Salta al contenuto principale

proteste

Le proteste in Serbia e i semi della riconciliazione nei Balcani

Le proteste anticorruzione guidate dagli studenti in Serbia, oltre alla contestazione del regime politico, portano i semi di passi avanti nella riconciliazione in tutta la regione dei Balcani occidentali. Un cambiamento generazionale, ancora acerbo, ma che va seguito da vicino.

Le relazioni inter-etniche in Serbia e l’abbraccio del Sandzak agli studenti

Il 15% dei cittadini serbi è membro di minoranze nazionali – un fatto poco noto e spesso nascosto. Attorno a Novi Pazar, nella regione storica del Sangiaccato, i bosgnacchi sono la maggioranza.

Sebbene le guerre degli anni ’90 non vi abbiano lasciato le stesse pesanti conseguenze che in Bosnia e in Kosovo, e serbi ortodossi e bosgnacchi musulmani vi coesistano, permangono significative divergenze tra i due gruppi, con un più ampio impatto anche sulle relazioni serbo-bosgnacche nei Balcani occidentali e sulle dinamiche tra Serbia e Bosnia-Erzegovina.

Le proteste degli ultimi mesi hanno visto una notevole partecipazione di studenti e giovani bosgnacchi del Sangiaccato e hanno portato al rafforzamento dei loro legami con gli studenti serbi del resto del Paese.

Il raduno studentesco a Novi Pazar, tenutosi il 12 aprile 2025, è stato particolarmente significativo in questo senso.

Studenti provenienti da diverse città della Serbia, tra cui Niš, Jagodina, Ćuprija, Paraćin e Belgrado, hanno raggiunto Novi Pazar a piedi e in bicicletta. La comunità locale li ha accolti in una atmosfera festosa, con musica, striscioni e un tappeto rosso. La protesta principale, con lo slogan “Riforma il sistema”, ha visto discorsi, un concerto e il rilascio simbolico di una colomba bianca come gesto di pace.

Nei giorni successivi, ci sono stati episodi di solidarietà interetnica e interreligiosa per una causa comune.

Durante i giorni di occupazione studentesca dell’edificio della Radio e Televisione Serba (RTS), gli studenti musulmani di Novi Pazar hanno raggiunto Belgrado per dare il cambio ai loro colleghi ortodossi, permettendo loro di celebrare la Pasqua con le  famiglie e allo stesso tempo mantenere la blokada.

Messaggi di pace e unità tra i bosgnacchi di Novi Pazar e i cittadini di altre parti della Serbia sono stati ampiamente condivisi, sottolineando l’importanza del sostegno e della comprensione reciproci per superare le divisioni storiche e religiose in nome dell’unità. Le foto di ragazze velate con le bandiere serbe nelle blokade studentesche, o delle bandiere nazionali intrecciate (la bandiera della Repubblica serba e quella della comunità bosgnacca del Sangiaccato) sono rimbalzate sui media e sui social in tutta la regione.

Il discorso del veterano

Una delle espressioni di maggiore impatto di questo stato nascente, vista nelle scorse settimane, è stato il discorso di un veterano serbo, pronunciato a braccio davanti agli studenti bosgnacchi che occupavano la Radio e Televisione Serba:

“Vorrei che tutti salutassimo i nostri cari ospiti di Novi Pazar: selam aleikum! Mi chiamo Goran Samardžić.

Voglio dire ai genitori di questi ragazzi di Novi Pazar di non preoccuparsi e che non c’è differenza tra i nostri e i vostri figli.

Sono tutti figli nostri. Insieme ai miei compagni, veterani di guerra, ci siamo schierati a protezione dei nostri figli, dei nostri studenti.

Abbiamo giurato tutti davanti a Dio che, se necessario, avremmo dato la vita affinché nulla accadesse a questi ragazzi.”

Samardžić ha sottolineato che, oltre a essere un veterano, è anche un invalido di guerra, essendo stato ferito a Sarajevo nel maggio del 1992.

All’epoca non aveva ancora compiuto 21 anni, che è, come ha ricordato, l’età della maggior parte degli studenti che protestano oggi in Serbia.

“La mia generazione ha iniziato o si è trovata nel mezzo della guerra in Bosnia. Alcuni di noi hanno iniziato a opporsi e a combattere contro, tra virgolette, i ‘balija’, o ‘turchi’, che volevano ‘creare uno stato islamico sul suolo europeo’, e dovevamo ‘salvare le sante terre serbe e proteggere il popolo serbo’.

Nell’aprile del ’92, il sanguinoso calderone bosniaco è stato acceso. Tutte le parti accorrevano per alimentarlo”.

Samardžić ha poi aggiunto: “La fucina che diffondeva odio e menzogne ​​si trova in questo edificio alle nostre spalle. È la stessa RTS che ancora oggi diffonde menzogne ​​e odio.
La mia generazione è caduta in queste menzogne. Credevamo di fare la cosa giusta e di avere ragione, e che gli altri fossero malvagi.

E gli altri pensavano lo stesso di noi. Si è così avviato il circolo del male, che sembra non fermarsi mai e che continua a perdurare per molti ancora oggi!”

Ha ripetuto che la sua generazione “è caduta in queste menzogne”, ma le nuove generazioni si sono alzate per fermarle.

“Sono loro che diffondono amore e illuminano il futuro. Tutti noi vogliamo quel futuro, e la nostra generazione fallita deve alzarsi e seguirli“.

Samardžić ha anche detto che “questi ragazzi, negli ultimi mesi, ci hanno fatto crescere. Desidero esprimere la mia ammirazione per il coraggio dei veri eroi di oggi, i nostri studenti, i nostri figli”, ha concluso, seguito da un fragoroso applauso.

Il discorso del veterano è stato condiviso e amplificato sui social media, non solo in Serbia, ma anche in Bosnia Erzegovina e Montenegro, con un forte impatto. I maggiori canali di informazione serbi, controllati dal governo, l’hanno invece ignorato.

Semi di riconciliazione per un altro futuro possibile

Come spiega un attivista belgradese, “né io né i miei colleghi, attivi da decenni nella giustizia di transizione, ricordiamo una dichiarazione simile a favore della riconciliazione da parte di un veterano di guerra, pronunciata spontaneamente in un grande raduno pubblico e politico.” Sebbene i veterani di tutti i gruppi etnici siano stati spesso tra i più efficaci promotori di pace nella regione, si trattava sempre di piccoli gruppi, che spesso si rivolgevano a un pubblico ristretto di persone con idee simili.

La fraternità tra serbi e bosgnacchi, e il discorso del veterano agli studenti di Novi Pazar, dimostrano come le richieste di buongoverno, stato di diritto e sviluppo sostenibile possano essere un fattore unificante in Serbia e contribuire alla riconciliazione nei Balcani.
Mentre le relazioni interstatali nella regione si stanno ulteriormente deteriorando, con la continua narrativa ufficiale di Belgrado che vede i manifestanti come ‘quinta colonna’ pagata dalla Croazia o dall’Occidente, le società in Serbia e nei Balcani sono pronte ad andare oltre. Pronte ad accogliere una contro-narrazione che abbandoni il vittimismo e si apra al riconoscimento delle esperienze e delle sofferenze altri.

Nei prossimi anni, la generazione degli studenti serbi potrà dimostrare cosa significhi metterlo in atto.

Andrea Zambelli 5 Maggio 2025

East Journal

Non uccidere la speranza. Una voce libera dall’Iran. Prima parte

“Ti hanno insegnato a non splendere. E tu splendi, invece” direbbe Pier Paolo Pasolini. Le donne in Iran hanno abbattuto il muro della paura e del silenzio, provocando un cambiamento irreversibile. Lo slogan “Donna, vita, libertà” risuona nei cuori di tutte le persone che vogliono rivendicare  la propria dignità contro un regime teocratico oscurantista e autoritario, responsabile di una grave repressione, come ci racconta una voce libera dall’Iran. Per ragioni di sicurezza non pubblichiamo il suo nome. È notizia del 5 maggio 2025 che è stata ritirata una proposta di legge contro la violenza alle donne iraniane. Il Parlamento ne stava stravolgendo il contenuto, per cui i promotori hanno preferito ritirarla. La realtà purtroppo supera ogni immaginazione,

La feroce repressione contro le donne e le ragazze che violano l’obbligo del velo è arrivata a un livello tale da provocare un grande movimento di protesta. Il 5 febbraio 2025, il presidente iraniano Pezeshkian ha dichiarato: «Non posso far rispettare la legge perché crea problemi alla popolazione e io non mi metterò contro il popolo».  Sembrava una svolta storica, invece la situazione attuale è ben diversa, come ci racconta una voce libera dall’Iran.

Non si può neanche immaginare quanto sia bello e meraviglioso poter parlare con tutto il cuore dei terribili problemi che ho affrontato nel corso degli anni come donna in Iran. Voglio parlare della censura e della mancanza di libertà e di uguali diritti civili per le donne iraniane negli ultimi 46 anni e di come il governo della Repubblica Islamica abbia prodotto danni psicologici alle donne iraniane a causa di questa brutale repressione.

Eppure le donne costituiscono il 50% della società iraniana, e nonostante tutte le difficoltà, la maggior parte è istruita e lavora in aziende importanti: molte sono manager, investitori e  anche leader nella regione che confina con i Paesi asiatici, sono capaci in tutte le professioni e cercano sempre di non restare indietro rispetto alla comunità maschile. Purtroppo le leggi della Repubblica Islamica vogliono punire e disciplinare le donne; naturalmente non colpiscono solo loro, ma danneggiano anche gli uomini liberi.

Quali problemi hai affrontato in Iran?

In Iran, come donna, sono costretta a rendermi più piccola, più incolore, più silenziosa, affinché il mio lavoro ottenga l’approvazione o venga semplicemente preso in considerazione.

In una società in cui il patriarcato scorre nelle vene molte volte, ancor prima che il mio lavoro fosse giudicato, venivo giudicata io stessa, in quanto donna: era appropriato che parlassi così? Era giusto pensare in questo modo? E soprattutto, il mio essere donna veniva preso sul serio o venivo vista solo come un “ornamento”?

I miei problemi principali sono stati questi:

  • Dovevo lottare mille volte di più per essere presa sul serio.
  • Dovevo stare attenta a non essere “troppo audace”, per non essere accusata di “scostumatezza”.
  • Dovevo superare migliaia di linee rosse.
  • Dovevo sopportare che in molti casi, solo per il fatto di essere donna, i percorsi si facessero più difficili, più lunghi e a volte del tutto chiusi.

Eppure, ciò che ha tenuto in vita me e tante altre, è stato l’amore per il lavoro che faccio: una forza misteriosa che non ci consente di spegnerci, anche quando tutto intorno a noi era pieno di muri.

La mia voce libera supera le linee rosse che loro hanno tracciato. Mi espongo al rischio di perdere molte cose:

  • La libertà individuale
  • La possibilità di lavorare
  • La sicurezza finanziaria o professionale
  • E a volte persino la sicurezza fisica o psicologica

Infatti l’Iran considera l’esistenza di persone “libere”, “indipendenti” e “creative” una minaccia al  potere. Tollerano solo ciò che serve la loro ideologia e una donna libera per loro è pericolosa.

Eppure, nonostante tutti questi pericoli, il mio esistere e il mio resistere sono un atto di ribellione. L’umanità, la libertà e la bellezza non possono essere soffocate, nemmeno nei luoghi più oscuri.

Inoltre l’uso di tecnologie, come il riconoscimento facciale, i droni e le applicazioni per smartphone, serve a reprimere le donne, ed è il simbolo della fusione tra una dittatura tradizionale e strumenti moderni; il regime iraniano vuole utilizzare la tecnologia per portare il controllo sociale a un livello senza precedenti.

Ci sono alcuni punti fondamentali in questo processo:

  • Grave violazione dei diritti umani: identificare e punire le persone per scelte personali (come il modo di vestirsi) è contrario ai principi fondamentali delle libertà individuali sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
  • Normalizzazione della repressione: quando i regimi usano la tecnologia per il controllo, questi metodi rischiano di sembrare gradualmente normali, rendendo più difficile la resistenza sociale.
  • Diffusione della paura e della sfiducia: le persone non si sentono più sicure nemmeno per strada, nemmeno accanto agli altri, perché chiunque — persino un’applicazione per smartphone — potrebbe denunciarle.
  • Segno della debolezza del regime: questo livello estremo di controllo dimostra quanto sia diminuita la legittimità popolare del governo; un potere sostenuto dal consenso non avrebbe bisogno di repressione e intimidazione.

D’altra parte, l’ampia opposizione popolare è un segnale molto incoraggiante. Significa che la società iraniana è cambiata in modo rilevante; molte donne e uomini non sono più disposti a obbedire ciecamente, nemmeno sotto la minaccia di essere perseguitati.

Questa repressione feroce potrebbe anche peggiorare nel breve termine, ma a lungo termine nessun potere può resistere alla volontà di chi desidera la libertà.

Sono ottimista, perché la tecnologia informatica può essere uno strumento di oppressione, ma anche uno strumento di resistenza e consapevolezza.

Il 5 febbraio 2025 il presidente iraniano Pezeshkian ha affermato che non vuole applicare una legge ancora più repressiva contro il popolo. Poi com’è andata? Ti sembra credibile un allentamento della persecuzione guidata dai cosiddetti guardiani della rivoluzione? La situazione sta migliorando, oppure è peggiorata?

La situazione in Iran è ambigua e bifronte: da un lato, le repressioni vengono svolte in modo più nascosto e mirato, con arresti silenziosi, pressioni invisibili, utilizzo della tecnologia per il controllo senza scontri diretti.

Dall’altro il regime iraniano è impegnato in negoziati delicati con gli Stati Uniti, e forse anche con altri Paesi occidentali, negoziati che sono più che mai legati al futuro interno ed esterno del Paese.

Questa situazione ha alcune conseguenze importanti:

  • Fino alla fine dei negoziati, il governo cercherà di mantenere un’apparente calma, perché non vuole che la sua immagine violenta li comprometta.
  • Tuttavia la repressione è ancora presente, solo in modo più nascosto, così che la società si senta insicura, ma senza che emergano notizie rilevanti.
  • Il risultato dei negoziati può essere determinante: se si raggiunge un accordo che dà più potere al governo (ad esempio, la rimozione delle sanzioni senza cambiamenti significativi), in seguito potrebbe esserci una repressione più visibile. Se invece i negoziati falliscono, o se il governo si sente indebolito, le condizioni potrebbero peggiorare gravemente o, al contrario, potrebbero emergere opportunità per i movimenti popolari.

Mi sembra di vivere in un periodo di calma prima della tempesta; una situazione ambigua, piena di pressioni interne ed esterne.

(NdR:  in questa prima parte dell’intervista è stata utilizzata l’intelligenza artificiale per tradurre, ordinare e schematizzare i contenuti, che sono invece originali)

Rayman

Università USA, denunce, arresti e veglie di protesta

Gli studenti dell‘UCLA (Università della California – Los Angeles) che lo scorso anno sono stati violentemente attaccati da una folla pro-Israele senza che gli agenti di polizia intervenissero hanno intentato una causa contro lo Stato della California. L’azione legale denuncia l’eccessiva violenza degli agenti della polizia di Los Angeles nei confronti dei manifestanti pacifici, colpiti da circa 50 proiettili rivestiti di gomma, riportando gravi lesioni. La legge californiana proibisce alla polizia di usare proiettili di gomma se non in circostanze straordinarie.

In una vittoria del movimento di protesta dei campus, l’Università di San Francisco ha annunciato il disinvestimento da quattro aziende statunitensi che hanno contratti con l’esercito israeliano, a seguito di una campagna sostenuta dagli studenti.

Nello Stato di Washington, la polizia ha arrestato una trentina di studenti attivisti dopo che questi avevano occupato la facoltà di ingegneria dell’Università di Washington per protestare contro i suoi legami con il produttore di armi Boeing. Il gruppo Students United for Palestinian Equality and Return chiede “che i soldi delle nostre tasse scolastiche e della nostra ricerca non vengano usati per finanziare e alimentare un genocidio”.

In Pennsylvania, nove persone sono state violentemente arrestate sabato allo Swarthmore College mentre la polizia scioglieva un accampamento di solidarietà con Gaza che era stato chiamato “Zona liberata Hossam Shabat”, in onore del giornalista palestinese di 23 anni ucciso da Israele a marzo. Gli studenti chiedono di “disinvestire dall’occupazione, dall’aggressione e dall’apartheid israeliani e di dichiararsi un campus rifugio”.

A New York, decine di docenti e personale della Columbia University vestiti di nero hanno sfilato in corteo e si sono fermati fuori dal campus lunedì per chiedere il rilascio di Mahmoud Khalil, laureato della Columbia  e di altri che sono stati presi di mira per aver difeso i diritti dei palestinesi. Veglie coordinate si sono tenute anche alle università di Tufts, Georgetown e Boston, dove gli studenti Rümeysa Öztürk e Badar Khan Suri sono stati recentemente arrestati dall’ICE. L’azione congiunta delle università si terrà ogni settimana.

“Oggi abbiamo organizzato una veglia nel nostro campus contemporaneamente a gruppi di docenti delle Università di Tufts, Georgetown e Boston per denunciare la detenzione dei membri della nostra comunità. In questo Paese studenti e docenti vengono trasformati in prigionieri politici semplicemente per aver parlato a favore della causa palestinese” ha dichiarato Joseph Howley, professore di letteratura della Columbia University.

Democracy Now!

Non uccidere la speranza. Una voce libera dall’Iran. Seconda parte

L’Iran viene minacciato in questi giorni da Trump e da Netanyahu, che vogliono bloccare il programma nucleare iraniano per evitare che abbiano la bomba atomica. Trump e Vance si dimostrano comunque fiduciosi nelle trattative in corso. In questo scenario internazionale terrificante, la situazione interna dimostra un’ampia opposizione popolare al regime teocratico oscurantista e repressivo.

Cosa pensi della situazione attuale rispetto al movimento delle donne iraniane, che rappresenta una speranza concreta di cambiamento per tutto il Paese?

Il movimento “Donna, Vita, Libertà” è uno dei movimenti sociali più importanti e influenti nella storia contemporanea dell’Iran. Nato dopo la morte di Mahsa (Jina) Amini nel settembre 2022, ha affrontato non solo la questione dei diritti delle donne, ma è diventato un simbolo di protesta contro la repressione, la discriminazione e l’ingiustizia a vari livelli della società.

Lo slogan “Donna, Vita, Libertà”, che ha origini nei movimenti femministi curdi, ha acquisito un significato più ampio in Iran, attirando persone di ogni ceto sociale, indipendentemente da genere, etnia o religione. Questo movimento ha dimostrato che le richieste del popolo iraniano per la libertà, la dignità umana e l’uguaglianza dei diritti sono molto più profonde di una semplice protesta momentanea.

Il movimento “Donna, Vita, Libertà” non è stato solo una semplice protesta politica o sociale, ma ha seminato i germogli di un profondo cambiamento culturale e di una nuova consapevolezza pubblica, in Iran e persino oltre i suoi confini. Quali sono gli effetti di questo movimento in diversi ambiti?

In Iran

  • Consapevolezza e coraggio collettivo: la popolazione, in particolare le giovani generazioni, ha alzato la propria voce con maggiore coraggio. La perdita della paura verso il potere è stata una delle trasformazioni più significative.
  • Rafforzamento del ruolo delle donne: le donne sono state in prima linea nelle proteste, dimostrando di essere la vera forza del cambiamento nella società.
  • Cambiamento del discorso pubblico: valori come la libertà, l’uguaglianza di genere e la dignità umana sono entrati nel dialogo quotidiano delle persone.
  • Rottura dei tabù: temi che prima venivano raramente affrontati nello spazio pubblico, ora sono discussi apertamente e senza censura.

Nei Paesi vicini e nella regione

  • Ispirazione per altri movimenti: i popoli di Paesi confinanti come l’Afghanistan, il Kurdistan iracheno e persino la Turchia hanno tratto ispirazione da questo movimento, facendo sentire la propria voce in modi diversi.
  • Internazionalizzazione dei movimenti femministi regionali: lo slogan «Donna, Vita, Libertà» è ormai non solo uno slogan iraniano o curdo, ma un motto globale per l’uguaglianza e la giustizia.
  • Sovvertimento dell’immagine tradizionale del Medio Oriente: il movimento ha mostrato quanto siano consapevoli, coraggiosi e desiderosi di vero cambiamento i popoli della regione, soprattutto le donne — in netto contrasto con l’immagine stereotipata spesso presentata dai media occidentali.

La condizione delle donne in Iran è un mix di progressi, limitazioni e profonde sfide sociali, politiche e culturali. A seconda dell’ambito che si analizza, il quadro può risultare molto diverso:

Istruzione

  • Negli ultimi decenni le donne iraniane hanno ottenuto notevoli successi nel campo dell’istruzione. Una grande percentuale degli studenti universitari è composta da donne, che in molte discipline (come medicina, scienze di base e arti) superano numericamente gli uomini. Tuttavia, talvolta affrontano ostacoli, sia visibili che nascosti, nell’accesso a certi corsi di studio o professioni.

Occupazione

  • Il tasso di partecipazione economica delle donne è inferiore rispetto a quello degli uomini (in molti dati, meno del 20%).
  • Le donne si trovano di fronte a ostacoli come discriminazioni di genere nell’assunzione, opportunità diseguali di avanzamento professionale e pressioni culturali o familiari.

Leggi e diritti

  • Le leggi civili, penali e familiari in molti casi sono discriminatorie nei confronti delle donne:
  • Il diritto al divorzio spetta principalmente agli uomini.
  • La custodia dei figli è definita in favore del padre o della famiglia paterna.
  • L’età legale per il matrimonio delle ragazze è bassa (13 anni con il consenso del tutore e del tribunale).
  • Il velo obbligatorio è considerato una delle principali limitazioni ai diritti individuali delle donne.
  • Presenza nella politica e nella gestione
  • La presenza femminile nei livelli più alti del potere, come nei ministeri o nelle alte cariche giudiziarie, è molto limitata. Tuttavia, alcune donne svolgono ruoli attivi in ambiti come i consigli municipali, le università e i media.
  • Movimenti sociali e femministi
  • Nonostante tutte le pressioni, le donne iraniane hanno un ruolo importante nei movimenti civili, nelle proteste e nelle attività culturali.
  • Movimenti come “Le ragazze di via della Rivoluzione” o “Donna, Vita, Libertà” dimostrano la consapevolezza e il coraggio delle donne nella lotta per i propri diritti.

(NdR: anche in questa seconda parte dell’intervista l’intelligenza artificiale è stata utilizzata per tradurre, ordinare e schematizzare i contenuti, che sono originali).

Link alla prima parte dell’intervista.

Rayman

Non uccidere la speranza. Una voce libera dall’Iran. Terza parte

In Iran chiunque vada contro gli interessi del regime teocratico e oscurantista viene perseguitato: manifestanti, donne e ragazze che sfidano le leggi sul velo obbligatorio, giornalisti, artisti, scrittori, accademici, studenti universitari, persone LGBTQ, membri di minoranze etniche e religiose e difensori dei diritti umani sono esposti ad una brutale e feroce repressione. In Iran possono cambiare le cose?

Sì, tutto può cambiare, ma a condizione che questo movimento sia solo l’inizio di un cammino, non la fine di una protesta. Già ora siamo riuscite a ottenere risultati importanti, che elenco qui di seguito.

  • Rompere il silenzio collettivo: per la prima volta, una grande parte della società — soprattutto le donne e i giovani — ha espresso ad alta voce e su scala globale le proprie richieste. Questa consapevolezza collettiva non è più reversibile.
  • Cambiare le mentalità: il movimento ha trasformato la visione della società sul ruolo delle donne, sulla libertà, sul corpo e sul potere. Anche se le leggi non cambiano subito, quando cambia la mentalità del popolo, le trasformazioni strutturali nel lungo termine sono inevitabili.
  • Visibilità globale: la voce del popolo iraniano, in particolare delle donne, è diventata globale come mai prima. Questo non solo ha generato sostegno internazionale, ma ha anche aumentato la pressione esterna per le riforme.

Come possono diventare duraturi questi cambiamenti?

  • Proseguire il dialogo e la consapevolezza: se questo spirito di protesta continua attraverso forme creative (arte, letteratura, media, educazione), può trasformarsi in una nuova cultura.
  • Organizzazione civile: la creazione di reti sociali, campagne e gruppi di pressione può dare continuità e forza alle richieste del popolo.
  • Partecipazione delle donne in tutti i settori: Dall’economia alla politica, finché le donne non avranno una partecipazione reale e paritaria, il cambiamento non sarà completo, ma questo movimento ha aperto la strada.

Questo movimento è stato come un terremoto che ha abbattuto il muro della paura e del silenzio. Ora dipende da come il popolo, soprattutto le donne, riuscirà a costruire una nuova struttura sulle rovine del passato.

Cosa è importante per l’Iran?

  • Leadership collettiva e non individuale: il movimento “Donna, Vita, Libertà” non ha avuto una leader carismatica, ma centinaia di donne e uomini hanno avuto un ruolo da protagonisti. Questo offre un grande potenziale per una crescita orizzontale e partecipativa.
  • Connessione tra generazioni e classi sociali: se il movimento supera la classe media e coinvolge anche i villaggi, le classi più basse e le minoranze, il cambiamento reale sarà più vicino.
  • Continuità in forme diverse: il cambiamento non avviene sempre nelle strade. A volte, si sviluppa anche nelle università, in aula, al cinema o persino nello stile di abbigliamento e nel linguaggio.

Quali metodi usano le attiviste per i diritti delle donne?

Le attiviste per i diritti delle donne in Iran utilizzano diverse strategie per combattere le discriminazioni di genere e promuovere i diritti delle donne. Questi approcci includono azioni dirette in strada, organizzazione di reti sociali, utilizzo dell’arte e dei media, e la promozione di cambiamenti legali e sociali.

Ecco alcuni dei principali metodi utilizzati in Iran:

Proteste di strada e manifestazioni

Le attiviste iraniane organizzano regolarmente proteste di strada e manifestazioni, anche se queste attività sono spesso represse con violenza dalle forze di sicurezza. Le proteste principali riguardano la legge sull’hijab obbligatorio, il diritto al divorzio e le disuguaglianze nel lavoro e nell’istruzione. Le donne sono in prima linea in queste proteste, lottando per la propria libertà e per i diritti umani.

Reti sociali e media

A causa delle severe restrizioni sui media in Iran, le attiviste per i diritti delle donne si sono rivolte ai social media e alle piattaforme online come Instagram, X e Telegram per far sentire la loro voce, sia a livello nazionale che internazionale. Questi strumenti consentono alle donne di condividere informazioni, documentare le proprie esperienze e ottenere sostegno globale.

Arte e cultura

L’arte è uno strumento fondamentale per esprimere proteste e lotte delle donne in Iran. Molte attiviste usano la pittura, la musica, il teatro e il cinema per parlare delle loro questioni. Queste attività artistiche possono essere un modo indiretto ma potente di protestare, specialmente in un contesto in cui le manifestazioni di strada sono difficili o pericolose.

Campagne e movimenti civili

Le attiviste per i diritti delle donne in Iran lanciano regolarmente campagne, come la campagna “Me too” (contro la violenza sessuale) e altre simili per i diritti delle donne, cercando di cambiare l’opinione pubblica e fare pressione sul governo per introdurre riforme legali. Questi movimenti si concentrano su diritti fondamentali come il diritto di scegliere, la libertà di abbigliamento, i diritti riproduttivi e la sicurezza fisica delle donne.

Partecipazione nelle istituzioni politiche e civili

Sebbene le donne iraniane siano spesso escluse da alcune istituzioni statali e dal potere politico, alcune di loro sono riuscite a ottenere posizioni in ruoli inferiori, utilizzandole per promuovere i diritti delle donne. Inoltre, le organizzazioni della società civile e i gruppi per i diritti umani guidati da donne contribuiscono a creare cambiamenti nelle politiche pubbliche e partecipano ai dibattiti sociali.

Educazione e sensibilizzazione

Le attiviste per i diritti delle donne in Iran si dedicano anche alla promozione dell’educazione su tali diritti e alla sensibilizzazione riguardo alle questioni di genere, soprattutto nelle scuole e nelle aree rurali. Queste attività sono fondamentali, soprattutto nelle zone in cui l’accesso alle informazioni è limitato.

Azioni legali e diritti

Molte attiviste legali iraniane si concentrano sul cambiamento delle leggi discriminatorie nei confronti delle donne. Questi sforzi includono consulenze legali, difesa delle donne in tribunale e tentativi di modificare o riformare leggi ingiuste, come quelle riguardanti la famiglia, il divorzio e la custodia dei figli.

Conclusione

Le attiviste per i diritti delle donne in Iran utilizzano una varietà di approcci creativi e innovativi per affrontare le discriminazioni di genere e ottenere l’uguaglianza. Le loro lotte continuano nonostante le dure condizioni politiche e sociali e ogni giorno il movimento diventa più forte.

(NdR: questa terza parte dell’intervista, come le altre, è stata realizzata con l’aiuto dell’intelligenza artificiale)

Articoli precedenti:

https://www.pressenza.com/it/2025/05/non-uccidere-la-speranza-una-voce-libera-dalliran-prima-parte/

https://www.pressenza.com/it/2025/05/non-uccidere-la-speranza-una-voce-libera-dalliran-seconda-parte/

 

Rayman