Molto interesse si è attivato recentemente attorno a He-Yin Zhen, anarchica, femminista e filosofa cinese vissuta tra il 1884 e il 1920. A favorire l’attenzione sicuramente ha giocato la prima pubblicazione in lingua italiana della raccolta dei suoi scritti curata da Cristina Manzone, “Il tuono dell’anarchia”, libro che è stato presentato presso diversi circoli e gruppi anarchici negli scorsi mesi. Zhen significa tuono ed è il nome che He-Yin volle darsi, evidentemente consapevole della rumorosità del suo pensiero, di quanto esso fosse fragoroso.
Politicamente attiva nei gruppi anarchici cinesi sia in Cina che in Giappone, dove visse per alcuni anni, collaboratrice di vari giornali e riviste presenti negli anni Dieci del Novecento, attentissima alle problematiche dello sfruttamento e dell’oppressione femminile, He-Yin è stata molte cose, a partire dalla più semplice delle sue attività, quella di traduttrice. Oltre alla traduzione di testi anarchici di figure come Kropotkin e Goldman, bisogna sottolineare infatti che sua è la prima traduzione in cinese del Manifesto del Partito Comunista di Marx. Nonostante lo spessore culturale, tuttavia, il pensiero di He-Yin è stato oscurato e rimosso; tuttora, a distanza di oltre un secolo, in Cina è ancora proibito leggere i suoi scritti. Una censura che ovviamente ha condizionato la diffusione delle sue opere e dei suoi pensieri anche fuori dalla Cina, dove è in effetti poco conosciuta.
Nella presentazione de “Il tuono dell’anarchia” che ho avuto modo di seguire qualche mese fa presso il circolo Germinal di Carrara, sono state ricostruite le esigue tracce editoriali dei suoi scritti: una piccola traduzione prodotta negli anni Settanta e inserita in una antologia del pensiero anarchico in inglese; alcuni testi usciti nel 2013 a cura di un gruppo anarchico di New York; una successiva traduzione in francese di alcuni brani. Poche e parziali traduzioni fino, appunto, alla recente pubblicazione in italiano de “Il tuono dell’anarchia”, che rappresenta la più completa raccolta degli scritti di He-Yin finora uscita. Si tratta di una serie di saggi che apparvero nel 1907 sulla rivista “Giustizia Naturale”, di cui He-Yin era curatrice.
Nella raccolta emerge con grande efficacia e straordinaria modernità il suo pensiero femminista. “Liberazione delle donne vuol dire né donne né uomini sottomessi”: una frase che apre ad una serie di considerazioni legate ad un progetto di autentica rivoluzione sociale. He-Yin rifiuta la strategia politica della presa del potere: l’obiettivo per le donne non deve essere quella di lottare per far parte del governo, ma quello di abolirlo; assorbire le donne in funzioni di governo serve solo a legittimare un potere che è oppressivo per tutte e tutti. Non è certo un passaggio scontato, come ci sta a dimostrare, a distanza di oltre un secolo, la persistente retorica del tetto di cristallo.
Fondamentale, nei suoi testi, la riflessione sulle radici dell’oppressione femminile a partire da quella che oggi chiameremmo impostazione binaria e sessista della società. Secondo He-Yin, la concreta divisione tra maschio e femmina – intendendo per “concreta” quella divisione che passa tra corpi che sono classificati in base a una divisione maschio/femmina – rappresenta il primo mezzo attraverso il quale si è instaurata l’oppressione femminile, basata sull’idea metafisica che alcuni corpi per le loro capacità intrinseche siano superiori ad altri, e perpetuata dall’esperienza quotidiana di corpi sessuati che possono esercitare dominio su altri corpi sessuati. Un’oppressione che il capitalismo ha ripreso traducendola in oppressione di classe e avvalendosi di un apparato istituzionale, lo Stato, per rendere universale questa oppressione di classe. He-Yin condivide quindi l’idea che il patriarcato sia preesistente al capitalismo, che l’oppressione basata sull’opposizione maschio/femmina, ovvero sul dominio dei corpi maschili su quelli femminili, sia la matrice delle oppressioni, su cui poi si struttura anche l’oppressione di maschi su altri maschi e in generale il sistema di sfruttamento determinato dal capitalismo e dall’accumulazione di ricchezza.
Ed è proprio l’accumulazione di ricchezza che rende necessarie ulteriori forme di oppressione, come ad esempio gli eserciti, che garantiscono con la forza a pochi di opprimere molti per poter beneficiare della ricchezza.
Come superare tutto questo? Come rompere questo meccanismo di oppressione? He-Yin afferma che una nuova forma di governo, una svolta politica più aperta non risolverebbe il problema della oppressione del corpo femminile; il patriarcato non può essere soppiantato da un semplice cambiamento di governo o di indirizzo politico. Occorre sovvertire totalmente l’ordine esistente e ogni tipo di governo, rompendo ogni campo di dominio. Frasi come “Ogni giorno in cui non si abolisce il denaro è un giorno in cui l’economia è fonte di diseguaglianze” illustrano una chiara visione anticapitalista. Il capitalismo viene indicato da He-Yin come la “legge dell’individuo”, intendendo con questa espressione la volontà di dominio e di supremazia che consente l’affermazione della proprietà privata contro la gestione comune dei beni, dominio che si concretizza con lo sfruttamento sui corpi e sulle classi garantito dal sistema giuridico di trasmissione della ricchezza e ancora prima dal patriarcato e dall’oppressione sessista. Qualcosa di cui ci si deve assolutamente sbarazzare, come ci si deve sbarazzare degli eserciti, altro elemento su cui si insiste molto.
Nel saggio “Sull’antimilitarismo delle donne” He-Yin afferma che il sistema militare è il garante dello sfruttamento capitalista, ha il compito di proteggere l’accumulazione di ricchezza e la proprietà privata e di impedire il sovvertimento del dominio delle classi. Ma il militarismo non è una generica espressione del potere, ha anche una propria matrice specificamente sessista, rappresenta l’esaltazione del corpo maschile e dell’uso della forza. He-Yin sottolinea la frequente pratica dello stupro da parte degli eserciti e osserva, tra l’altro, come il matrimonio non sia che una secolarizzazione dell’originario stupro di guerra. Ritiene che l’antimilitarismo sia una necessità, che abbia una funzione fondamentale perché “la gente comune” possa liberarsi dal domino armato dello stato, dal sistema preposto a garantire lo sfruttamento e la divisione in classi, ma anche perché le donne, nello specifico, possano liberarsi dal dominio dell’uomo incarnato nella figura dei militari. Una strada imprescindibile per “alleviare i popoli dalla guerra e fare sì che la pace e la felicità si facciano strada nel mondo”.
Ovviamente il pensiero di He-Yin va contestualizzato, riferito al periodo storico e al contesto culturale della Cina del tempo, ma colpisce comunque la straordinaria e limpida radicalità delle sue riflessioni in un momento come quello in cui scrive, negli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale. E c’è da chiedersi cosa sarebbe successo se all’epoca (ma la riflessione è valida ancora oggi) il femminismo avesse intrapreso questa strada, invece di seguire, almeno nella sua maggiore espressione, la strada dell’ottenimento dei diritti politici, condividendo quindi la prospettiva di esercizio del governo, cioè del dominio, e non mettendo perciò in discussione le radici dell’oppressione patriarcale.
E straordinariamente moderna – va ancora una volta sottolineata – la denuncia del binarismo come matrice dell’oppressione. L’attuale dibattito transfemminista si vuole caratterizzare per il superamento dell’impostazione binaria, ma spesso affronta la questione in termini di scelta individuale e di rivendicazione di identità fluida: una posizione pienamente condivisibile, ma forse talora non adeguatamente legata ad un piano di complessivo mutamento sociale. He-Yin nel 1907 sostiene, nell’ambito di un ragionamento complessivo, che anche abolire le stesse definizioni di uomo e donna deve essere un obiettivo. Un’affermazione che po’ sembrare provocatoria oppure inutilmente nominalista, ma su cui dovremmo riflettere con attenzione, cercando di aprirci ad una nuova prospettiva, forse faticosa da conquistare, ma fondamentale per praticare e costruire reali percorsi di libertà e prospettive di rivoluzione sociale. Le differenze tra corpi esistono, ma una volta che l’educazione e le esperienze sono comuni, non piegate a logiche di potere e di subalternità, le differenze di conformazione fra i corpi sono dei semplici dati di fatto, non più declinabili in termini di binarismo di genere e di sessismo.
Patrizia Nesti
NdRWeb: riferimenti al testo citato si trovano QUI
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