 8). Per comprendere le ragioni dei giovani bisogna saper guardare nelle pieghe di questo tempo malato che vive di guerra e alimenta intenzionalmente la guerra. Come non vedere che “la devastazione è già qui”? Che l’Apocalisse è tra noi? (Antonio Spadaro, Quale Apocalisse, “Il Fatto Quotidiano”, domenica 27 aprile 2026, p. 13).

Se, come è probabile, tra le storiche e gli storici del futuro ci sarà chi adotterà una chiave di lettura pacifista o antipacifista, può essere utile che resti una traccia della 165° Presenza di pace che si è svolta sabato 26 aprile 2025 a Torino in Piazza Carignano promossa dal Coordinamento AGITE. La piccola agorà di pace che da tre anni viene svolgendo ed elaborando un pensiero collettivo di pace ha saputo unire nel segno della ricerca della pace la gioia per la ricorrenza della Liberazione e il cordoglio per la scomparsa di una figura profetica del nostro tempo: “Più dei concetti e delle volontà, conta il sentirsi umani insieme. Francesco, un uomo buono, un uomo di tutti e per tutti, ha fatto incontrare molti nel riconoscere e coltivare la nostra umanità. Ha sempre insegnato e raccomandato a tutti di riconoscere che siamo un’unica umanità, unita nelle belle differenze, e che la guerra è offesa a tutti, tutti, tutti, ed è il più grave fallimento umano. L’ultimo suo grido, con l’ultima sua voce, è stato la necessità del disarmo per fondare la pace” (Enrico Peyretti).

Da questa agorà di pace è venuta una critica seria e severa della scelta del governo di mettere in contrapposizione i due eventi, prolungando il lutto per Francesco oltre la manifestazione nazionale di Milano del 25 aprile e “invitando” a festeggiare in modo “sobrio”. Per agevolare le storiche e gli storici del futuro giova registrare qui alcuni effetti prodotti dalla sobrietà governativa che sarebbero esilaranti se non fossero inquietanti e significativi di un futuro possibile da scongiurare e contrastare. Forse il caso più clamoroso è quello di Ascoli Piceno dove la signora Lorenza Roiati, nipote di due partigiani decorati: Renzo e Vittorio, è stata identificata dalla polizia per avere a suo modo celebrato la festa della Liberazione, affiggendo fuori dal suo negozio, il pluripremiato panificio “L’Assalto ai forni”, uno striscione con queste parole: “25 aprile. Buono come il pane. Bello come l’Antifascismo”. Come se ricordare la Resistenza fosse (ri)diventato un reato. A futura memoria registriamo che il Sindaco di Ustica, Salvatore Militello (Fratelli d’Italia), ha cancellato del tutto la Festa della Liberazione nell’isola simbolo dell’antifascismo: un insulto alla memoria di Gramsci e degli altri confinati antifascisti.

Il richiamo a essere sobri è stato applicato se non imposto vietando di cantare Bella ciao in vari comuni (Cinisello Balsamo, Romano di Lombardia, Cividade Camuno, Ono San Pietro ecc.). Ma come sempre l’inno della Liberazione è risuonato ovunque: per esempio nella sede storica del Centro studi Piero Gobetti, a Torino, in via Fabro 6, è stato intonato dal gruppo di ViaArtisti insieme ai presenti alla fine di uno spettacolo teatrale tratto dal Diario partigiano di Ada Prospero Marchesini Gobetti.

L’agorà di Piazza Carignano ha proposto un’altra idea di sobrietas coerente con il significato originario della parola che è stato ripreso tra gli altri da Piero Gobetti: misura nel senso di equanimità che è il contrario di unanimità; moderazione da non confondersi con moderatismo; essenzialità nello stile di vita. Ebbene la moralità pubblica e privata, il rigore sociale nel senso di critica dello spreco (Danilo Dolci), la politica come equilibrio e ricerca del bene comune, sono l’eredità più resistente della Resistenza. “La sobrietà non è soltanto una virtù di cui il sistema economico e produttivo basato sulla crescita del prodotto interno lordo ha voluto cancellare accuratamente ogni traccia perché non se ne serbasse nemmeno la memoria nel giro di una generazione, ma è, soprattutto una manifestazione di intelligenza e di autonomia di pensiero” (Maurizio Pallante).

I valori della Liberazione corrispondono ai tre grandi ideali che da sempre accompagnano la storia dell’umanità: 1. la restaurazione delle principali libertà civili e l’affermazione del diritto dell’individuo a essere riconosciuto come persona; 2. l’attuazione di una maggiore giustizia sociale; 3. il ritorno a uno stato di pace dopo una lunga guerra devastatrice. Questi ideali sono espressi in modo esemplare e commovente nelle Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea, a cura di Piero Malvezzi e Giovanni Pirelli, prefazione di Thomas Mann, prima edizione Einaudi, Torino 1954. Della libertà, il partigiano italiano, Giordano Cavestro (Mirko), scrive: “La mia giovinezza è spezzata, ma sono sicuro che servirà da esempio. Sui nostri corpi si farà il grande faro della Libertà”. Della giustizia, la partigiana montenegrina Anka Knezevic scrive: “Con le nostre ossa e i nostri cadaveri edifichiamo un nuovo mondo, nel quale gli uomini vivranno da eguali e avranno tutti i diritti”. Della pace, il partigiano ucraino, Oleks Bokaniuk scrive: “La guerra è la più grande sciagura dell’umanità. Speriamo che dopo questa guerra venga una pace che renda possibile per molto tempo, e forse per sempre, la felicità. Congedandomi da voi, mi auguro di vedere la pace e una vita felice”.

Su questi principi si regge la nostra Costituzione. L’ideale della libertà personale è affermato nell’art. 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”; l’ideale della giustizia sociale nell’art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”; l’ideale della pace nell’art. 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. I valori di libertà, giustizia e pace non sono andati in soffitta.

 Non sappiamo quali valutazioni faranno le storiche e gli storici del futuro. Ci auguriamo che potranno guardare al nostro come a un tempo che ha saputo sia prevenire una nuova guerra devastatrice sia sottrarsi al “potere ipnotico” dell’insorgere di nuove dittature. Come diceva la grande scrittrice, “abbiamo vicino l’esempio istruttivo degli Stati fascisti: se non esiste un modello di ciò che desideriamo essere, abbiamo però, ed è forse altrettanto prezioso, il modello quotidiano e illuminante di ciò che non desideriamo essere” (Virginia Woolf, Le tre ghinee, introduzione di Luisa Muraro, traduzione di Adriana Bottini, Feltrinelli, Milano 2024, p. 171).

Pietro Polito

Coordinamento AGiTe

L’infatuazione delle Marche per le industrie belliche e il taglio della spesa pubblica

“Ripudiare la guerra non significa essere vigliacchi”; “Noi abbiamo l’obbligo di far vedere agli altri che possiamo difenderci con le unghie e coi denti”; “È attraverso questa disposizione d’animo e gli strumenti d’indagine da essa prodotti che la cultura occidentale è stata in grado di farsi innanzi tutto intellettualmente padrona del mondo, di conoscerlo, di conquistarlo per secoli e di modellarlo”. Queste sono alcune delle frasi  pronunciate dal palco della manifestazione del 15 marzo su iniziativa di Michele Serra, oppure prese dal programma del partito di governo, frasi che anche se di provenienza politica diversa riflettono un clima culturale simile che serpeggia ormai da tempo nel dibattito pubblico.

Il suprematismo europeo e la sensazione che il suo eccezionalismo sia sotto attacco sia culturalmente sia fisicamente per mano di soggetti esterni, che siano essi pericolosi migranti, o leader sanguinari, sono due elementi che accomunano quasi tutte le forze politiche parlamentari presenti in questo Paese in modo lievemente differente. Nel mondo gli equilibri stanno cambiando e quello che emerge da destra a sinistra è che non è possibile non contare più nulla nel gioco a perdere della geopolitica: è necessario armarsi e farlo in fretta, la minaccia è esistenziale.

Il sentimento di impotenza, dilagante dallo scoppio della guerra in Ucraina e reso ancora più potente dall’insediamento di Donald Trump, di fronte al riassetto mondiale ha ricadute concrete immediate. Ursula Von der Leyen propone il piano ReArm Europe/Preparati per il 2030, che mira a rafforzare le capacità militari dei singoli Paesi europei utilizzando le risorse del fondo di coesione, e il Libro bianco sulla difesa europea, che delinea un nuovo approccio alla difesa e individua il fabbisogno di investimenti, mentre una parte (quella che si autodefinisce più a sinistra) dei socialisti europei e in generale della sinistra in Italia spinge per una difesa comune da realizzare per mezzo dell’emissione di titoli di debito comune. Le configurazioni cambiano ma, nonostante tutti si autodefiniscano pacifisti, la premessa è la stessa: siamo sotto attacco e bisogna spendere in armi, decidiamo solamente come.

Le Marche nel Parlamento europeo non si sono fatte cogliere impreparate e i due europarlamentari marchigiani Matteo Ricci del Partito Democratico, papabile anche come candidato presidente di regione alle prossime elezioni, e Carlo Ciccioli, di Fratelli d’Italia, hanno confermato una visione comune sulla realtà che viviamo. Alla votazione consultiva sul piano di riarmo europeo del 12 marzo il primo si è astenuto, dopo essersi debitamente assicurato che la metà dei suoi compagni di partito votassero a favore, mentre il secondo non ha esitato e si è espresso a favore.

È quindi necessario chiedersi in che modo il riarmo europeo votato dai nostri parlamentari, che sia esso in forma di difesa comune o di potenziamento degli eserciti nazionali, impatterà sul contesto specifico delle Marche: chi guadagna dalla situazione presente? Che tipo di mondo si immaginano coloro che pensano che l’Europa vada rafforzata militarmente?

Fincantieri è una delle più grandi aziende di cantieristica del mondo, massicciamente attiva anche nel settore militare, e nelle Marche è sicuramente una delle più grandi industrie private che operano nel territorio. Negli ultimi anni, Fincantieri ha intensificato significativamente le sue attività di lobbying presso le istituzioni europee, con l’obiettivo di scalare le classifiche all’interno del crescente mercato della difesa dell’Unione Europea. Secondo le indagini recenti1, il budget complessivo per le attività di lobbying delle principali aziende europee della difesa, tra cui Fincantieri, è aumentato del 40% tra il 2022 e il 2023, passando da una spesa cumulativa compresa tra 3,95 e 5,1 milioni di euro nel 2022 a una tra 5,5 e 6,7 milioni di euro nel 2023; Fincantieri nello specifico ha mantenuto una spesa dichiarata che va dai 300.000 ai 399.999 euro per le attività di lobbying a Bruxelles2, e di 905.000 dollari per quelle negli Stati Uniti3.

Fincantieri ha beneficiato dei fondi europei per la difesa, come il programma SEA Defence finanziato dall’EDIDP4, rafforzando il proprio ruolo nell’industria militare continentale. La crescente domanda di fregate, corvette e sottomarini — stimata in 20 miliardi di euro tra il 2023 e il 20275 — riflette non solo esigenze operative reali, ma anche una logica di finanziarizzazione della guerra: aumentare la flotta serve a proiettare deterrenza e capacità militare percepita, attirando investimenti e influenza nei nuovi equilibri geopolitici.

Mentre quindi Fincantieri si prepara a incassare profitti record grazie al nuovo piano di riarmo europeo, nei cantieri come quello di Ancona la realtà per i lavoratori è ben diversa. Pur non essendo direttamente coinvolto nella costruzione di navi da guerra, il sito di Ancona fa parte di un sistema industriale integrato che beneficia pienamente dei nuovi investimenti militari, eppure i dipendenti diretti sono solamente quasi 200, mentre una costellazione di società in appalto che garantiscono forza-lavoro a costi bassissimi e con paghe orarie spesso al limite della dignità garantisce quasi 4.000 lavoratori. Gli utili salgono, ma a pagarne il prezzo sono coloro che verranno colpiti dai cannoni montati su una nave militare, o chi le produce.

Fincantieri, tuttavia, non è l’unica azienda presente nelle Marche che trarrebbe profitto dal riarmo europeo: GEM Elettronica, ad esempio, recentemente acquisita da Leonardo, è presente con tre stabilimenti ad Ascoli Piceno e produce tecnologie radar e software dedicati alla navigazione nel settore militare e sicuramente si trova in una posizione favorevole a livello economico.

Un soggetto importante in questo contesto è anche l’Università Politecnica delle Marche (UNIVPM), coinvolta in varie forme con aziende che producono sistemi dual-use (sistemi che possono essere utilizzati sia in ambito civile che militare). La SAB Aerospace, ad esempio, con sede a Benevento, ha avviato attività di ricerca e sviluppo che mirano a ottimizzare e far progredire la produzione di sistemi e sottosistemi spaziali e aeronautici con l’appoggio dell’UNIVPM6, mentre è presente un vero e proprio spin-off universitario, Janux, che si occupa di aerodinamica, termo-fluidodinamica computazionale e progettazione di droni che, come si legge dalla loro pagina7, realizzano per il mercato sempre più in crescita della sicurezza.

Il crescente militarismo e la spinta al riarmo europeo, sostenuti da potenti gruppi industriali come Fincantieri, si inseriscono in un contesto più ampio di politiche neoliberiste che anche nelle Marche hanno accelerato la scomparsa dello Stato da settori fondamentali come la sanità e l’istruzione. Mentre le risorse pubbliche vengono destinate al potenziamento dell’apparato militare, l’accesso ai servizi essenziali per i cittadini, come la sanità e l’istruzione, subisce tagli impressionanti. Le politiche di privatizzazione e di razionalizzazione, che hanno impoverito i servizi pubblici e accresciuto le disuguaglianze sociali, restituiscono un modello in cui le priorità statali sono indirizzate verso gli interessi delle industrie belliche a scapito dei diritti primari dei cittadini. Così, mentre il comparto militare-industriale prospera con l’aiuto di fondi pubblici, le fasce popolari sono costrette a fare i conti con una sanità che non funziona e con un sistema educativo sempre più inadeguato, creando una realtà in cui la militarizzazione e il profitto privato sembrano prevalere sul diritto alla salute e all’istruzione.

Negli ultimi quindici anni la sanità pubblica nelle Marche è stata smantellata, seguendo una precisa traiettoria: tagli, declassamento e, infine, cessione al privato. Dal 2012, complici la legge Balduzzi e il decreto Lorenzin, il sistema sanitario nazionale è stato strangolato da vincoli di bilancio che hanno imposto drastiche riduzioni di personale, posti letto e servizi. Nelle Marche, la giunta Ceriscioli del Partito Democratico ha accelerato questa deriva, chiudendo in soli tre anni e mezzo ben 13 ospedali di rete, come quelli di Recanati, Tolentino, Matelica, Cingoli, Treia e Loreto, trasformati in “case della salute” svuotate di funzione, preludio alla svendita ai privati. Emblematico è il caso dell’ospedale Lanciarini di Sassocorvaro: una volta declassato, è stato poi riqualificato e affidato alla gestione privata della KOS Care (gruppo CIR di De Benedetti), con il ripristino proprio di quei servizi cancellati quando la struttura era pubblica8. Il paradosso è lampante: ciò che non era considerato sicuro per i cittadini sotto gestione pubblica, improvvisamente diventa accettabile se gestito dal privato. Nel frattempo, la Regione si è impegnata per 5,5 miliardi di euro in 30 anni per costruire sei nuovi ospedali unici provinciali tramite project financing, ancora una volta sotto la regia di grandi gruppi privati. La logica è chiara: si demolisce il pubblico per creare spazi di mercato garantiti ai privati, ipotecando per sempre il diritto alla salute.

Nelle Marche il neoliberismo sanitario ha avuto complici da fronti diversi e il prezzo lo stanno pagando i cittadini più deboli. La recente amministrazione Acquaroli, di Fratelli d’Italia, ha aggravato la situazione, seguendo tuttavia la stessa agenda politica: nel 2024 sono stati tagliati 148 milioni di euro alle aziende sanitarie locali, congelando fondi vitali nel Fondo di Gestione Sanitaria Accentrata (GSA), aumentando le liste d’attesa e spingendo ulteriormente verso la sanità privata. Sarà così che ad esempio l’ospedale di Torrette subirà un taglio di 19 milioni, il 13% del suo bilancio di gestione9.

I tagli alla sanità pubblica nelle Marche, sia a livello nazionale che regionale, hanno avuto inoltre un impatto significativo sul diritto all’aborto: le politiche di razionalizzazione e i tagli ai servizi sanitari hanno ridotto la disponibilità di reparti di ginecologia, con conseguenti lunghe liste d’attesa e difficoltà di accesso all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG); l’aumento degli obiettori di coscienza tra i medici ha poi limitato ulteriormente le opzioni disponibili per le donne. L’amministrazione regionale di Fratelli d’Italia ha adottato politiche che hanno reso ancora più difficile l’accesso all’IVG, con riduzioni di risorse per i servizi e il sostegno a iniziative pro-vita, ostacolando così l’esercizio del diritto all’aborto nella regione e costringendo le donne a cambiare regione per esercitare un diritto fondamentale.

La situazione non cambia se si osserva il mondo della scuola nella regione Marche. A partire dal 2009, durante il governo di Gian Mario Spacca, di centrosinistra, la regione ha visto riduzioni sostanziali nel numero di insegnanti e dipendenti amministrativi, con oltre 900 posti eliminati, principalmente nelle scuole primarie e secondarie. I tagli si sono intensificati negli anni successivi e le politiche di dimensionamento scolastico hanno accelerato il processo di accorpamento delle scuole, in particolare nelle province di Pesaro e Urbino, portando a un impoverimento dei servizi educativi nelle zone interne e spopolate. L’introduzione di nuove misure, come l’innalzamento della soglia minima di alunni per l’autonomia scolastica da 600 a 900, ha causato la chiusura di numerosi istituti, mentre le università delle Marche hanno visto, nel 2024 con al governo il centrodestra, un taglio del finanziamento ordinario del 3%, aggravando ulteriormente la situazione. L’intero sistema educativo regionale ne risente, con la continua marginalizzazione di alcune aree e la compromissione del diritto allo studio.

Il dibattito sul riarmo e sulla militarizzazione non può e non deve prescindere dalla riflessione più ampia sul tipo di società che si vuole costruire. È indispensabile in questo contesto tornare a mettere al centro gli interessi popolari, ponendo la giustizia sociale e la cooperazione internazionale come obiettivi primari, piuttosto che accettare il gioco della guerra come unico modello di protezione. La vera sicurezza non si può costruire sui cannoni e sugli armamenti, ma sulla solidarietà, sulla difesa dei beni comuni e sull’investimento nelle risorse per le fasce popolari.

1https://www.politico.eu/article/eu-defense-industry-goes-big-on-lobbying-in-brussels/; https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/03/07/lassalto-allunione-europea-dei-lobbisti-della-difesa-18-incontri-con-i-commissari-in-tre-mesi-e-budget-aumentato-del-40-in-un-anno/7902726/.

2https://transparency-register.europa.eu/searchregister-or-update/organisation-detail_it?id=095079912436-63.

3Nel 2021 le spese erano pari a 540.000 dollari. https://www.opensecrets.org/federal-lobbying/clients/summary?cycle=2024&id=D000045968.

4https://www.fincantieri.com/it/media/comunicati-stampa-e-news/2021/fincantieri-prende-parte-ufficialmente-al-progetto-sea-defence/.

5https://www.defensenews.com/global/europe/2022/12/16/fincantieri-expects-huge-shipbuilding-kick-from-fatter-defense-budgets/#:~:text=ROME%20—%20Fincantieri%20is%20set%20to,recently%20appointed%20CEO%20said%20Friday.

6https://www.sabaerospace.com/it/ricerca-e-sviluppo/.

7https://www.janux.it/monitoraggio-con-droni/.

8https://www.larucola.org/2019/06/17/il-giochetto-della-chiusura-degli-ospedali-pubblici-nelle-marche/.

9https://www.ilrestodelcarlino.it/ancona/cronaca/marche-mannaia-sulla-sanita-scattano-tagli-per-148-milioni-0a3be4c0

Emiliano Palpacelli

La Rivoluzione dimenticata. Sassari vuole ricordare la sua storia

Sassari, 28 aprile – Un 28 aprile di grande partecipazione popolare e civile ha animato la città di Sassari, segnando un rinnovato interesse per la commemorazione dei martiri della Sarda Rivoluzione. La giornata si è articolata in due momenti distinti ma fortemente connessi: la mattina al monumento dedicato ai patrioti giustiziati tra il Settecento e l’Ottocento, e la sera nella suggestiva cornice della sala Angioy, dove è stata presentata la nuova ricerca storica della ricercatrice Adriana Valenti Sabouret.

Il cuore della città al monumento dei patrioti

Alle ore 10:00, in via Quarto, nello slargo intitolato a Don Leonardo Carboni, una folla composta da cittadini, studenti, autorità e militanti ha preso parte alla cerimonia solenne davanti al monumento in memoria degli otto rivoluzionari. Il monumento, realizzato un anno fa su progetto del docente del Liceo Artistico Figari Vittore Loriga e dell’artigiano Corrado Desole, è divenuto ormai simbolo vivo della memoria popolare sull’insurrezione di Sassari.

Momento centrale della commemorazione è stata la deposizione congiunta della corona di fiori da parte del sindaco di Sassari Giuseppe Mascia e del presidente dell’associazione Sa Domo de Totus, Fabrizio Cossu. Un gesto dal forte valore simbolico che ha testimoniato l’unità tra istituzioni e società civile nel riconoscimento della lotta e del sacrificio di coloro che si batterono per la libertà della Sardegna.

Monumento ai martiri della Sarda Rivoluzione – Foto di Cristiano Sabino

A fare da cornice all’iniziativa, patrocinata dal Comune di Sassari, le parole degli studiosi Federico Francioni e Antonello Nasone, che hanno ricordato il senso profondo della Rivoluzione sarda e il valore pedagogico del ricordo. L’evento si è inserito nel programma di Primavere Sarde, progetto culturale ideato tredici anni fa dal Teatro S’Arza e oggi potenziato dalla collaborazione con Sa Domo de Totus, Cobas Scuola Sardegna e una rete di scuole cittadine.

La storia si riscopre in sala Angioy

La giornata si è conclusa con un altro momento di alto valore culturale e politico: la presentazione, nella sala Angioy della Provincia, del volume “Rivoluzionari sardi in Francia. Personaggi e documenti” di Adriana Valenti Sabouret, pubblicato da Arkadia editore. Un’opera frutto di un attento lavoro d’archivio che ha riportato alla luce documenti inediti e profili biografici di numerosi esuli sardi della rivoluzione, costretti all’esilio nella Francia repubblicana dopo la repressione.

Tra questi spiccano le figure di Giovanni Maria Angioy, di cui l’autrice pubblica per la prima volta il testamento, e del teologo Francesco Sanna Corda, parroco di Torralba, che tentò invano di rifondare la Repubblica Sarda e l’avvocato sassarese Gioacchino Mundula di cui la ricercatrice ha perfino scoperto i documenti relativi alla morte che gettano un’ombra di sospetto su un possibile omicidio politico dell’esule rivoluzionario. Il pubblico ha potuto approfondire, grazie al fitto dialogo tra l’autrice e gli studiosi Federico Francioni e Cristiano Sabino, testimonianze toccanti della vita dei rivoluzionari sardi e innovativi contributi storiografici che restituiscono profondità a vicende troppo spesso sminuite o rimosse.

 

Cristiano Sabino

Il Liceo Capialbi d Vibo Valentia ricorda il genocidio armeno e le stragi dimenticate

Una mattinata intensa di riflessione, arte e memoria si è svolta il 30 aprile al Liceo Statale Vito Capialbi di Vibo Valentia, in occasione dell’evento promosso dal Comitato Diritti Umani dell’istituto, coordinato dalla professoressa Anna Murmura. Tema centrale dell’incontro: “Il genocidio armeno tra passato e presente e i genocidi dimenticati”, un’occasione di approfondimento storico e civile che ha coinvolto studenti, docenti e ospiti d’eccezione1.

Ad aprire la giornata è stata Elisa Greco della classe 4BSU, con un discorso sentito e appassionato:

“È per me un grande onore dare inizio a questo evento – ha dichiarato – che rappresenta un momento di crescita collettiva e di impegno per la memoria storica e la difesa dei diritti umani”.

Dopo i saluti di rito Elisa ha rivolto i suoi ringraziamenti a tutte le figure che hanno reso possibile l’incontro: i docenti e gli studenti presenti, ma anche i protagonisti artistici che hanno arricchito il programma con momenti di grande intensità emotiva.

Un ringraziamento speciale è stato riservato al Dirigente Scolastico, Ing. Antonello Scalamandrè, per la fiducia e il costante sostegno alle attività del Comitato. Applausi calorosi anche per Mons. Giuseppe Fiorillo, già parroco e guida spirituale del Comitato, per la sua presenza e il suo supporto morale.

Il programma si è aperto con un momento artistico: il corpo di ballo del Liceo Capialbi, guidato dalla Maestra Gabriella Cutrupi, ha realizzato un’entrée sulle note di Never Alone. A seguire, l’orchestra dell’istituto, diretta dal Maestro Diego Ventura, ha emozionato il pubblico con l’esecuzione di Gundê Hember, brano curdo donato alla scuola dal musicista Ashti Abdom e trasmesso dalla giornalista Sara Lucaroni.

Non meno toccante è stata l’interpretazione dell’aria di Giacomo Puccini, a cura della classe di canto della Prof.ssa Giuliana Pelagi, che ha saputo fondere la potenza della lirica con il messaggio universale dell’evento.

Spazio poi ai contenuti multimediali realizzati dagli studenti. Il primo PowerPoint, “Il genocidio armeno all’alba del ’900 e la Shoà”, è stato presentato da Paola Fogliaro, Kristyn Franzone e Chiara Petrolo della classe III AL, guidati dalla Prof.ssa Cristina Esposito.

A seguire, il lavoro intitolato “Gli armeni del Nagorno Karabakh e la violenza azera”, realizzato dagli studenti Amalia Carioti, Giulia Malta, Dorotea Mendola, Riccardo La Gamba, Fulvio Mirile, Carol Criseo e Alessandro Tripodi, delle classi III BSU e III AL.

Il primo collegamento da remoto ha visto protagonista la Dott.ssa Letizia Leonardi, giornalista e traduttrice, insignita della Medaglia di Gratitudine della Repubblica d’Armenia per il suo impegno nella diffusione della cultura armena. La sua testimonianza ha offerto un’importante chiave di lettura sul valore della memoria e della verità storica.

E’ seguito un nuovo momento artistico con la coreografia A New Horizon, interpretata dal corpo di ballo del liceo.

È quindi intervenuto il gruppo di studenti della III BSU, già autori del secondo PowerPoint, con il terzo lavoro dal titolo “Il popolo yazida tra cultura e storia di un genocidio dimenticato”. Un approfondimento necessario su una tragedia recente spesso taciuta.

Il secondo collegamento ha avuto come ospite la Dott.ssa Sara Lucaroni, giornalista, filosofa e scrittrice, esperta di Medio Oriente, che ha condiviso riflessioni tratte dal suo ultimo libro “La luce di Șingal”, dedicato al genocidio yazida. La sua presenza ha offerto agli studenti un’occasione preziosa per comprendere i drammi vissuti dalle minoranze perseguitate.

A chiudere l’evento, una struggente performance musicale e di danza sul canto tradizionale Ov Sirvum, amatissimo simbolo dell’identità culturale armena.

Prima del saluto conclusivo, sono stati ringraziati i tecnici informatici che hanno garantito il regolare svolgimento dell’incontro, il signor Alessandro Valensise e Igor Campanaro della classe 4BSU.

L’evento si è concluso con l’intervento della Prof.ssa Anna Murmura, coordinatrice del Comitato Diritti Umani, la cui instancabile dedizione ha reso possibile questa giornata di grande valore umano, culturale e civile.

Gruppo stampa comitato diritti umani

Articolo redatto e presentato con cura editoriale da Amalia Carioti, Carol Criseo, Martina Macrì

Per interviste:

3342983330 (Anna Murmura)
380 599 0305 (Amalia Carioti)

1 Facciamo presente che la giornata del genocidio armeno si celebra il 24 aprile, ma dal momento che quel giorno la scuola era chiusa abbiamo dovuto spostare l’evento.

 

 

Redazione Italia

S’Atobiu 2025 a Tertenia (Sardegna): due giorni di tessiture di relazioni, di intrecci di saperi e di saper fare delle donne

Si è chiusa ieri sera a Tertenia (Ogliastra) la prima sessione di S’Atobiu, festival dell’editoria indipendente. Due giorni di tessiture di relazioni tra persone, di intrecci di saperi e di saper fare delle donne, relativi alla cura – dalla nascita alla morte -, al lavoro e all’arte, in un clima di sorellanza, in primo luogo, e di fratellanza, anche intergenerazionale, che ha coinvolto donne e uomini, bambine e bambini. «I saperi e i saper fare delle donne – come scritto nel comunicato di presentazione del Festival – sminuiti, temuti e criminalizzati nel corso della storia».

Laboratori nei quali il saper fare delle donne sarde, ma anche del Cilento, si è potuto sperimentare utilizzando le proprie mani, con la tessitura, la tintura con le erbe, la cestineria, l’utilizzo delle piante officinali.

Gli incontri con relatrici e relatori, sempre partecipati con un ascolto simpatetico, hanno scandito altri momenti dei quali è arduo riassumere le conoscenze comunicate e le emozioni provate.

Prima giornata

La prima giornata (30 aprile) è iniziata con la presentazione della ricerca “Un tuffo nel passato fra natura e magia” delle classi 4^B, 3^B e 3^A della Scuola primaria d Tertenia con la lettura di testi e l’esposizione di elaborati. È terminata con un’immersione nella sonorità della musica delle launeddas dei sonadores Andrea Contu e Angelo Murgia che hanno accompagnato alcuni balli sardi magistralmente eseguiti da alcune coppie del gruppo folk di Tertenia, che ha coinvolto le persone convenute.

La giornata è stata scandita da incontri interessanti e coinvolgenti, a partire dall’intervento di Cristina Muntoni, docente di Storia della sacralità Femminile,  su “La Dea Madre e il cerchio della vita”, relazione programmata per un pubblico adulto, che si è trasformata in un incontro formidabile con le scolaresche presenti.

Cartellone sulla Dea Madre – foto di Pierpaolo Loi

La mattinata si è conclusa col giornalista e scrittore Giacomo Mameli, ideatore del festival letterario di Perdasdefogu, SetteSere SettePiazze SetteLibri,  con il suo intervento dal titolo “E Poi scoprimmo l’acqua. Hotel Nordamerica”. Racconto avvincente sulla vicenda delle ostetriche inviate in Sardegna nell’estate del 1939, tra le quali sua madre Ida Naldini. La mortalità infantile, all’epoca era molto diffusa in Italia, soprattutto a causa della mancanza di igiene. Con le ostetriche condotte, il governo fascista cercò di arginare questa piaga che colpiva anche la Sardegna. L’acqua e il lavarsi diventa il fattore determinante per creare un ambiente salubre, almeno nel luogo del parto, che spesso era la cucina riscaldata dal focolare, ma tutta annerita dal fumo. “E poi scoprimmo l’acqua”, dunque.

Il pomeriggio

Veronica Comida, esponente del collettivo transfemminista Bruxias Ogliastrinas, nel suo intervento “Dalla levatrice alla sala parto” ha messo il focus sullo smantellamento progressivo della sanità pubblica in Sardegna, in particolare in Ogliastra, con la chiusura del Punto Nascita dell’Ospedale di Lanusei. Questo taglio dei servizi sanitari in loco costringe le persone a disagi enormi e a recarsi a Nuoro o a Cagliari, col rischio, talvolta, di partorire per strada. Il pericolo è quello di assuefarsi a questo arretramento sui diritti, mentre è necessario mobilitarsi e unirsi nei territori per la tutela dei diritti fondamentali, riconosciuti dalla Costituzione repubblicana.

A seguire, il laboratorio “Tingere in blu” a cura di Tiziana Melis e Alessandro Nonnoi. Laboratorio che ha coinvolto adulti e bambini nel processo e nell’esecuzione della tintura di batufoli di lana con l’Isatid tintoria.

Tintura con le erbe – foto di Pierpaolo Loi

L’incontro successivo con Rosaria Murru e Mirella Loddo di Casa Elicriso si è rivelato un viaggio affascinante  alla scoperta delle cure tradizionali, attraverso le erbe officinali, ma anche dei saperi delle donne detentrici di un potere di cura, che potremmo definire sciamanico, osteggiato spesso dalle istituzioni.

Infine, Maria De Biase, dirigente dell’Istituto Omnicomprensivo di Torre Orsaia (SA), ha raccontato, attraverso un video e il suo commento, il lavoro di ricerca che ha coinvolto il suo Istituto su “Cilento, Donne e Tessiture”. In particolare, l’utilizzo della ginestra per la costruzione di corde per la marineria, o come legamenti nel lavoro agricolo. Lavoro, un tempo molto importante, fatto collettivamente dalle donne, spesso ragazze di 15/17 anni nel periodo della raccolta degli steli delle ginestre.

Il racconto di Maria De Biase è terminato con un finale che ha commosso le persone presenti: la tragedia che ha sconvolto una comunità del Cilento per l’annegamento di un gruppo di ragazze che rientravano a casa su una barca dopo la raccolta delle ginestre. Il video è terminato con la canzone composta in ricordo di questo tragico evento, durante l’attività interdisciplinare inerente al progetto dell’Istituto scolastico.

Seconda giornata

La seconda giornata di incontri (1° maggio) è stata aperta dal laboratorio Su tessingiu de prama e de iscraria (L’intreccio delle palme e dell’asfodelo) condotto magistralmente da Luca Meloni e Giuseppina Putzu, entrambi di Tertenia. Con l’intreccio dell’asfodelo le donne terteniesi creavano diversi tipi di cestini dedicati alla lavorazione della farina e del pistoccu, un tipo di pane utilizzato soprattutto nell’ambiente del lavoro agropastorale, per la sua durata temporale. I cestini creati non erano utilizzati solo nell’ambito domestico, ma anche come merce di scambio per contribuire al fabbisogno familiare. L’intreccio delle palme è una tradizione più recente, legata all’ambito religioso, in particolare ai riti della Domenica delle palme e della Settimana Santa.

Lavorazione dell’asfodelo e della palma – foto di Pierpaolo Loi

Nel secondo incontro della mattinata, Francesco Sardu, attento conoscitore della storia e della cultura sarda, con la sua relazione su Mexinas de is feminas e resistentzia (La medicina delle donne e la resistenza), ha proposto il racconto di un passato lontano in cui la contrapposizione tra cultura ufficiale e cultura popolare ha avuto l’apice con la repressione, in particolare nei confronti delle donne, messa in atto dall’Inquisizione ecclesiastica e statale. Di fronte ad essa, le comunità sarde, in particolar modo nei villaggi – ha affermato il relatore – hanno messo in atto modalità di autodifesa e di determinazione per salvaguardare la vita delle donne portatrici di saperi a causa dei quali talvolta sono state portate in giudizio e condannate.

Pomeriggio

Dopo la pausa pranzo, nel primo pomeriggio, il laboratorio “Tessere relazioni”, a cura dell’Associazione Rete donna aps di Villaputzu, che coinvolge donne di tutti i paesi del Sarrabus. Una breve presentazione sulla nascita dell’associazione come progetto per le donne in condizione di fragilità psicologica economica e sociale: «uno spazio protetto per il lavoro di gruppo in laboratorio e la tessitura come strumento di conquista della consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte, decisioni e azioni, sia nell’ambito delle relazioni interpersonali sia in quello della vita politica e sociale». A seguire il laboratorio che ha presentato gli elementi base della tessitura tradizionale con il coinvolgimento delle persone presenti, tutte intente a tessere con piccoli telai, districandosi fra trama e ordito, tra licci e fessure del pettine, per ottenere un piccolo tessuto.

Il pomeriggio si è arricchito di tre incontri di un’intensità a dir poco straordinaria con Damiano Rossi della “Stazione dell’Arte” di Ulassai che ha presentato la figura dell’artista Maria Lai; con Adelina Talamonti col suo libro «La carne convulsiva. Etnografia dell’esorcismo»; con Enedina Sanna con i suoi contos (racconti) attinti dalle narrazioni orali registrate e conservate negli archivi etnografici della Sardegna.

Damiano Rossi nella sua relazione su “L’ Eredità di Maria Lai” ha parlato dell’universo poetico dell’insigne artista di Ulassai, all’interno del quale «la tessitura dà forma a una molteplicità di riflessioni e racconta storie declinate dal ritmo delle trame: tele e libri cuciti, sorprendenti geografie su stoffa, installazioni visionarie come “Legarsi alla montagna” (1981), primo esempio in Italia di arte relazionale».

Adelina Talamonti, nella sua relazione, “La costruzione della strega”, ha evidenziato «come la figura della strega sia stata costruita in determinati periodi storici da saperi (demonologico, giudiziario) e pratiche (inquisitoriali) che ne definiscono le caratteristiche e giustificano la repressione». Ha sottolineato, inoltre che la stregoneria non è una credenza o una superstizione, ma un modo di rappresentare il mondo e le forze invisibili che lo animano. La fissazione dell’immagine della strega è determinata dalla rilettura in termini diabolici di saperi e pratiche popolari appartenenti alle donne. Un accenno anche ad alcune interpretazioni femministe della stregoneria che privilegiano l’appartenenza di genere, restituendo voce alle innumerevoli donne processate e bruciate come streghe.

Enedina Sanna, esperta di storitellyng, fondatrice dell’Associazione culturale “Archivi del Sud”, nel suo incontro su “Contos e Crochet. Intrecciare storie e fili in tempo di guerra”, ha incantato il pubblico col suo narrare fiabe e racconti della Sardegna. «Ho preso in mano su cruché come lo chiamava mia nonna, maestra di uncinetto, ho ascoltato lo scorrere della lana tra le dita, ho ritrovato gesti di bambina per curare il dolore di questo tempo di genocidio, tempo di riarmo. A noi di questo tempo tocca il testimone di riprendere a intrecciare i fili per rammendare la trama del mondo». Affascinante la fiaba del pastorello attratto da una luce lontana e da una voce dolce di ragazza, in realtà una jana (fata); o il racconto della bambina accorta che solo osservando i gesti della maestra dei saperi riesce a portare alla mamma e a tutte le donne il segreto della lievitazione. Certamente il raccontare di Enedina ha immerso le persone in ascolto in sensazioni profonde di sollievo, di cura del dolore e di desiderio di impegno per un altro mondo possibile.

Su ballu tundu – foto di Pierpaolo Loi

Queste due splendide giornate, anche per il sole che ha brillato durante il giorno e per le notti stellate, sono state rese possibili dall’encomiabile lavoro di volontari e volontarie delle associazioni che hanno organizzato l’edizione 2025 di S’Atobiu, in particolare il gruppo di Tertenia per l’accoglienza calorosa, la presentazione delle relatrici e dei relatori, per i pasti e i sorrisi condivisi; grazie anche alla collaborazione del parroco  Don Joilson Macedo Oliveira che ha messo a disposizione i locali. Essenziale è stata la presenza del banchetto dei libri delle case editrici che hanno aderito a questo festival. In conclusione: «Dictis non armis – Con le parole non con le armi» (motto del festival “SetteSere SettePiazze SetteLibri” di Perdasdefogu) e con i balli e le danze – aggiungo io.

Pierpaolo Loi

Catania, San Berillo curato dall’associazionismo solidale dopo l’abbandono del Comune

San Berillo è oggi un quartiere con strade sconvolte e impraticabili, tombini aperti, residenti che hanno difficoltà a raggiungere le proprie abitazioni. La “rigenerazione urbana” prevista dal Piano Urbano Integrato, si è rivelata – fino ad oggi – un disastro, nonostante il sindaco l’avesse descritta come un’occasione per rendere finalmente il quartiere più vivibile e per migliorarne la “immagine collettiva”.

Chi nel quartiere vive ed opera aveva espresso da subito le sue perplessità. Rimuovere la pavimentazione esistente (peraltro in ottimo stato perché rifatta in pietra lavica da appena un decennio) per sostituirla con una “nuova pavimentazione, sedute e fioriere”, era davvero il modo più opportuno di spendere circa due milioni di euro per un quartiere socialmente complicato come questo?

Ok la sistemazione degli impianti di acque di scarico e illuminazione, ma davvero non si poteva prendere in  considerazione il documento presentato dalle associazioni?

L’Amministrazione ha deciso di proseguire nella strada intrapresa, senza neanche garantire la rapidità e il coordinamento dei lavori.

cantiere lavori progetto PUI a San Berillo

Iniziati nel mese di ottobre, i lavori non sono stati ancora ultimati.  Procedono a rilento, portati avanti da pochi operai e affidati  a ditte diverse, con cantieri nuovi che vengono aperti senza che nessuno di quelli già avviati sia stato ancora chiuso. La denuncia di questa situazione agli uffici competenti, nonostante le rassicurazioni e la modifica di qualche tempistica,  non ha portato frutti tangibili.

Se la deriva non è totale, lo dobbiamo all’impegno di alcuni residenti e delle associazioni attive nell’area che non si sono rassegnate all’inevitabile e cercano il modo di essere comunque presenti, continuando a fare rete tra loro e costruendo nuove forme di collaborazione.

L’Osservatorio urbano e laboratorio politico, di cui fanno parte la parrocchia del Crocefisso della Buona Morte, il Centro Astalli, la Casa della Mercede, il Sunia, la San Berillo Calcio ASD , i giovani gambiani, dopo l’esperienza riuscita di un primo pranzo di quartiere, ne ha organizzato di recente un altro, con il contributo di tutti i residenti che hanno cucinato, delle associazioni che hanno messo a disposizione tavoli e bevande, di chi ha fatto musica per rallegrare il convito.

Il 27 aprile altro appuntamento organizzato dall’Osservatorio in piazza Falcone, “Insieme per San Berillo”, un momento di incontro, di festa, tra chi abita nel quartiere e chi ci lavora, tra catanesi e migranti, adulti e bambini, con un mercatino solidale a scopo di autofinanziamento.

Ci sono le cooperative agricole di giovani africani come Dokulaa e Afrisicilia, con i loro prodotti, ma anche associazioni che si occupano di salute e fanno opera di sensibilizzazione nelle piazze, come “Un battito e un respiro” o tengono ambulatori gratuiti, come “Italian help sistem for life”,  ospitato dai Cavalieri della Mercede. E associazioni che non operano a San Berillo ma si riconoscono nella impronta solidale di iniziative come questa, da Mani Tese che in via Palermo, a “Fieri”, organizza laboratori di sartoria e falegnameria per migranti minorenni non accompagnati, alla sartoria sociale “Moda operandi” dell’ associazione Penelope, che si occupa di giovani donne sfuggite alla tratta.

E poi musica e canzoni, i giocolieri di Spazio Clatù che intrattengono grandi e piccini, un clima sereno, un’occasione perché questo quartiere dia un’immagine di sé diversa dalle facili etichette negative. E, soprattutto, un modo semplice di stare insieme che pian piano (ma questo lo sanno solo gli operatori più attivi e presenti) sta cominciando a coinvolgere anche chi a San Berillo vive e lavora vive e lavora con alle spalle un passato e una storia difficile.

Qualche giorno dopo, “Il primo maggio del lavoro migrante”, l’iniziativa partita da Officina Rebelde e Trame di quartiere, una intera giornata di aggregazione con musica, pranzo sociale offerto, da Dokulaa Cooperativa Sociale, e una assemblea sul lavoro migrante in via Carro, “invisibilizzato da chi ci sfrutta e governa ma ormai indispensabile per mandare avanti settori come quelli del turismo e dell’agricoltura. Per questo abbiamo deciso di costruire un Primo Maggio differente, dentro lo storico quartiere di San Berillo, che comprende un pranzo sociale, momenti di dibattito, momenti musicali”. Lo leggiamo nel volantino sottoscritto dalla Rete antirazzista catanese, LHIVE diritti e prevenzione, il sindacato USB e naturalmente gli organizzatori.

San Berillo diventa quindi un luogo di sperimentazioni che possono dire qualcosa di importante a tutta la città, nel merito e nel metodo. Nonostante, o forse proprio a partire dall’abbandono in cui viene lasciato. Un abbandono che non escludiamo sottenda un progetto speculativo.

San Berillo: abbandonato dal Comune, curato dalle Associazioni

Redazione Sicilia

Bari, intere scolaresche al Villaggio Esercito per propaganda di guerra

Come è accaduto a Roma, a Firenze, a Gioia del Colle e in tutte le città in cui si mette in scena questa muscolosa prova di forza, con annessa retorica sulla difesa, sull’aiuto delle forze armate in caso di emergenza, sulle “missioni di pace” dell’esercito in giro per il mondo, anche in questo caso sono le maestre, senza alcuna vergogna, a Bari a condurre gli alunni e le alunne al Villaggio Esercito a contatto con carri armati, elicotteri da guerra, droni e cani artificiali da guerra.

E ancora una volta, come Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ci interroghiamo sul valore pedagogico e didattico di queste visite; ci chiediamo come sia possibile farsi incantare da attrazioni come il veicolo blindato Centauro2, il VTMM Ordo, l’elicottero AH129 Mangusta, un simulatore di volo e numerosi assetti EOD (Explosive Ordinance Disposal).

Assistiamo ancora una vola imbelli disarmati a questo assedio nelle nostre città, addirittura di quattro giorni a Bari, in cui si cerca di convincere i bambini e le bambine che le forze armate portino la pace, mentre, invece, bisognerebbe raccontare ai/alle più giovani di tutte le volte che l’esercito è intervenuto, senza l’egida dell’ONU, ma in seno all’alleanza più guerrafondaia mai esistita, cioè la NATO, per destabilizzare e rovesciare regimi, seminando morte ovunque.

Del resto, in un momento storico che vede il riarmo dell’Europa per compiacere l’alleato americano contro la presunta minaccia costituita dalla Russia e dallo jihadismo islamico; in un contesto che legittima la violenza perpetrata dal nostro alleato Israele contro la popolazione civile palestinese, falcidiata da quello che si palesa sotto gli occhi di tutti e tutte come un genocidio; in uno scenario che prevede per questi ragazzi e queste ragazze il ritorno della leva obbligatoria per ingaggiare nuovi conflitti (come abbiamo spiegato qui), portare i bambini e la bambine a giocare e divertirsi con gli strumenti di guerra e di morte rasenta non solo la beffa, ma l’idiozia di adulti e di insegnanti che diventano complici dell’erosione del futuro dei giovani, abbandonandoli ad un destino di distruzione totale.

Come Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università restiamo basiti e spaventate davanti alle foto di maestre che sorridono mentre si sta scrivendo la pagina più brutta della loro scuola. Chiediamo, pertanto, ai genitori di opporsi a queste iniziative, essi ne hanno facoltà e per questo l’Osservatorio ha messo a disposizione una serie di mozioni all’interno del Vademecum contro la militarizazione.

In fondo, non ha detto il ministro Giuseppe Valditara che occorre il consenso dei genitori per determinate iniziative scolastiche? Ebbene, cominciamo proprio con l’opporci come docenti, come genitori e come studenti e studentesse a tutte le iniziative di propaganda bellica e a tutte le retoriche occidentaliste che cercano di costruire il nemico per le guerre che ingaggeremo domani.

Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università