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Lo spettro dell’astensione. Flussi e riflussi elettorali dal 2008 al 2022

Codice Rosso, rivista on line, ha pubblicato una ricerca di McSilvan dedicata all’analisi dei flussi elettorali dal 2008 al 2022 con particolare riguardo alla classe operaia e ai percettori di redditi bassi. Questa ricerca, nella misura in cui ci offre uno spaccato reale dell’orientamento politico delle classi sfruttate e dei ceti popolari dell’Italia di oggi, è una smentita della concezione, sostenuta dalle correnti autoritarie del movimento operaio sulla scia degli insegnamenti di Karl Marx e Frederich Engels, che lo sviluppo della grande industria avrebbe spinto il proletariato a costituirsi prima come classe e poi a dar vita ad una partito politico autonomo che, una volta conquistato il suffragio elettorale e basandosi sul fatto che il proletariato costituisce la classe più numerosa della società, avrebbe pian piano conquistato il potere politico attraverso libere elezioni.

A prescindere da questa ricerca, l’esperienza storica ci insegna che la partecipazione alle elezioni ha rappresentato una fonte di decadenza e di divisione dei partiti che si richiamavano alla classe operaia e alle concezioni di Marx ed Engels, fin dai primi anni della costituzione di questi partiti e della loro partecipazione alle competizioni elettorali.

Oggi negli stati capitalistici più avanzati non esiste, come esisteva nella Germania alla vigilia della Prima guerra mondiale (1914), un partito che rappresenti la classe operaia o almeno gran parte di essa e che sia vicino a conquistare il potere per mezzo delle elezioni. I partiti vicino agli interessi della classe operaia sono ridotti a percentuali da prefisso telefonico, mentre quelli più vicini a conquistare il potere fanno propri gi interessi e le ideologie delle classi privilegiate. Anzi, la loro maggiore o minore vicinanza al potere è determinata da questa accettazione.

D’altra parte, le migrazioni hanno fatto sì che nei paesi sviluppati una parte non trascurabile della classe operaia sia priva del diritto di voto: questo ovviamente provoca una frattura che si ripercuote anche a livello politico, non solo rendendo difficile per la componente non nativa della classe operaia partecipare al percorso di formazione del partito di classe, ma soprattutto perché sviluppa all’interno della componente nativa l’illusione di godere di uno status privilegiato, oltre a sviluppare comportamenti reazionari quando questo status si dimostra inesistente. Una rinascita del movimento operaio come soggetto politico, sociale e culturale non può quindi prescindere da una ricomposizione dell’unità di classe fra queste due componenti divise dal luogo di nascita e dalla cittadinanza riconosciuta dalla struttura di dominio politico, lo stato.

Per quanto riguarda l’Italia in particolare, il fenomeno dell’astensione ha raggiunto un livello tale che l’autore della ricerca definisce “un sintomo preoccupante della crisi di rappresentanza democratica”. Proprio affrontando il tema dell’astensione, emergono tutti i limiti di operazioni di questo tipo e, in fin dei conti, il loro carattere ideologico: l’aumento dell’astensione tra il 2008 e il 2022 è stimato in 17 punti percentuali, cioè del 17 per cento, è raffrontato all’andamento percentuale dei partiti. Solo che le percentuali dei partiti sono calcolate sul numero di votanti, mentre quelle dell’astensione sono calcolate sugli aventi diritto al voto; inoltre la percentuale andrebbe calcolata sulla differenza dei numeri assoluti. Per spiegarmi meglio: l’astensione passa da 9 milioni e 188 mila astenuti nel 2008 a 16 milioni e 646 mila nel 2022, con un aumento di 7 milioni e 458 mila di astenuti. L’aumento percentuale è stato quindi dell’81,18%. Ci troviamo quindi di fronte ad una costruzione ideologica che, da una parte, dà una valutazione negativa dell’astensione, dall’altra manipola i dati in modo da sminuirne l’impatto reale.

Anche la descrizione dei flussi elettorali pone problemi di coerenza con i dati reali. Per comodità usiamo i dati forniti dal Ministero dell’Interno per le elezioni della Camera dei deputati, relativi a tutta Italia esclusa la Valle D’Aosta.

McSilvan sostiene che “Considerando la netta vittoria del PdL nel 2008 e queste tendenze pregresse, è ragionevole stimare che i due principali partiti per l’elettorato operaio a livello nazionale fossero”: primo partito Popolo della Libertà, secondo partito Partito Democratico. Si tratta di due nuove formazioni: la prima nata dalla fusione tra Forza Italia ed Alleanza Nazionale, il secondo dalla fusione delle formazioni politiche riunite nella coalizione elettorale dell’Ulivo. Ebbene queste formazioni hanno confermato sostanzialmente i voti ottenuti nel 2006 dalle organizzazioni da cui sono sorti, con questa differenza: il Popolo della Libertà ha perso 126 mila voti, con una perdita dello 0,92%; il PD ha guadagnato 164 mila voti, con una crescita dell’1,38%; gli astenuti sono cresciuti di 1 milione e 468 mila unità, con un aumento percentuale del 19,07%. Anche la coalizione di destra guidata da Silvio Berlusconi ha perso, nel raffronto fra le due elezioni, un milione e 913 mila voti, con una perdita percentuale del 10,08%. Considerando quindi che nel 2008 i dati reali dimostrano che il PdL ha perso voti, mentre il PD li ha aumentati, è lecito supporre che il Partito Democratico non abbia perso le tradizionali zone di influenza, e il Partito delle Libertà non le abbia conquistate.

Anche per le elezioni del 2013 la ricerca di Codice Rosso utilizza delle stime, elaborate dall’autore, che così commenta: “Le analisi dei flussi mostrano come il M5S abbia attratto voti trasversalmente, pescando da PD, Pdl e, in modo significativo, dall’astensione”. In realtà, l’analisi dei flussi elettorali dimostra una cosa diversa: i tre partiti più votati nel 2008 (PD, PdL e Lega Nord) perdono complessivamente 11 milioni e 380 mila voti, che solo in parte sono intercettati dal Movimento 5 Stelle, che si ferma a 8 milioni e 691 mila voti; un ottimo risultato per una lista che si presenta per la prima volta. Gli astenuti invece salgono di 3 milioni e 935 mila unità, raggiungendo la cifra complessiva di 11 milioni e 634 mila, facendo dell’astensione il primo partito. Quindi, anche ammettendo che ci siano stati flussi dall’area dell’astensione verso il M5S, tali flussi sono stati compensati da flussi in entrata ben superiori; flussi a cui ha dato un contributo significativo il suicidio di Rifondazione Comunista. Da segnalare infine il debutto di Fratelli d’Italia, che ottiene 666.765 voti, pari all’1,96 dei voti validi.

Per le elezioni politiche del 2018 vengono offerti alcuni dati, ma ancora una volta ci si basa su stime. Viene citato il lavoro dell’Istituto Cattaneo sui flussi elettorali, che viene così sintetizzato: “La Lega emerge come un partito “pigliatutto”, capace di attrarre voti operai da diverse provenienze, inclusi ex elettori PD e M5S, specialmente nelle regioni del Nord, confermando e ampliando la tendenza già osservata nel 2006. Il M5S, pur perdendo voti verso la Lega al Nord, rimane molto forte al Sud, dove intercetta il disagio sociale. Il PD, invece, subisce pesanti perdite verso entrambi.” È un’affermazione azzardata, visto che il titolo dato dall’Istituto Cattaneo è diverso: “Il Pd cede voti al M5s e a Leu nel Centro-nord, la Lega attrae voti pentastellati al Sud, un M5s “pigliatutti””. Non c’è nessun riferimento al voto operaio nel titolo dell’Istituto Cattaneo, ma non c’è nemmeno nella ricerca. Parlando di Brescia, ad esempio, tradizionale roccaforte della FIOM, l’Istituto si limita a dire che la Lega si è rivelata particolarmente forte e attrattiva. Ancora una volta, l’analisi dei voti assoluti ci può aiutare a comprendere le dinamiche di lungo periodo. Se è vero che le liste della coalizione di destra aumentano complessivamente i propri voti di 2 milioni e 228 mila, che questo risultato è trainato dal successo della Lega Nord, che triplica i voti del 2013, e di Fratelli d’Italia, che li raddoppia, e che questi risultati compensano ampiamente il calo dei voti di Forza Italia (che abbandona il nome di Popolo della Libertà) di circa un terzo; tuttavia i voti della coalizione, con 12 milioni e 152 mila votanti, rimangono al di sotto dei 17 milioni e 84 mila voti ottenuti nel 2008. Quindi, se nel 2008 non c’erano evidenze che le forze politiche di destra avessero conquistato il voto operaio, questo si può assumere anche per il 2018, in cui complessivamente le forze di destra rimangono al di sotto di tale risultato.

Anche la valutazione delle elezioni del 2022 risente di una mancata verifica dei dati reali. La “chiara vittoria della coalizione di centro destra”, se è confermata dal numero dei deputati eletti, lo è molto meno dal numero dei voti ricevuti, che sono solo 152 mila in più rispetto al 2018. Se consideriamo le variazioni dei voti assoluti, vediamo che la crescita di Fratelli d’Italia compensa appena il crollo di Forza Italia e Lega Nord, che vedono dimezzato il proprio elettorato; complessivamente la coalizione, anche nel 2022, rimane al di sotto del risultato del 2008, dato che testimonia una certa sfiducia dell’elettorato nella coalizione, anche a guida Meloni. Significativo il dato dell’astensione, che raggiunge la cifra di 16 milioni e 608 mila voti, con una crescita del 32%. Andrebbe capito perché questa svolta a destra, che non emerge dal risultato complessivo, si verificherebbe nel voto operaio. L’unica spiegazione possibile è che gli operai orientati a destra, che comunque ci sono sempre stati, sono gli unici che continuano a votare, mentre quelli con una maggiore coscienza di classe non vedono rispecchiate le loro aspirazioni ad una maggiore solidarietà e giustizia sociale da nessuna delle liste elettorali in competizione. Quindi la “svolta a destra” operaia sarebbe frutto solo delle lenti distorte del ricercatore, che lo renderebbero incapace di cogliere il valore politico dell’astensione.

Un’altra riflessione merita il campione usato. La classe operaia del settore manifatturiero è in certo qual modo l’erede dell’operaio massa tanto caro alla scuola della composizione di classe. Oggi quella classe operaia rappresenta un settore privilegiato, sia, come abbiamo accennato all’inizio, nei confronti di quel pezzo della classe operaia che non gode dei diritti politici di questo stato, sia nei confronti di quei lavoratori dipendenti di fatto di questa stessa industria manifatturiera, ma con contratti che non li rendono assimilabili ai dipendenti diretti. Inoltre, il settore dell’industria manifatturiera non comprende l’edilizia, i trasporti e la logistica, l’industria petrolifera, tutto il settore primario. È comprensibile quindi che parte di questa classe operaia si consideri privilegiata rispetto a chi proviene da altri paesi e rispetto a chi ha un contratto meno garantito e che, per mantenere questi privilegi, veda in queste lavoratrici e in questi lavoratori un concorrente da cui difendersi, e si rivolga a chi promette di difendere tutti i privilegi possibili e immaginabili.

Questa ricerca, comunque interessante, appare come un lavoro ad hoc per sminuire il fenomeno dell’astensione dandone un’immagine distorta, e al tempo stesso offrire suggerimenti a nuovi cartelli elettorali. Così facendo però si perdono i due dati di fatto più importanti: che le classi privilegiate trovano la loro espressione in un partito fascista, che le classi sfruttate non hanno più fiducia nel metodo elettorale e cercano un altro metodo più efficace, che non può essere altro che il metodo dell’astensionismo, dell’autorganizzazione, dell’azione diretta, il metodo anarchico.

Tiziano Antonelli

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