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Le inchieste di Viktoriia Roshchyna, la giornalista ucraina torturata e seviziata a morte durante la prigionia russa, non si fermeranno

«NM SPAS 757». Un disumanizzante acronimo, che significa «uomo non identificato» e «danni estesi alle arterie coronarie», è l’unica informazione che gli intermediari della Croce Rossa Internazionale hanno della 27enne giornalista ucraina Viktoriia Roshchyna, quando, lo scorso 14 febbraio, analizzano le liste dei corpi scambiati.

Il suo corpo, l’ultimo dei 757, come riporta la targhetta, è in un sacco di plastica bianco e per il suo riconoscimento è necessaria l’analisi del DNA. Ha la testa rasata, ustioni sul corpo e segni di scosse elettriche, le mancano tre organi: cervello, occhi e laringe. Non pensare, non vedere, non parlare: è ciò che chiede il Cremlino agli ucraini sotto occupazione, ma pure ai propri cittadini e al resto del mondo in relazione alle proprie azioni militari e politiche. 

«Siamo rimasti fedeli alla nostra missione, quella di trasmettere la verità al mondo, contrastando la propaganda russa. Purtroppo, molti giornalisti sono morti. Voglio dedicare questo premio a loro. In fondo, sono morti nella lotta per la verità, cercando di documentare i crimini russi. Li ringrazio», aveva detto Roshchyna nel 2022, mentre riceveva un premio per il coraggio dalla International Women’s Media Foundation, pur non partecipando alla cerimonia a Los Angeles perché doveva continuare il suo lavoro. Le sue colleghe ucraine avevano raccontato la sua storia poche settimane fa a Perugia, al Festival Internazionale del Giornalismo.

Roshchyna è stata catturata dai militari russi a Enerhodar, la città dormitorio della Centrale Nucleare di Zaporižžja (al centro delle presunte trattative di pace tra Stati Uniti, Ucraina e Russia), il 3 agosto 2023. Un anno dopo avrebbe parlato ai suoi genitori per quattro minuti, e molti si aspettavano che sarebbe tornata in Ucraina in un imminente scambio di 49 prigionieri di guerra ucraina. Papa Francesco aveva fatto il suo nome durante le conversazioni del Vaticano con la Russia, chiedendone la liberazione. Invece, Viktoriia non c’era. 

Lo scambio avveniva il 13 settembre 2024, lo stesso giorno in cui la giornalista sarebbe morta, come avrebbe scoperto la sua famiglia, di Krivyi Rih, a 30 chilometri dal fronte, in una lettera inviata dai russi il 10 ottobre. Il padre, un veterano della guerra in Afghanistan, era contrario ma non si era opposto alla volontà della figlia di arrivare nei territori occupati. Oggi, non crede ai risultati di corrispondenza genetica del corpo morto della figlia, e continua a scrivere disperatamente alla prigione russa SIZO-2 di Taganrog, dove Vitkoriia era detenuta. Il direttore del carcere ha risposto solo due volte, l’ultima volta lo scorso gennaio, negando persino che sua figlia sia mai stata lì, poiché “non presente nei nostri database”.

Nonostante i tentativi di dissuasione dei suoi editor, tra cui Hromadske e Ukrainska Pravda, Viktoriia voleva essere una delle poche giornaliste ucraine, come ricorda la direttrice di Ukrainska Pravda, Sevgil Musaeva, a testimoniare le condizioni di vita nei territori ucraini occupati dai russi dopo il 2022. Vi era stata almeno quattro volte, e durante la prima, poche settimane dopo l’invasione, mentre si muoveva da Berdyans’k a Mariupol, era stata già catturata dai russi, rilasciata dopo 10 giorni e costretta a ringraziarli davanti a una telecamera di bassa qualità.

Un mese prima di essere arrestata a Enerhodar, Roshchyna aveva pubblicato una lunga inchiesta su due adolescenti uccisi a Berdyans’k per le loro attività filo-ucraine. Era un momento storico, la controffensiva ucraina, poi fallita, era appena cominciata, mentre nelle stesse settimane Prigozhin e la Wagner sfidavano apertamente l’autorità del potere russo, in cui molti nei territori occupati avevano creduto a un rapido ritorno delle forze ucraine e le azioni di sabotaggio partigiane erano aumentate.

Partire dalla Polonia, e passare il confine russo dalla Lettonia per poi dirigersi verso il Donbas occupato era l’unico modo per arrivare a Enerhodar e Melitopol’, dove Vitkoriia voleva indagare sulle migliaia di ‘detenuti fantasma’, cittadini ucraini scomparsi nell’occupazione senza notizie sulle loro detenzioni e cause del processo. Pochi giorni dopo, Viktoriia sarebbe diventata una di loro.

La ricerca della verità, a cui aveva legato la sua vita, non si fermerà. 13 testate internazionali, tra cui la stessa Ukrainska Pravda, Guardian, Le Monde, Der Standard porteranno avanti le inchieste sui crimini russi all’interno del Viktoriia Project, coordinato da Forbidden Stories, un’organizzazione senza scopo di lucro francese che protegge il lavoro dei giornalisti minacciati e porta avanti le inchieste dei reporter che sono stati ridotti al silenzio, come Viktoriia e circa 170 giornalisti a Gaza.

Una collaborazione internazionale di 45 giornalisti che ha deciso di continuare il suo lavoro, indagando sulle detenzioni arbitrarie degli occupanti russi, i circa 20,000 ‘detenuti fantasma’ su cui indagava Viktoriia, e sulle condizioni delle carceri in cui destini macabri e disumani come questo sono la tragica normalità: secondo l’intelligence ucraina, solo a Taganrog sono state registrate quindici morti. “Un posto in cui ti penti di essere nato,” racconta una delle cinquanta testimoni, tra cui quattro funzionari carcerari russi che hanno deciso di disertare.

Il lavoro di reporter coraggiose come Viktoriia è fondamentale perché non scenda il buio anche sulle aree occupate delle oblast’ di Kherson, Zaporižžja, Kharkiv e delle città cadute in mano ai russi a Donec’k e Luhans’k negli ultimi tre anni. Perché anche queste terre non seguano il destino intrapreso nel 2014 dalle due autoproclamate repubbliche popolari in Donbas, in cui la violazione dei diritti umani più basilari è sottoposta all’arbitrarietà delle truppe di occupazione e dei collaborazionisti separatisti. 

L’invasione ha creato una cortina di ferro all’interno dell’Ucraina, proiettata nel mondo. Oggi, mentre si parla astrattamente di trattative di pace tracciando linee di righello imposte dal Cremlino, quasi nessuno, a Washington, Bruxelles, Pechino, tiene in considerazione ciò che le persone rimaste nelle proprie case hanno subito negli ultimi tre (e undici) anni: cosa pensino della loro vita recente e come immaginano il proprio futuro.

Lavori come quello di Viktoriia erano fondamentali anche all’interno dell’Ucraina stessa, in cui troppo spesso una semplificazione altrettanto disumanizzante colpevolizzava gli abitanti di questi territori della loro condizione, causata da un presunto filorussismo dilagante e plebiscitario. Gli articoli di Viktoriia Roshchyna, pubblicati nei principali media ucraini, scardinavano questa semplificazione, raccontando piccoli e grandi gesti di coraggio. Nonostante le pressioni, la paura, il senso di abbandono. 

Che la morte di Viktoriia possa svegliare quante più coscienze davanti alla presenza, alle porte dell’Europa, di una prigione a cielo aperto ampia decine di migliaia di chilometri quadrati.

Immagine in anteprima: frame video Forbidden Stories via YouTube

1 giorno 7 ore ago