L’articolo di Patrizia Nesti (“Nuove linee didattiche per il primo ciclo. Il vecchio che avanza”, Umanità Nova, anno 105, numero 2, 9 febbraio 2025, p. 2) così concludeva la sua analisi sulle esternazioni del ministro Valditara relativamente alle Indicazioni ministeriali, allora ancora in cantiere: “le indicazioni didattiche di Valditara sono da una parte la beota riproposizione di quello che spesso già c’è nei programmi scolastici e di cui evidentemente il ministro non ha contezza; dall’altra rappresentano una strizzata d’occhio alla didattica tradizionale, un’operazione tutta politica di consolidamento di consenso rivolta all’elettorato di destra che ha voglia di ascoltare un lessico caratterizzato da richiami alla tradizione, alla serietà, alle presunte radici dell’occidente. Nel concreto, la scuola viene invece spinta in tutt’altra e ugualmente deleteria direzione (…). La didattica per competenze, la perdita secca di ore destinate all’asse culturale nei tecnici ma non solo, l’obiettivo di quadriennalizzare tutte le scuole superiori, licei compresi, il dilagare della scuola azienda che impone propri contenuti, modalità e stili: tutto questo, che è purtroppo realtà quotidiana, ha ben poco a che vedere con i vuoti proclami di ritorno alla tradizione strombazzati da Valditara. Proclami che comunque vuoti non sono perché parlano di identitarismi, di egemonia, di esclusione sociale, di suprematismo rivolgendosi a un mondo reazionario che adora questo linguaggio, così come adora, al contempo, alleggerire la scuola da qualsiasi “zavorra” culturale per renderla più funzionale all’addestramento lavorativo precoce, al mercato, allo sfruttamento.”
Nel frattempo, l’11 marzo 2025 il Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM) ha reso finalmente disponibile la bozza del nuovo testo delle Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione, che sostituiranno quelle attualmente in vigore, adottate nel novembre 2012 e aggiornate nel 2018 (Indicazioni nazionali e nuovi scenari). Analizzandola, possiamo dire innanzitutto che Patrizia Nesti aveva visto giusto: si tratta di un documento che integra la logica neoliberistica di asservimento della scuola alla logica del mercato a quella statalistica e nazionalistica della destra radicale. La novità, dunque, sta in questa integrazione e occorre chiedersene il senso.
Il documento è assai lungo, oltre centocinquanta pagine, infarcito di didattichese e di sviolinate incongrue sulle buone intenzioni dei redattori che hanno a cuore la centralità dell’alunno, la sua formazione come personalità autonoma, ecc. insieme al ribadimento dei punti centrali, di asservimento alla logica dominante, delle indicazioni e delle riforme passate. D’altronde, le sviolinate ideologiche erano presenti anche in queste: mica si può dire io riformo la scuola per farla funzionare peggio dal punto di vista della formazione culturale dei soggetti e meglio dal punto di vista della razza padrona… Alcuni punti di novità però appaiono: schematicamente, il recupero della manualità e della scrittura corsiva, la promozione della lettura ad alta voce e della memorizzazione poetica, il ritorno del latino nella secondaria di primo grado, sia pure come opzione facoltativa, una nuova prospettiva dell’insegnamento della storia che esalta ideologicamente le “radici occidentali”, l’accentuazione della centralità del docente come regista del percorso formativo ed il maggiore coinvolgimento delle famiglie nel patto educativo.[1]
Alcune di queste sono chiaramente un richiamo pubblicitario al “buon tempo antico”: come era bello insegnare a scrivere in bella grafia, sapere a memoria le poesie di Pascoli e le terzine di Dante, studiare il latino fin da piccoli… In pratica, un contorno dell’immaginario del buon padre di destra che si lamenta della scuola rovinata dal ’68 che viene solleticato da questi aspetti: finalmente qualcuno che vuole riportare “serietà” e disciplina tra le mura scolastiche! Mettiamo però che davvero si volessero reintrodurre effettivamente queste “buone pratiche”: il processo di degrado nell’acquisizione effettiva di contenuti – ma anche delle abilità e competenze su cui tanto si insiste – che riscontriamo nelle ultime generazioni grazie alla miriade di controriforme e controindicazioni ministeriali, aumenterebbe a dismisura. Infatti, viste all’interno di un monte ore eroso formalmente con la loro diminuzione diretta via riforma Gelmini e materialmente con le ore di alternanza ed altro, simili indicazioni, se attuate sul serio, peggiorerebbero la situazione, dirottando ancora di più l’attenzione e l’impegno degli allievi.
Azzardo una previsione: queste indicazioni resteranno lettera morta, nel senso che i docenti avranno tutt’altro a che pensare per formare i propri allievi in mezzo a tutte le difficoltà strutturali, introdotte dallo Stato in questi decenni, che dedicare ore a bella grafia e memorizzazione del Sommo Poeta. D’altronde, credo che il Ministero questa cosa la immagini benissimo e, appunto, questa parte delle indicazioni sia puro marketing ideologico.
Discorsi invece come la centralità del docente come “regista” del percorso formativo e l’aumento del coinvolgimento delle famiglie nel patto educativo, sono ancora una volta modulate in maniera da deresponsabilizzare lo Stato dai fallimenti causati dalle sue riforme strutturali: la colpa è del docente che non ha saputo essere “maestro”, cioè appassionare alla propria disciplina e/o della platea scolastica delle famiglie che si mettono in mezzo senza competenze effettive nella formulazione della dinamica scolastica generale dell’apprendimento. In effetti, io ci credo poco che il governo abbia tutta questa voglia di difendere gli insegnanti dall’intromissione delle famiglie, caso mai appunto sta cercando un ulteriore capro espiatorio per i suoi fallimenti.
La cosa però che ovviamente ha maggiormente colpito l’attenzione è stata l’esplicita affermazione ideologica della supremazia della civiltà occidentale all’interno di indicazioni per l’insegnamento scolastico. Avere una prospettiva eurocentrica è da sempre una caratteristica dei programmi scolastici italiani ma, stavolta, affrontando la questione, un ministero dell’istruzione afferma che, di fatto, questa prospettiva sarebbe troppo poco eurocentrica, al punto da non riuscire a sviluppare adeguatamente un senso di identità nazionale e di internità alla tradizione culturale “occidentale”.
Nei miei viaggi all’estero mi è capitato assai spesso di stupirmi di come, generalmente, le persone dei luoghi extraeuropei in cui mi recavo avessero una conoscenza della storia dell’occidente decisamente maggiore di quanto io avessi della loro, facendomi così toccare con mano l’impostazione ideologica della mia formazion29e storica scolastica ed universitaria. Adesso, anche quel minimo di informazione che abbiamo sulla storia dei popoli asiatici, africani, sudamericani, ecc. – specialmente quella che in apparenza non ha direttamente a che fare con la nostra e “vera” storia – sembra eccessiva e l’intenzione, nemmeno troppo velata, è di trasformare “alla Vecchioni” il resto del mondo in razze inferiori e “senza storia”.
Insomma, il senso di queste indicazioni nazionali è proprio quello di integrare una mentalità razzistica e colonialistica all’interno di una generale ottica neoliberistica di asservimento delle istituzioni formative ai desideri del potere politico ed economico. Una prospettiva assai pericolosa, in quanto non è forse un caso che essa nascano all’interno di un momento storico in cui la prospettiva di utilizzare le giovani, e diversamente giovani, generazioni come carne da cannone in guerre contro i “non occidentali” è sempre più presente. Dalla scuola vogliono far uscire lavoratori obbedienti e con il minimo di cultura indispensabile ma, a quanto pare, anche persone educate all’oppressione di un “altro” che, fin dai primi momenti dell’apprendimento, deve essere percepito culturalmente inferiore.
Un ulteriore aspetto della faccenda è che, con buona pace delle sviolinate sulla “accoglienza” e sulla “integrazione”, questa sbobba verrà servita anche alle giovani generazioni degli immigrati. Per capire il senso di quest’ultima cosa, farò un parallelo storico. Nell’ Atene antica, luogo mitico della formazione della “cultura occidentale”, le donne “libere” sposate erano pressoché recluse in casa: uno dei pochi momenti in cui potevano uscire era per andare ad assistere alle tragedie che rappresentavano la loro condizione inferiore, come il ciclo dell’Orestiade.
Agamennone è sposato con la regina Clitemnestra e i due hanno un figlio, Oreste, ed una figlia, Ifigenia; Agamennone per ingraziarsi gli dei uccide la figlia offrendola in sacrificio. Al suo ritorno, per vendicare Ifigenia, Clitemnestra uccide Agamennone. Oreste, per vendicare il padre, ritorna e uccide la madre. Oreste si rifugia presso il tempio di Apollo e chiede di essere giudicato. Viene difeso da Apollo e sono scelti come giuria dodici cittadini; una metà è per la colpevolezza di Oreste ed un’altra per la sua innocenza. Apollo allora pronuncia questo discorso: “La madre non è generatrice di quello chiamato figlio, ma fa solo crescere ciò che è stato seminato dal padre, non esistono insomma madri. Vi mostrerò la prova di ciò che dico: Atena è nata da un bernoccolo di Giove e questo prova che può esistere un padre anche senza una madre”. In aiuto di Apollo ed Oreste interviene infatti proprio Atena che dice: “Non esiste madre che abbia generato”.[2]
Come nel processo educativo riservato alle donne ateniesi, una simile impostazione vorrebbe portare i giovani alunni figli dei processi migratori ad interiorizzare la loro inferiorità, lasciando loro di fatto, come unica via d’uscita, una “integrazione” nella cultura razzista e coloniale che li opprime e l’obbligo di diventare obbediente carne da cannone come i loro compagni autoctoni. Insomma, l’alternativa “socialismo o barbarie” sembra sempre più una chiave interpretativa dei nostri tempi, anche di un documento di un ministero dell’istruzione.
Enrico Voccia
[1] Altri punti di novità ci sono, ad esempio l’intervento sulle conoscenze disciplinari fondamentali, l’approccio STEM e l’introduzione di un discorso sull’Intelligenza Artificiale, ma sono legate alle innovazioni tecnologiche del presente e/o non hanno grosso senso per il nostro discorso.
[2] ESCHILO, Orestea, in AA. VV., Tragici Greci, Milano, Mondadori, 1977, pp. 133.
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