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Un esperto di antifascismo è stato costretto a fuggire dagli Stati Uniti dopo le minacce della destra trumpiana

Mark Bray, professore di storia alla Rutgers University e autore nel 2017 di Antifa: The anti-fascist handbook, nei giorni scorsi ha lasciato gli Stati Uniti con la famiglia e si è trasferito in Spagna. Nelle settimane precedenti Bray era stato bersagliato da una campagna d’odio culminata con minacce di morte e doxxing.

L’escalation ha seguito la richiesta di licenziamento fatta via Instagram dal capitolo di Rutgers di Turning Point USA (TPUSA), l’associazione co-fondata da Charlie Kirk, attivista MAGA ucciso lo scorso 10 settembre. Bray era già stato inserito nel 2020 nella Professor Watchlist, il sito lanciato nel 2016 in cui l’organizzazione pubblica i nomi di professori universitari “che discriminano gli studenti conservatori e portano avanti la propaganda della sinistra a lezione”. 

Già in passato professori inseriti nella lista erano stati oggetto di minacce. Nel post su Instagram TPUSA aveva accusato Bray di avere “legami con gli Antifa, ora designati come organizzazione terroristica”. Contro di lui l’organizzazione aveva anche lanciato una petizione online. Sui social media un utente ha inoltre pubblicato l’indirizzo dell’abitazione di Bray.

Bray ha smentito di far parte di gruppi antifa, rivendicando il suo ruolo di studioso: “C'è un tentativo in corso di dipingermi come qualcuno che sta facendo le cose che ho trattato nei miei studi” ha dichiarato, “ma questo non potrebbe essere più lontano dalla verità”.  L’American Association of University Professors ha bollato la petizione come un “affronto” alla libertà accademica e “all’autoproclamato impegno di Turning Point per una cultura del dibattito aperto”. Per il momento Bray continuerà a fare lezione da remoto. 

La campagna contro Bray è maturata nel clima successivo all’assassinio del fondatore di TPUSA, Charlie Kirk. L’evento ha alimentato una narrazione di “emergenza sicurezza” a destra e una spinta alla martirizzazione della sua figura. Lo stesso Presidente Donald Trump ha firmato a settembre l’ordine esecutivo che designa “Antifa” come “organizzazione terroristica interna”, oltre a un memorandum in cui la Casa Bianca accusa i movimenti riuniti sotto “l’ombrello del cosiddetto antifascismo” di “condurre un assalto violento alle istituzioni democratiche”. 

La settimana scorsa, invece, durante un evento alla Casa Bianca Trump ha chiesto ai media e ai creator MAGA di aiutare il governo nell’identificare i militanti antifa, promettendo misure “molto minacciose” contro questi ultimi. Bray aveva quindi provato a lasciare il paese il giorno dopo l’evento, insieme alla famiglia, ma secondo quanto da lui dichiarato una volta all’aeroporto la prenotazione del volo è sparita una volta ottenute le carte di imbarco.

“Someone” cancelled my family’s flight out of the country at the last second.We got our boarding passes. We checked our bags. Went through security. Then at our gate our reservation ‘disappeared.’

Mark Bray (@mark-bray.bsky.social) 2025-10-08T23:57:13.680Z

Bray è il primo accademico americano a rifugiarsi in Europa per motivi di sicurezza, ma non il primo a lasciare gli Stati Uniti per il clima politico che si è instaurato dopo la vittoria di Trump. 

A maggio tre professori di Yale esperti di fascismo, Marci Shore, Timothy Snyder e Jason Stanley hanno annunciato in un video editoriale per il New York Times la decisione di trasferirsi in Canada, all’Università di Toronto. I tre accademici hanno preso la decisione come un monito da lanciare di fronte alla crisi dello Stato di diritto, tra deportazioni, arresti arbitrari di studenti e minacce a giudici federali. A marzo, dopo i numerosi attacchi dell’amministrazione Trump al mondo universitario, circa 300 ricercatori hanno presentato domanda all’Università di Aix-Marsiglia. L’ateneo ha infatti lanciato un programma di “asilo scientifico” mettendo in palio tre anni di finanziamento a 20 ricercatori. 

Come dichiarato al Washington Post da Zach Greenberg, consulente legale della Foundation for Individual Rights and Expression, le minacce agli accademici stanno diventando molto più frequenti. “Molte delle accuse mosse in questi casi sono solo una velata opposizione all'insegnamento e alla pedagogia dei professori, ovvero al contenuto delle loro lezioni”, ha spiegato. “Le università devono proteggere i propri professori, affrontare qualsiasi minaccia che grava sui propri dipendenti e tutelare la libertà di insegnare, fare ricerca, discutere idee e resistere alle pressioni esercitate da gruppi esterni”.

 (Immagine anteprima: frame via YouTube)

Fonte
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