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Marussia Bakunin

Mirella Armiero “Un pensiero ribelle. Maria Bakunin, la Signora di Napoli” – Solferino Editore (Milano, 2025, pagg 176, €. 16,50)

All’affascinante vicenda umana e politica, alla complessa e ricca vita di Marussia Bakunin, donna e studiosa libera e ribelle che ha preceduto il suo tempo, è dedicata la bella, coinvolgente partecipata e appassionante ricostruzione biografica della giornalista napoletana Mirella Armiero, autrice del volume “Un pensiero ribelle. Maria Bakunin, la Signora di Napoli”

Maria – detta Marussia – Bakunin nasce il 2 febbraio 1873 a Krasnojarsk, una gelida città della Siberia, ma vivrà il resto della sua vita nel «paese del sole». Napoli è la città che nel 1865, dopo la straordinaria evasione dal carcere siberiano, fu scelta dal padre, l’agitatore e pensatore anarchico Michele Bakunin, per il sole, per la rivoluzione, per il popolo e soprattutto per il caffè; qui sarà uno dei maggiori ispiratori del Circolo e del settimanale «Libertà e Giustizia» pubblicato dal 17 agosto al 24 dicembre 1867.

La sorella di Marussia, Sofia, è la madre di Renato Caccioppoli, il matematico antifascista e comunista che nel 1938, sfidando un drappello di soldati nazisti, canta e suona La Marsigliese; la zia riesce a sottrarlo alla galera fascista. Stando ad alcune ricerche e scoperte, più che di Michele Bakunin, con il fratello e con la sorella, Maria è figlia di Carlo Gambuzzi, avvocato anarchico napoletano amico del padre, che dopo la morte di Bakunin, avvenuta nel 1876, sposerà la giovane vedova Antonia e farà studiare i tre figli. Già nel 1930 Marussia difenderà con forza e rabbia la memoria del padre dal fango e dalle allusioni di un’aristocratica scrittrice russa sulle «nozze bianche», sull’amore extraconiugale dell’eroica madre, che aveva seguito il padre nella fuga e nell’esilio. A Parigi incontra l’editore Gallimard e l’autrice, e si accordano di eliminare i pettegolezzi. L’accordo non verrà rispettato perché «gli editori sono dei mercanti che cercano di guadagnare soldi e, pur di vendere alcune copie in più, sarebbero capaci di vendere i loro genitori e figli». Ciò nonostante, in Europa e nel mondo intero il mito e la memoria di Bakunin continueranno ad alimentare il desiderio insopprimibile e la lotta dell’umanità per la conquista – attraverso la rivoluzione sociale – della libertà, dell’uguaglianza, della dignità umana negata ai popoli dai prepotenti e dai tiranni.

Nel corso della sua vita la «professoressa» sarà più che orgogliosa e onorata del cognome Bakunin: in una lettera allo studioso austriaco Max Nettlau, al quale manda in continuazione lettere e documenti che riguardano la vita del padre, ricorda che questa fu spesa sulle barricate rivoluzionarie europee per i deboli, i poveri e gli sfortunati di tutto il mondo, per la libertà e la dignità umana.

Marussia è la prima donna in Italia a iscriversi alla facoltà di Chimica dell’Università di Napoli e a laurearsi nel 1895. Poi le sarà assegnata la cattedra e sarà anche la prima donna in Italia a insegnare Chimica fino al pensionamento, a 75 anni. Tra i suoi studenti, che non dimenticano la sua severità ma che stimeranno sempre, c’è – come mi riferì la moglie, la scrittrice Pia Zanolli – anche il giovane anarchico calabrese Bruno Misefari. Quando è necessario incoraggia nello studio i suoi allievi e alla sua scuola si formeranno molti futuri ricercatori e importanti scienziati.1718

L’11 giugno 1896 – nonostante 26 anni di differenza – sposa il suo professore, Agostino Ogliarolo, scienziato siciliano e futuro rettore.

La carriera avrà anche altri primati. Nel 1906 si occupa dell’eruzione del Vesuvio. Dal 1910 al 1930 nel salernitano, nei Monti Picentini, che raggiunge a piedi o a dorso di mulo, scopre e analizza gli scisti, rocce sedimentarie scure ricche di materia organica che producono ittiolo, un unguento che per le sue proprietà antisettiche e antinfiammatorie è utilizzato in medicina e in dermatologia. La fabbrica per la produzione dell’ittiolo, costruita nel 1912 su consiglio di Marussia da due imprenditori locali, darà lavoro a molte persone, fra cui molte donne. A valle della miniera fa costruire addirittura la scuola per i figli dei minatori di Giffoni Valle Piana (Salerno), dove Marussia abita, ospite dell’ingegnere Giuseppe Pistilli. Oggi la «magnifica casa di famiglia» appartiene al professore e studioso Vittorio Dini, alla cui grande cortesia e ospitalità devo l’onore di averla visitata anni fa, accompagnato dalla grande emozione di calpestare lo stesso pavimento calpestato dalla «figlia di Bakunin», del quale conosco e ammiro gli scritti, il pensiero e la vita. Oltre ai muri superstiti della scuola, percorrendo la mulattiera dei monti Picentini, si trova la grande vasca circolare sepolta dalla vegetazione, nella quale si riscaldava il materiale per estrarre l’ittiolo e si incontra la tettoia della polveriera, dove si fabbricavano i candelotti di dinamite per spaccare la montagna.

Il museo laboratorio dove Marussia lavorò è custodito da Virgilio De Mattia, conoscitore dei luoghi da quando era bambino: il padre, operaio della miniera, legatolo alla sella del mulo, lo portava con sé. Di quelle rocce Virgilio sa ogni segreto e da alcune, a mani nude – incantandosi – separa i vari strati mentre nell’aria si avverte l’odore caratteristico dell’ittiolo. Quando rompe una pietra e intravede l’orma di una foglia o di un fossile a ragione afferma: «Quando salgo da queste parti, posso trascorrere ore leggendo una pietra…».

Il 12 settembre 1943 le truppe naziste appiccano fuoco alla sua abitazione e ai duecentomila volumi della Biblioteca dell’Università, che difende strenuamente di fronte all’ufficiale nazista che minaccia di bruciarla perché qualcuno ha sparato dalla finestra. La resistenza di Marussia è vana e molti preziosi volumi sono avvolti dalle fiamme e inceneriti.

Muore a Napoli il 17 aprile 1960. È il giorno di Pasqua. In tanti – professori, studenti, amici, popolani – seguono la sua bara, coperta da fiori bianchi e da garofani rossi, il colore della rivoluzione sognata e predicata dal padre e da lei stessa per la conquista della libertà, che – come scriveva a Max Nettlau – «è la cosa più bella che esiste su questa terra», testimoniando una fedeltà all’ideale anarchico che non ha mai abbandonato e che aveva contraddistinto la vita del padre.

Giuseppe Galzerano18

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