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A Biella un giorno prima

Biella, così come Genova, altra città medaglia d’oro al valor militare per la Resistenza, si è liberata un giorno prima del 25 aprile. Non ha dovuto attendere gli alleati. Già all’alba del 24 aprile i tedeschi lasciavano la città. Il CLN concordava con il maggiore Zanotti del battaglione “Pontida” la resa e l’abbandono di Biella da parte dei suoi 400 uomini. Attraverso la mediazione di don Antonio Ferraris, luminosa figura di prete antifascista, si otteneva anche la resa a Cossato del “Montebello”. Alle 18 i partigiani della II Brigata Garibaldi entravano in città e venivano sommersi di fiori dalla popolazione che applaudiva, urlava la propria gioia, esponeva i tricolori.

Nel suo discorso del 24 aprile il sindaco di Biella, città medaglia d’oro per la Resistenza, ha espresso due auspici che potrebbero essere anche condivisibili, solo che mancano ad oggi le condizioni, a cominciare dal suo stesso intervento.

Il primo auspicio formulato dal sindaco è di superare le divisioni guardando al futuro “uniti come Paese e come italiani”. Insomma un 25 aprile che non sia più divisivo ma trovi tutti concordi nel festeggiare la Liberazione.

Questo è possibile solo a patto che si condanni da parte dell’estrema destra in modo fermo e chiaro il fascismo mettendone in luce non solo gli aspetti più eclatanti come le leggi razziste ma anche la profonda natura criminale manifestatasi soprattutto tra il 1943 e il 1945: l’eliminazione della democrazia, le torture e le uccisioni degli oppositori, la sciagurata entrata in guerra a fianco dei nazisti.

Il fascismo è nato con il preciso intento di eliminare in modo violento gli avversari. Ha fatto bene l’oratrice dell’ANPI nazionale Michela Cella il 24 aprile e Biella a ricordare che Mussolini sosteneva che se c’è il consenso bene, altrimenti c’è la forza. Non c’è stato bisogno del resto di attendere la RSI per rendersi conto della natura violenta del regime. Già nel 1919 avevano dimostrato di che pasta erano fatti, mettendo a ferro e fuoco le sedi di sindacati, partiti e giornali di opposizione, ucciso e picchiato e torturato. E poi la soppressione della libertà e della democrazia.

Non sarebbe stato superfluo il 24 aprile ricordare tutto ciò ed esprimersi in modo chiaro in proposito.

Poi c’è quella fiamma presente nel simbolo di Fratelli d’Italia che potrebbe essere spenta è invece ancora lì, nel simbolo del partito, a ricordare la continuità con l’MSI, il partito con evidenti legami con l’esperienza fascista nato per volontà di personaggi che venivano diritti dal regime e che certo non lo avevano rinnegato. Giorgio Almirante segretario per decenni dell’MSI che come capogabinetto RSI aveva diramato la direttiva ai prefetti del 17 maggio 1944 “Alle ore 24 del 25 maggio scade il termine stabilito per la presentazione ai posti militari e di Polizia Italiani e Tedeschi agli sbandati ed appartenenti a bande. Tutti coloro che non si saranno presentato saranno considerati fuori legge e passati per le armi mediante fucilazione nella schiena.” Pino Romualdi, vicesegretario e poi presidente MSI, nel 1944 in risposta alla uccisione in battaglia di due squadristi aveva prelevato sette prigionieri politici facendoli fucilare in piazza in sua presenza. Scriveva il 6 giugno 1944 “Procedere subito alla incarcerazione di qualche migliaio di persone ed al loro invio in campo di concentramento. Formare anzi un vasto campo di concentramento nella nostra provincia o in qualche provincia viciniore. Sopprimere il massimo numero di persone sospette”.

E poi Rodolfo Graziani, anch’egli per un periodo presidente MSI, massacratore di decine di migliaia di libici e etiopi nelle guerre coloniali da lui dirette con uso anche di armi chimiche.

Junio Valerio Borghese, sepolto come papa Francesco a Santa Maria Maggiore, la guida della famigerata X Mas, presidente nel 1951 del MSI, partito da cui poi si stacca per avvicinarsi alle frange eversive extraparlamentari e tentare il golpe del dicembre 1970 insieme a pezzi di apparati statali e delle forze armate. Anche con la presa di distanza dalla stagione missina si farebbe un passo decisivo verso quanto auspicato dal sindaco per una destra capace di fare i conti con il passato e tener fede ai propri intenti.

Il secondo auspicio espresso dal sindaco è relegare fascismo e antifascismo al contesto storico evitando di usare questi termini in modo improprio nella dialettica politica contemporanea. Anche in questo caso mancano i presupposti.

Se il regime fascista, come afferma il sindaco, è finito con la morte di Mussolini così non è stato per i tanti fascisti che anche se compromessi con il regime sono stati prontamente amnistiati per i crimini commessi, reintegrati nel sistema giudiziario, nelle forze dell’ordine, nella politica, fin dall’immediato dopoguerra, usati in chiave anticomunista dai servizi USA e dai servizi segreti deviati del nostro Paese.

Per non parlare di trame nere e stragi e tentativi golpisti che hanno caratterizzato decenni di storia italiana.

Insomma, come ha affermato di recente il prof. Charlie Barnao alla manifestazione di Lace di Donato, il grosso problema del dopoguerra è stata la palingenesi del fascismo che ha reso tutto molto complicato.

Il sindaco ha ricordato che “la guerra civile si protrasse ancora per mesi dopo la fine del conflitto”. In realtà possiamo parlare anche di un paio d’anni nel corso dei quali si consumarono vendette e rappresaglie a carico di fascisti o presunti tali. Una fase iniziata già con lo scempio dei corpi di Mussolini e dei suoi a piazzale Loreto. Ma quando scoppia una guerra civile il cui motore è alimentato dall’ odio e dal desiderio di vendetta tutto può succedere e nulla si può più controllare. E’ chiaro che naturalmente con la lucidità di analisi che consente il distacco temporale di 80 anni da allora non si può che esprimere orrore anche per questa fase della guerra civile.

Si può concordare con il sindaco quando afferma che non ha senso appioppare l’epiteto di fascista a chiunque manifesti un indirizzo politico o sostenga un’idea conservatrice. In questo modo si rischia anche di abusare del termine, banalizzarlo e alla fine svuotarlo di significato.

Se considerassimo ad esempio fascista la sbagliata politica ostile ai migranti dovremmo iscrivere a questa categoria anche l’ex ministro PD Minniti col suo memorandum Italia-Libia. Ma è un fatto che chiaro rigurgiti neofascisti oggi sono sotto agli occhi di tutti, fenomeni nostalgici, le violenza squadrista che in varie occasioni si è manifestata nella società, usando a volte come arena anche gli stadi, le selve di braccia tese nel saluto romano in situazione disparate, il fascino di miti e riti del fascismo che coinvolge giovani e giovanissimi, i tricolori ben in vista ai balconi di Biella con il simbolo della Repubblica di Salò, iniziative preoccupanti delle istituzioni come quella del Comune di Affile . In questo Comune vicino a Roma nel 2012 è stato realizzato, con soldi pubblici, addirittura un mausoleo dedicato a Graziani, “il più sanguinario assassino del colonialismo italiano” come lo definì Angelo Del Boca. Ma neppure questo è sufficiente per configurare il reato di apologia di fascismo.

Evidenti sono le colpe e lacune della scuola, e un grosso peso lo riveste l’ignoranza della storia, ma è comunque un dato di fatto di cui tenere conto. E quindi se il fascismo, almeno come elemento culturale non pare accantonato, anche l’antifascismo è bene che non sia messo in soffitta o confinato in biblioteca. Come ha affermato Sergio Mattarella “E’ sempre tempo di resistenza, sempre attuali i suoi valori”. E speriamo il prossimo 25 aprile che il Presidente voglia celebrarlo magari proprio a Biella un giorno prima.

Giuseppe Paschetto

3 giorni 16 ore ago