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Palestina, Free Nadera! Per un femminismo dell’etica della cura

Il femminismo dell’etica della cura, associato a pensatrici come Carol Gilligan (1936 ) e Joan Tronto (1952 ), enfatizza l’importanza delle relazioni, della responsabilità verso gli altri e della protezione dei più vulnerabili.
Questa prospettiva avrebbe dovuto portare a una condanna ferma delle violazioni dei diritti umani in Palestina, in particolare verso donne e bambini, che sono spesso le vittime più colpite nei conflitti.
La mancanza di una reazione forte riflette una limitazione nell’applicazione di questa etica a contesti geografici o culturali percepiti come “lontani” o “diversi”.

L’etica della cura, con il suo focus sulle relazioni, la responsabilità e la risposta ai bisogni degli altri, offre un quadro utile per criticare le logiche di guerra, violenza e oppressione, specialmente in contesti come quello palestinese. La guerra e l’occupazione sono guidate da logiche di dominio, controllo e distruzione, mentre l’etica della cura propone un’alternativa basata sulla protezione della vita, la riparazione delle relazioni e la giustizia riparativa; offre un’alternativa alle logiche militarizzate dell’occupazione israeliana. Sono temi che diverse filosofe femministe hanno affrontato, contribuendo a decostruire l’ideologia dominante e a offrire prospettive alternative basate sulla relazione, la responsabilità e la cura.

La Critica della guerra attraverso l’etica della cura mette in discussione le logiche gerarchiche, militarizzate e distruttive della guerra, proponendo un modello basato sulla responsabilità reciproca, la compassione e la costruzione di relazioni. Questo approccio può essere applicato per analizzare come la guerra e l’occupazione israeliana violino i principi di cura e umanità, specialmente nei confronti delle popolazioni vulnerabili come quelle di Gaza. Considerando il significato di resistenza o cura in Palestina molti studiosi hanno esplorato come le comunità palestinesi, nonostante la violenza strutturale, mantengano reti di solidarietà e cura. Questo è particolarmente evidente nel ruolo delle donne palestinesi, che spesso si prendono cura delle famiglie e delle comunità sotto assedio.

Carol Gilliganpsicologa e filosofa, è nota per il suo lavoro “In a Different Voice” (1982), in cui introduce l’idea di un’etica della cura contrapposta a un’etica basata su regole e giustizia astratta. Pur non affrontando direttamente la militarizzazione, il suo approccio ha influenzato molte studiose femministe che hanno applicato l’etica della cura a contesti politici e sociali, inclusa la critica alla guerra. Psicologa e filosofa nota per il suo lavoro pionieristico sull’etica della cura (ethics of care) e lo sviluppo morale delle donne, non è purtroppo particolarmente associata a scritti specifici su Gaza o sulla Palestina. La sua ricerca si è concentrata principalmente su temi di psicologia morale, genere e relazioni umane, con un focus sulle voci e le esperienze delle donne in contesti occidentali.

Tuttavia, il suo quadro teorico sull’etica della cura è stato applicato da altri studiosi e attivisti per analizzare situazioni di conflitto, oppressione e resistenza, compresa la Palestina. Ad esempio, alcuni ricercatori hanno utilizzato l’approccio di Gilligan per esplorare come le donne palestinesi esercitino forme di cura e resilienza in contesti di violenza strutturale e occupazione. Alcuni studiosi hanno applicato il concetto di Gilligan sull’etica della cura per analizzare come le donne palestinesi, specialmente a Gaza, mantengano reti di solidarietà e cura nonostante l’assedio e la violenza. Il lavoro di Gilligan sul ruolo delle donne nella costruzione di relazioni etiche e nella risoluzione dei conflitti potrebbe essere rilevante per comprendere il ruolo delle donne palestinesi e israeliane nella ricerca di giustizia e pace.

Joan Tronto critica il femminismo culturale e si distanzia da Carol Gilligan, smantella le dicotomie pubblico-privato e morale-politica, mostrando come la cura sia un’attività universale, non relegabile alla sfera domestica o alle donne. Denuncia il “deficit di cura” nelle società occidentali, dove la priorità data alla produttività economica marginalizza chi si occupa di assistenza, educazione e salute. Ha scritto: “Moral Boundaries: A Political Argument for an Ethic of Care” (1993)

Nadera Shalhoub-Kevorkian, ha applicato l’approccio di Gilligan alla Palestina, esplorando come le donne palestinesi esercitino forme di cura e resistenza in contesti di violenza strutturaleSettler Colonialism, Surveillance, and Fear (2017) Security Theology, Surveillance and the Politics of Fear 

Nel Noddings (scomparsa nel 2022), filosofa dell’educazione e teoria etica, ha integrato il pensiero di Gilligan (sulla differenza di genere nello sviluppo morale) con riflessioni originali su cura, educazione e relazionalità. Secondo Noddings la cura non è un dovere astratto, ma una pratica relazionale, e l’etica nasce dalla risposta empatica ai bisogni concreti dell’altro, superando le regole universali di teorie come kantismo o utilitarismo. Citazione emblematica: “La cura non è una virtù tra le altre. È la radice da cui crescono tutte le virtù”. Ha scritto: Caring: A Feminine Approach to Ethics and Moral Education” (1984), “Educating Moral People: A Caring Alternative to Character Education” (2002).

Sara Ruddick, (scomparsa nel 2011) nel suo libro “Maternal Thinking: Toward a Politics of Peace” (1989), sviluppa un’etica della cura basata sulla pratica del “pensiero materno”, valorizzando la protezione, la crescita e la cura della vita. Ruddick sostiene che questo approccio può essere esteso alla politica di pace, opponendosi alla logica della guerra e della violenza.

Virginia Held, ha approfondito l’etica della cura in opere come “The Ethics of Care: Personal, Political, and Global” (2006). Ha sostenuto che l’etica della cura offre un quadro alternativo per affrontare questioni globali, come i conflitti armati, promuovendo relazioni di interdipendenza e responsabilità reciproca anziché competizione e dominio.

Fiona Robinsonstudiosa di relazioni internazionali ed etica della cura, critica le politiche globali di violenza e oppressione. (“The Ethics of Care: A Feminist Approach to Human Security”). La critica femminista alla sicurezza umana è il suo contributo chiave all’etica della cura: ha ridefinito il concetto di “sicurezza umana” attraverso una prospettiva femminista, sostenendo che la sicurezza non può essere garantita senza reti eque di cura. Critica l’approccio individualista e universalista dei diritti umani, proponendo invece una visione relazionale basata sulle interdipendenze. Integra una critica postcoloniale alla sicurezza globale, evidenziando come le relazioni di cura siano influenzate da storie di colonialismo e dominazione. Ha scritto anche: “Globalizing Care: Ethics, Feminist Theory and International Relations” (1999)

Per concludere va ricordato il Palestinian Feminist Collective (PFC), movimento femminista che utilizza un approccio intersezionale ma include l’etica della cura per analizzare l’oppressione coloniale.

Il discorso critico sulla militarizzazione porta all’etica della cura come alternativa alla logica della guerra

Un discorso critico sulla militarizzazione sottolinea l’importanza delle relazioni, della responsabilità e della protezione della vita umana e non umana. A questo riguardo Sara Royeconomista e studiosa di Gaza, ha scritto ampiamente sulla resilienza delle comunità palestinesi sotto assedio. Il suo lavoro, pur non essendo esplicitamente basato sull’etica della cura, offre spunti su come le comunità mantengano forme di solidarietà e cura nonostante la distruzione. Ha scritto: “Hamas and Civil Society in Gaza” e “The Gaza Strip: The Political Economy of De-development”.

La già citata Nadera Shalhoub-Kevorkian, esplora come le donne palestinesi esercitino forme di cura e resistenza in contesti di violenza strutturale. Ha scritto:“Militarization and Violence Against Women in Conflict Zones in the Middle East”.

Carolyn Nordstromantropologa, studia guerra e violenza; ha esplorato come le comunità in contesti di conflitto mantengano reti di cura e resilienza e il suo lavoro può essere applicato al contesto palestinese. Ha scritto: “Shadows of War: Violence, Power, and International Profiteering in the Twenty-First Century”. La già citata Fiona Robinson, studiosa di relazioni internazionali ed etica della cura, ha applicato questo approccio per criticare le politiche globali di violenza e oppressione. Ha scritto: “The Ethics of Care: A Feminist Approach to Human Security”.

Nessuna delle filosofe citate ha però preso posizione riguardo alla Palestina, né si è espressa sul Genocidio a Gaza, eccezion fatta per Nadera Shalhoub-Kevorkian. E non c’è da sorprendersene: è palestinese.

Nadera Shalhoub-Kevorkian è filosofa, femminista, docente di diritto e criminologia all’Università Ebraica di Gerusalemme e Global Chair in Law alla Queen Mary University of London. La sua ricerca si concentra su temi come trauma, crimini di stato, violenza di genere, sorveglianza e studi sul genocidio, con un focus specifico sul contesto palestinese.
Tra le sue opere principali spiccano Security Theology, Surveillance and the Politics of Fear (2015) e Incarcerated Childhood and the Politics of Unchilding (2019), che analizzano l’impatto del colonialismo e dell’occupazione israeliana sui bambini e le donne palestinesi.

Il suo lavoro integra elementi di giustizia di genere, diritti umani e critica alla violenza strutturale, temi affini alla corrente filosofica dell’“etica della cura”. Ha esplorato come l’occupazione israeliana e le politiche di “unchilding” (sradicamento dell’infanzia) distruggano i legami sociali e familiari palestinesi, con implicazioni etiche sulla cura delle comunità vulnerabili. Critica il femminismo occidentale, in articoli e interventi pubblici, ha denunciato il silenzio del femminismo europeo sulle violenze israeliane a Gaza, sottolineando l’importanza di un approccio antirazzista e decoloniale alla giustizia di genere. Il suo seminario Monstrosity and Colonialism all’Università di Princeton (2024) analizza come i regimi coloniali costruiscano una “non-umanità” dei palestinesi, proponendo un’etica fondata sulla resistenza e la sopravvivenza.

Shalhoub-Kevorkian emerge come una delle poche studiose ad aver approfondito sistematicamente la situazione palestinese attraverso una lente femminista intersezionale, combinando analisi giuridiche, criminologiche e politiche. È un caso unico nel panorama accademico: si distingue per l’attenzione alla violenza quotidiana e strutturale subita dalle donne e dai bambini, documentata attraverso ricerche etnografiche decennali.

Nadera Shalhoub-Kevorkian è stata arrestata e sospesa dall’Università Ebraica di Gerusalemme (1)

Accademica di fama internazionale dell’Università Ebraica di Gerusalemme dal 1999, è stata arrestata il 18 aprile 2024 dalla polizia israeliana nella sua casa nella Città Vecchia di Gerusalemme, accusata di “incitamento al terrorismo, alla violenza e al razzismo”. Le autorità israeliane hanno anche citato il presunto legame con organizzazioni per i diritti umani, come Defence for Children International, bandita dall’entità sionista nel 2021.
Durante l’arresto, la polizia ha sequestrato il suo telefono, laptop, documenti personali e libri del poeta palestinese Mahmoud Darwish. È stata sottoposta a un trattamento degradante, tra cui perquisizione corporea, manette strette che le hanno causato ferite, privazione di acqua, cibo e farmaci per l’ipertensione (mettendo a rischio la sua salute). È stata detenuta in una cella fredda, sporca e infestata da insetti, con luci accese tutta la notte per impedirle di dormire. È stata interrogata per oltre cinque ore su temi legati al suo lavoro accademico, inclusi articoli pubblicati anni prima. L’arresto è stato preceduto da una campagna sistematica di diffamazione da parte di studenti di destra, politici e media israeliani. Nel 2024 ha definito “genocidio” l’operato israeliano a Gaza e ha messo in dubbio le narrazioni ufficiali sulle violenze sessuali del 7 ottobre. Le critiche alle sue posizioni hanno incluso accuse di “antisionismo” e “minaccia alla sicurezza”, ma tribunali israeliani hanno riconosciuto che le sue dichiarazioni rientravano nella libertà accademica. Oltre 250 accademici della Queen Mary University e organizzazioni come Adalah, MESA e il Palestinian Feminist Collective hanno denunciato l’arresto come un attacco alla libertà accademica e un esempio di repressione politica.


Il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir ha celebrato il suo arresto e Ofir Katz ha presentato una proposta di legge per porre fine alle carriere dei docenti con opinioni anti-sioniste. È stato il primo arresto di un accademico israeliano per opinioni legate al suo lavoro, rischiando di intimidire altri critici.

Il 19 aprile è stata rilasciata su cauzione dopo che due tribunali avevano respinto la richiesta di prolungare la detenzione, ritenendo che non rappresentasse una minaccia. L’università in seguito ha condannato l’arresto, sottolineando che in un paese democratico non c’è posto per arrestare una persona per le sue osservazioni, indipendentemente dalla loro natura controversa, ma non ha difeso la libertà accademica e ha contribuito al clima di ostilità.

Ecco i dettagli:

L’Università Ebraica ha svolto un ruolo attivo nel marginalizzarla. Ha alimentato una campagna diffamatoria attraverso comunicati pubblici e social media, definendo il suo lavoro “sconnesso dai valori dell’istituto”. Alcuni colleghi accademici hanno partecipato a programmi televisivi per screditare le sue ricerche, sostenendo che non fossero “accademicamente valide”. Nonostante le condanne formali all’arresto del 2024, l’ateneo non ha mai ritrattato le accuse iniziali né protetto la sua libertà accademica.

La sua vicenda è diventata un simbolo della repressione delle voci critiche, portando a petizioni globali e appelli per il boicottaggio accademico dell’Università Ebraica. Organizzazioni come la Middle East Studies Association (MESA) hanno denunciato il clima di intimidazione, definendo il trattamento riservatole una “violazione dei diritti umani e della libertà accademica”. In sintesi, l’allontanamento di Shalhoub-Kevorkian dall’Università Ebraica riflette una strategia sistematica di silenziamento delle voci palestinesi nelle istituzioni israeliane, in un contesto di crescente restrizione delle libertà civili durante il genocidio.

Shalhoub-Kevorkian rappresenta una figura chiave nel femminismo critico e decoloniale applicato alla Palestina. È l’unica studiosa ad aver analizzato in modo così approfondito la situazione palestinese attraverso un approccio intersezionale che integra etica, diritto e attivismo. Ed è unica perché a differenza delle studiose citate, analizza casi concreti come gli arresti di minori palestinesi o la distruzione di ospedali a Gaza. Le altre autrici lavorano su piani teorici o su contesti occidentali, mentre Shalhoub-Kevorkian basa le sue riflessioni su ricerche etnografiche in Cisgiordania e Gerusalemme Est.  A differenza di Gilligan o Tronto, la sua produzione accademica è inseparabile dall’impegno politico.

Nadera Shalhoub-Kevorkian attualmente è Global South Visiting Scholar nel Dipartimento di Antropologia dell’Università di Princeton, dove tiene seminari su temi come colonialismo, necropolitica e violenza di genere. Sta insegnando un corso intitolato “Colonial Urbicide & Hyperprecarity: The Case of Jerusalem”, analizzando la distruzione urbana in contesti coloniali, con riferimenti alla guerra in Gaza e alla situazione palestinese 1012.

In Religion and Public Life Fellow in Conflict and Peace alla Harvard Divinity School studia il legame tra Christian Zionism e finanziamento statunitense alla guerra a Gaza, organizzando dialoghi con teologi sudafricani e studiosi indigeni. Mantiene il ruolo di Global Chair in Law presso la Queen Mary University of London, continuando a pubblicare lavori interdisciplinari su crimini di stato, violenza di genere e diritti umani, collaborando con il prof. Nadim N. Rouhana su progetti di giustizia transizionale per i palestinesi. Sta completando un volume intitolato “The Cunning of Gender Violence” (Duke University Press) e ha recentemente tenuto conferenze su temi come l’“Ihala” (un concetto da lei sviluppato per analizzare l’urbicidio a Gerusalemme). Fa parte del collettivo Decolonizing Palestine, che promuove boicottaggi accademici contro istituzioni israeliane. Collabora con Democracy for the Arab World Now (DAWN), fondata da Jamal Khashoggi, su report di denuncia degli abusi israeliani. Nel 2024, ha co-fondato il Transnational Feminist Anti-Militarism Network, con studiosi come Angela Davis e Robin D.G. Kelley. Ha ricevuto il Premio Middle East Studies Association (MESA) 2023 per il libro “Incarcerated Childhood and the Politics of Unchilding” e l’ Honorary Doctorate dall’Università di Lund (Svezia) nel 2024, ritirato tra le polemiche per le pressioni del governo israeliano.

Pilastri del suo lavoro

La Teoria dell’Unchilding“, è il concetto centrale della sua opera: l’infanzia palestinese è sistematicamente “sradicata” attraverso incarcerazioni, uccisioni e negazione dell’identità, per annientare il futuro della nazione palestinese. “I bambini di Gaza non muoiono: vengono ‘unchilded’, trasformati in fantasmi prima ancora di vivere”. Critica la Necropolitica israeliana, rielaborando Achille Mbembe; analizza come Israele utilizzi tecnologie avanzate (es. droni Harpy) per amministrare la morte in modo burocratico: “Gaza è un laboratorio di necropolitica digitale, dove ogni palestinese è un dato in un algoritmo di sterminio”. Sostiene il Femminismo anti-coloniale secondo cui la violenza di genere in Palestina è strumentale al progetto sionista. Denuncia gli arresti arbitrari di donne palestinesi (es. caso Heba Al-Labadi). Critica le ONG femministe occidentali per il silenzio su Gaza, definendole complici di un “femminismo imperialista“. Critica l’Human Rights Industry“: in un saggio del 2024 su Critical Legal Studies, accusa organizzazioni come Amnesty International di neutralizzare la resistenza palestinese” trasformandola in una questione tecnico-giuridica, anziché politica. Oltre 1,300 accademici (tra cui Judith Butler e Noam Chomsky) hanno firmato petizioni per la sua liberazione dopo l’arresto del 2024. Il suo lavoro è diventato un punto di riferimento per movimenti come Black for Palestine e Decolonize This Place.

Alcune studiose post-2020 stanno applicando l’etica della cura alla Palestina

Tuttavia, questi lavori restano di nicchia e non hanno la visibilità di Shalhoub-Kevorkian.

Fiona Robinson, autrice di The Ethics of Care in Global Politics (2011), ha sviluppato un approccio intersezionale alla cura, collegandola a giustizia climatica, diritti indigeni e decolonizzazione e il suo framework è stato utilizzato indirettamente da studiose e attivisti:

Perché questi lavori restano di nicchia e non hanno la visibilità, non sono mainstream (2)?

La maggior parte della letteratura sul conflitto privilegia analisi storiche o militari (es. Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina di Ilan Pappé) rispetto a prospettive etico-filosofiche. Opere come Sumud. Resistere all’oppressione di Samah Jabr, che cita implicitamente Robinson, sono disponibili in italiano solo dal 2021 e rimangono di nicchia. Temi come l’etica della cura sono spesso marginalizzati in contesti segnati da narrative conflittuali (es. il libro J’accuse di Francesca Albanese critica l’apartheid israeliano senza approfondire approcci alternativi).

Note

(1)

https://www.theguardian.com/world/2024/apr/26/political-arrest-palestinian-academic-nadera-shalhoub-kevorkian-israel-civil-liberties-threat

https://www.972mag.com/nadera-shalhoub-kevorkian-israeli-academia/

https://www.middleeasteye.net/news/israel-palestine-academic-arrested-incitement-nadera-shalhoub-kevorkian

https://alessandroferrettiblog.wordpress.com/2024/04/22/la-persecuzione-contro-nadera-shalhoub-kevorkian-diventa-sempre-piu-efferata/

https://mesana.org/advocacy/committee-on-academic-freedom/2024/05/06/letter-protesting-the-arrest-and-continued-questioning-of-professor-nadera-shalhoub-kevorkian

https://www.crimeandjustice.org.uk/statement-professor-nadera-shalhoub-kevorkian

https://www.facebook.com/mitri.raheb/posts/for-immediate-circulationstatement-on-the-arrest-of-hebrew-university-professor-/926106906189419/

(2)

Il mainstream  italiano è dominato da conglomerati legati a élite economiche, con poche eccezioni indipendenti:

La Repubblica, La Stampa, L’Espresso, HuffPost Italia, Il Secolo XIX, Radio DeeJay, e altre riviste come Limes e MicroMega

Corriere della Sera, Gazzetta dello Sport, e altre testate minori.

Il Messaggero, Il Mattino, Leggo, Il Gazzettino 

Panorama, Mediaset, Il Giornale, Mondadori (editoria)

Avvenire

Il Manifesto (cooperativa di giornalisti) e Il Fatto Quotidiano (controllato da giornalisti)

BIBLIOGRAFIA di Nadera Shalhoub-Kevorkian:

Incarcerated Childhood and the Politics of Unchilding (2019).

Security Theology, Surveillance and the Politics of Fear (2015).

Militarization and Violence Against Women in Conflict Zones in the Middle East: A Palestinian Case-Study (2009).

Raccolta 1: https://www.jstor.org/action/doBasicSearch?Query=Nadera+Shalhoub-Kevorkian&so=rel

Raccolta 2: https://muse.jhu.edu/search?action=search&query=content:Nadera%20Shalhoub-Kevorkian:and&limit=subscription:n&min=1&max=20

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Sep 29, 2016 … Last year a judge awarded Nadera Shalhoub-Kevorkian, a law professor at Hebrew University in Jerusalem, $1,800 for a three-hour security …

Published On 29 Sep 201629 Sep 2016

Settler Colonial Studies 4(3): 277–290.

Shalhoub-Kevorkian N (2014) Human suffering in colonial contexts: reflections from Palestine.

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Redazione Italia

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