La trappola del referendum. L’astuta mossa della burocrazia sindacale
CGIL e UIL hanno raccolto le firme necessarie per cinque referendum, e il governo ha fissato le date dell’8 e del 9 giugno per le votazioni.
Se vincerà il “sì” alcune norme vessatorie riguardo ai licenziamenti e al lavoro precario verranno abolite, la responsabilità sull’applicazione della normativa sulla sicurezza si estenderà all’azienda committente, in caso di appalti, e i cittadini stranieri potranno chiedere la cittadinanza italiana dopo 5 anni e non dopo 10.
Se vincerà il “sì”. E questo è l’aspetto più pericoloso della questione.
Karl Marx scrisse il capitolo sulla giornata lavorativa de “Il Capitale” per dimostrare la necessità che la classe operaia si organizzasse in partito politico e attraverso i suoi rappresentanti desse battaglia in Parlamento per imporre leggi ad essa favorevoli. Nonostante questa impostazione ideologica, nel sesto paragrafo di quel capitolo è costretto ad affermare che “queste disposizioni minuziose, che regolano con tanta uniformità militare, al suono della campana, periodi, limiti, pause del lavoro, non erano affatto prodotti di arzigogoli parlamentari: si erano sviluppate a poco a poco dalla situazione, come leggi naturali del modo moderno di produzione. La loro formulazione, il loro riconoscimento ufficiale, la loro proclamazione da parte dello Stato, erano il risultato di lunghe lotte di classe”.
Ora, non è possibile aggirare la questione: se il movimento operaio avesse la forza di imporre questi diritti, costringendo le assemblee rappresentative a ratificarli con delle leggi, non avrebbe bisogno del referendum. Viceversa, se il movimento operaio non ha la forza di imporre i propri diritti con la forza della lotta di classe, come è possibile che questi diritti vengano riconosciuti in una consultazione elettorale dove a votare, oltre a capitalisti e operai, ci sono bottegai e preti, militari e speculatori?
Si dirà “ma se vincono i “no”, potremo sfruttare l’organizzazione creata attorno ai referendum per dare battaglia ai capitalisti”. Certamente, solo che in caso di vittoria del “no”, il movimento operaio non si troverebbe a combattere solo contro l’interesse dei capitalisti, ma, come direbbe l’ineffabile presidente del consiglio, contro la “volontà della nazione”.
E se vinceranno i “sì” dovremo comunque lottare: i più anziani si ricordano le lotte non sempre vittoriose (e non sempre appoggiate dalla trinità sindacale) per il reintegro dei licenziati, nonostante gli articoli 18 e le sentenze dei tribunali. Lo stesso discorso può essere fatto per quanto riguarda le norme sul lavoro precario. Del resto, basta pensare alle vicende del referendum sull’acqua pubblica, di pochi anni fa, per rendersi conto dell’importanza che le istituzioni danno alla volontà popolare, quando va contro gli interessi dei privilegiati. E il referendum sul nucleare? Il referendum sul nucleare fu preceduto da mesi di blocchi e occupazioni, con un movimento che diveniva sempre più di massa. Il referendum fu un escamotage del governo di allora per non arrendersi apertamente davanti alla piazza, ma in realtà fu solo una resa del governo. Di fronte alla mobilitazione popolare minacciosa, il governo cede o reprime; quella volta non poteva reprimere un movimento tanto forte e cedette.
Il referendum sulla cittadinanza è in pratica un referendum sulla lunghezza della corda che tiene la carota. Destra e sinistra condividono l’idea paternalista che il “buon selvaggio” deve dimostrare di essere degno di ricevere la cittadinanza italiana, solo che gli uni pensano che siano necessari dieci anni, gli altri pensano che ne bastino cinque. La soluzione a una gestione burocratica che rende illegale la residenza in Italia fondandosi su dei cavilli sarebbe l’eliminazione pura e semplice dei visti di soggiorno per tutte le persone in cammino, e l’equiparazione di ogni essere umano al “cittadino”, ma è una misura troppo semplice e rivoluzionaria persino per i parlamentari sinistri.
Perché allora CGIL e UIL si sono impegnate in una battaglia tanto incerta e dall’esito poco promettente? La ragione principale sta nel fatto che anche i sindacati concertativi vedono nell’astensionismo il principale nemico.
La platea dell’astensione è composta principalmente dalle classi sfruttate e dai ceti popolari, e l’astensione è il primo partito in questi stessi settori sociali. Questo è un problema per la sinistra e per i sindacati di Stato, perché la disaffezione al voto toglie legittimità alle istituzioni. Ricordiamoci che CGIL, CISL e UIL non traggono legittimità, come i sindacati prefascisti, dalla libera associazione delle leghe dei lavoratori, ma dal ruolo di liquidatori e prosecutori dei sindacati fascisti, assegnato dal governo di allora. Dal 1943 ad oggi la burocrazia sindacale ha rafforzato i rapporti con l’apparato statale, in campo previdenziale e fiscale; una perdita di legittimità di questo apparato si ripercuoterebbe su quella burocrazia.
Quello che conta nel referendum non è la vittoria del “sì” o del “no”, ma riuscire a coinvolgere nel percorso elettorale le minoranze più attive, in modo da fidelizzarle in vista delle prossime elezioni. In questo senso, per i promotori del referendum, la partecipazione è un elemento decisivo. Non tanto per il raggiungimento del quorum, quanto per la formazione di una nuova leva di attivisti elettorali. Questa mossa può dare alla burocrazia sindacale carte da giocare nel confronto con le liste elettorali di riferimento.
La questione referendum non può essere analizzata senza tener conto del ruolo della burocrazia sindacale, che ne è la vera protagonista e la sola beneficiaria, in ogni caso, potendo gettare nella trattativa sulla composizione del futuro campo largo il peso degli attivisti reclutati per la campagna referendaria. In questo senso la legge sul salario minimo è un importante momento di passaggio dal sostegno al referendum al sostegno alle liste che mettono la legge nel proprio programma.
La burocrazia sindacale ha l’interesse di perpetuarsi come ceto e ovviamente ampliare i privilegi di cui gode. L’autorganizzazione del movimento operaio è il principale nemico della burocrazia, perché nega il suo ruolo di mediazione.
La partecipazione ai referendum, la partecipazione alle iniziative a favore dei referendum sono quindi delle trappole, sia per le minoranze radicali sia per la classe nel suo complesso.
Tiziano Antonelli
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