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L’astensione selettiva nei Referendum: una strategia politica sistematica

Submitted by enzo de simone on
urna

In Italia, il comportamento della classe politica nei confronti dei referendum si è rivelato, nel corso degli anni, tanto coerente quanto paradossale: di fronte alle consultazioni referendarie – specialmente abrogative – i leader politici, trasversalmente a schieramenti e ideologie, hanno frequentemente invitato i cittadini a non partecipare, esortandoli esplicitamente ad “andare al mare”, “approfittare della bella stagione” o semplicemente a “non votare”. Si tratta di un invito all’astensione chiaro e sistematico, finalizzato a far mancare il quorum del 50% + 1 degli aventi diritto al voto e quindi a rendere nullo il risultato della consultazione.

Una “astensione virtuosa”: la narrazione rovesciata

In questi casi, l’astensione è descritta in modo paradossale come un comportamento virtuoso, saggio, maturo, una scelta politica “raffinata” rispetto al semplice esprimere un “sì” o un “no”. I messaggi lanciati dai partiti (spesso anche sottotraccia, per evitare esplicite sanzioni o polemiche) convergono su un unico obiettivo: delegittimare lo strumento referendario, spostando il focus dal merito del quesito all’inutilità o dannosità della consultazione stessa.

Questo atteggiamento è stato osservato a prescindere dal colore politico del governo o dei partiti dominanti: dalla Democrazia Cristiana degli anni Ottanta e Novanta, al Partito Democratico, fino ai movimenti del centrodestra e perfino al Movimento 5 Stelle in tempi più recenti, una volta giunto nelle stanze del potere.

Il rovesciamento dell’etica democratica

Il paradosso diventa ancor più evidente se confrontiamo questo atteggiamento con la retorica messa in campo durante le elezioni politiche o amministrative, dove l’astensione viene trattata come un problema grave, una minaccia alla democrazia, un segno di “sfiducia” e “disaffezione” da combattere con ogni mezzo. In quei casi, si moltiplicano gli spot istituzionali, le campagne di comunicazione, gli inviti pressanti al voto da parte di media e istituzioni. Partecipare diventa un dovere civico.

In altre parole: se si tratta di eleggere un rappresentante (che riceverà una delega in bianco per cinque anni), il cittadino è chiamato alle urne con insistenza. Se invece si tratta di esprimere un’opinione diretta su un tema concreto e specifico, allora l’astensione viene quasi incoraggiata, quando non apertamente auspicata.

Referendum: voce diretta, non mediata

Eppure, sul piano della democrazia sostanziale, il referendum rappresenta la massima espressione della sovranità popolare diretta. È il momento in cui il cittadino non è chiamato a scegliere “chi” dovrà decidere al suo posto, ma è direttamente interpellato sul “cosa” deve essere deciso. Le consultazioni referendarie, dunque, non solo esaltano il principio della partecipazione consapevole, ma mettono al centro idee, valori, norme giuridiche che incidono concretamente sulla vita quotidiana dei cittadini.

Invitare all’astensione in questi casi equivale a negare il principio stesso di sovranità popolare, sostituendo la discussione pubblica con il silenzio, e il confronto democratico con il disinteresse pilotato.

Una strategia pericolosa

Questa doppia morale – astensione “civica” nei referendum, partecipazione “civile” nelle elezioni – è una forma di ingegneria politica sottile e pericolosa. Serve a mantenere il potere decisionale nelle mani dei partiti e delle élite parlamentari, impedendo che il corpo elettorale possa intervenire con efficacia su temi controversi o divisivi.

La stessa struttura del quorum rende il referendum facilmente sabotabile: mentre in molte democrazie avanzate il quorum non esiste, in Italia esso rappresenta un vero e proprio tallone d’Achille dello strumento referendario, rendendolo vulnerabile proprio a questa strategia dell’astensione organizzata.

Verso un ribaltamento necessario

Alla luce di questa analisi, si potrebbe persino sostenere una tesi provocatoria ma coerente: l’invito al voto dovrebbe essere prioritario per i referendum, non per le elezioni politiche. In una democrazia pienamente matura, infatti, le consultazioni dirette sui temi specifici dovrebbero essere celebrate come momenti alti di partecipazione e confronto, in cui il cittadino è protagonista e non semplice spettatore o tifoso.

Promuovere la partecipazione attiva ai referendum significa responsabilizzare l’elettorato, stimolare il dibattito, rendere i cittadini consapevoli del proprio potere di influire concretamente sulle scelte collettive.

Questa strategia, trasversale a tutte le forze politiche, è volta a far mancare il quorum del 50% + 1 degli aventi diritto al voto previsto dalla Costituzione italiana per i referendum abrogativi, al fine di invalidare il risultato anche in presenza di una netta maggioranza tra i votanti.

Ci troviamo dunque di fronte a un fenomeno paradossale ma sistemico: l’astensione nei referendum viene proposta come un comportamento responsabile, quasi “intelligente”, quando invece si tratta di una rinuncia organizzata alla partecipazione politica. L’argomento dell’astensione come strumento per “non legittimare” il quesito o per “punire gli avversari” si basa su una logica profondamente antidemocratica.

Al contrario, nelle elezioni politiche o amministrative, in cui i cittadini non votano per decidere su singoli temi ma per delegare il potere legislativo e decisionale a rappresentanti, l’astensione è descritta come una piaga da combattere. I media si mobilitano, lo Stato finanzia campagne informative (spesso costose), e si moltiplicano gli appelli al voto.

Questo rovesciamento della retorica democratica produce una distinzione assurda:

  • Astensione referendaria → virtuosa, saggia, “fredda”

  • Astensione elettorale → incivile, pigra, disinformata


Perché è un pericolo per la democrazia

Tale atteggiamento ha effetti distorsivi profondi:

  • Svaluta gli strumenti di democrazia diretta previsti dalla Costituzione;

  • Centralizza il potere nei partiti, escludendo il cittadino dalle decisioni cruciali;

  • Depoliticizza le questioni di merito, trasformando un dibattito sulle idee in una gara tattica tra apparati.

Nel tempo, questa prassi ha prodotto un vero e proprio svuotamento culturale del referendum, oggi percepito da molti come un atto inutile o secondario, anziché come lo strumento principe del controllo popolare sulle leggi.


Proposte per invertire la rotta

Un ribaltamento è non solo auspicabile, ma urgente. Alcune possibili direzioni:

  • Abolizione del quorum strutturale (come già avviene in Svizzera o nei referendum locali in Italia);

  • Obbligo di comunicazione imparziale nei media pubblici su ogni referendum ammesso;

  • Campagne pubbliche neutrali ma informative, come per le elezioni politiche;

  • Sanzioni per l’invito esplicito all’astensione, che può configurarsi come ostruzionismo democratico.


In una vera democrazia, i referendum dovrebbero essere celebrati, non temuti. Sono momenti in cui i cittadini possono discutere e decidere su idee e soluzioni concrete, senza delegare, senza filtri, senza intermediazioni.
Il comportamento dei partiti italiani – che invitano alla partecipazione solo quando hanno qualcosa da guadagnare – rivela una visione strumentale e paternalistica della sovranità popolare.

È tempo di rivendicare il referendum come strumento nobile di democrazia diretta, da salvaguardare e rilanciare. Non andando al mare, ma andando a votare.



Il fondamento costituzionale e normativo del referendum

L’articolo 75 della Costituzione italiana stabilisce:

«È indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono 500.000 elettori o cinque Consigli regionali.
La proposta sottoposta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.»

Il quorum strutturale inserito in Costituzione è spesso giustificato con l’intento di evitare che una minoranza attiva possa decidere per tutti. Tuttavia, in pratica, questo meccanismo ha trasformato lo strumento referendario in un’arma spuntata nelle mani dei cittadini, facilmente neutralizzabile attraverso l’invito all’astensione.


Storia dell’astensionismo strategico: una prassi trasversale

Anni ’90: il caso della DC e i referendum sul nucleare e sulla giustizia

Dopo il successo dei primi referendum negli anni Settanta (divorzio 1974 e aborto 1981), i partiti iniziarono a temere la forza mobilitante del voto referendario.
Nel 1987, tre referendum promossi dai Radicali abrogarono il ricorso al nucleare in Italia, con un’affluenza del 65%. Il risultato fu un colpo durissimo per la politica energetica nazionale. Da quel momento, la Democrazia Cristiana e i partiti di governo iniziarono a vedere nel referendum un pericolo.

Nel 1995, per esempio, la DC (ormai in dissoluzione) e parte dell’establishment invitarono all’astensione su quesiti riguardanti la giustizia e il sistema radiotelevisivo, già all’epoca al centro del conflitto d’interessi di Berlusconi. Il quorum non fu raggiunto, nonostante i sì superassero il 90%.

2003: il centrosinistra invita a disertare le urne

Nel referendum sulla modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, la CGIL e buona parte del centrosinistra – paradossalmente a favore del contenuto – scelsero comunque di non votare, temendo che la consultazione fosse strumentalizzata dal centrodestra. Anche in quel caso, l’astensione fu efficace: l'affluenza si fermò al 25%.

2009: il PDL e la campagna contro il quorum

Nel 2009, il Popolo della Libertà (PDL) e il governo Berlusconi scelsero la via dell’astensione attiva per disinnescare tre referendum sulla legge elettorale. Il ministro Frattini parlò apertamente di “astensione come scelta politica”. Risultato: affluenza al 23% e referendum annullati.

2016: il PD e il referendum sulle trivelle

Il caso forse più emblematico è quello del referendum del 17 aprile 2016, promosso da nove regioni contro le concessioni a tempo indeterminato per le trivellazioni petrolifere in mare.
Il governo Renzi non solo invitò apertamente all’astensione, ma lo fece in modo sarcastico e derisorio. Renzi stesso dichiarò:

“Andate al mare, il referendum non serve a niente”.

Il quorum non fu raggiunto (31,2%) e il referendum fu invalidato, nonostante oltre l’80% dei votanti si espresse per l’abrogazione.

2022: cinque referendum sulla giustizia: un’occasione ignorata

Nel 2022, cinque referendum sulla giustizia promossi dalla Lega e dai Radicali vennero completamente oscurati dal dibattito pubblico. I partiti, anche quelli teoricamente favorevoli, evitarono qualsiasi mobilitazione. L’affluenza si fermò al 20%, rendendo nullo l’intero processo.



Fonti e riferimenti

Normativa e giurisprudenza

Studi e riflessioni

Per saperne di più

Per chi desidera approfondire il tema del referendum come strumento di partecipazione diretta e le contraddizioni nella sua promozione da parte delle istituzioni:

  • Zagrebelsky, G., La democrazia al bivio, Laterza, 2006

  • Azzariti, G., Democrazia costituzionale e strumenti di partecipazione, Il Mulino, 2013

  • Allegri, G., Contro la democrazia delegata, DeriveApprodi, 2014

  • Travaglio, M., Perché no, PaperFirst, 2016