Un cannocchiale verso la libertà
Autore: Marco Passeri
Il saggio di Marco Passeri, in un’epoca dominata dal prepotente sviluppo della tecno-scienza fa riflettere. Parlare di Galilei significa parlare della libertà della scienza e dei difficili rapporti che la ricerca e il sapere intrattiene con il potere. Pubblichiamo la prefazione di Passeri che presenta dei tratti di grande interesse per chi si occupa di sicurezza a tutti i livelli, soprattutto nella parte conclusiva dove si fa riferimento alle nuove minacce globali e alla necessità di una sostenibilità del rischio, aspetto cruciale per il management della sicurezza, che non è più un ambito per cultori della materia, ma una leva strategica per la governance economica e politica degli stati.
Eric Hobsbawm ha scritto che il progresso della Scienza nel corso dei secoli è avvenuto “sullo sfondo di un bagliore di sospetto e paure”, un bagliore che in particolari momenti storici si è acceso in vere e proprie “vampate di odio e di rifiuto della ragione” (Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1995). Queste affermazioni sono più che mai vere se consideriamo le vicende biografiche di Galileo Galilei, fondatore della Scienza moderna che, in pieno clima controriformistico, è stato vittima dell’oscurantismo religioso, subendo un lungo processo, conclusosi con l’abiura e l’isolamento.
La “colpa” di Galilei – agli occhi della Chiesa cattolica e degli scienziati tolemaici – era stata quella di aver messo in discussione il principio di autorità (l’ipse dixit aristotelico) e di aver abbracciato una teoria scientifica “rivoluzionaria” (l’eliocentrismo copernicano) in contrasto con i principi delle Sacre Scritture. Naturalmente lo scienziato non ebbe mai l’intenzione di entrare in contrasto con la Chiesa cattolica e di mettere in discussione l’autorità dei testi sacri; in più occasioni Galilei ribadì la fondamentale distinzione tra la teologia (che si basa sulla “verità rivelata” e ha la funzione di guidare moralmente e spiritualmente gli uomini) e la scienza che si occupa dello studio della natura: il “grandissimo libro dell’Universo” creato da Dio e scritto in caratteri matematici e figure geometriche.
Se Dio ha donato agli uomini l’intelletto è per consentire loro di comprendere i principi che governano la natura. Quindi, attraverso l’osservazione, il ragionamento e la sperimentazione (i fondamenti del “metodo” galileiano), l’uomo può pervenire alla conoscenza delle leggi (matematiche) che regolano l’Universo. Per Galilei non esiste una verità scientifica in contrasto con la verità delle Scritture, la verità è una sola, ciò che cambia è il linguaggio con cui è espressa: quello della Bibbia (allegorico) non può essere utilizzato nell’ambito della scienza che necessita di grande esattezza. È con argomentazioni di tal genere che Galilei tentò di evitare lo scontro diretto con la Chiesa di Roma, tuttavia la condanna da parte del Sant’Uffizio, nel 1633, fu inevitabile e l’abiura fu l’unica possibilità di salvarsi e di evitare il carcere a vita.
La vicenda di Galilei è diventata, dunque, l’emblema della difficile conciliazione tra scienza e fede e il simbolo delle difficoltà e dei pregiudizi che spesso gli scienziati, anche quelli attuali, devono affrontare per affermare la loro libertà di pensiero e di ricerca. Come disse Rita Levi Montalcini in un discorso a Montecitorio nel febbraio del 2001: “La libertà di ricerca è quello che distingue l’Homo Sapiens da tutte le altre specie” e dunque deve essere difesa sempre e a qualunque costo.
Naturalmente condividiamo le dichiarazioni della Senatrice Montalcini e riteniamo indispensabile difendere l’autonomia della ricerca scientifica dalla religione e dalla politica; d’altro canto, la Storia dimostra che è impossibile arrestare il progresso scientifico: gli uomini possono essere fermati (vedi il “caso Galilei”), ma le idee, quando sono valide, vanno avanti comunque.
Inoltre, va detto che ostacolare, bloccare un ricercatore alle prese con una scoperta importante o una teoria da confermare è un’impresa vana; gli scienziati sono sempre “innamorati” delle proprie ricerche e farebbero di tutto per difenderle e per vederne l’applicazione pratica, a prescindere da eventuali ripercussioni biologiche, etiche, politiche, ecc. È appunto quanto racconta Heisenberg a proposito di un incontro con Enrico Fermi: quest’ultimo considerava la sperimentazione della prima bomba all’idrogeno nel Pacifico un “bello esperimento”, sorvolando sulle conseguenze terrificanti che tale esperimento avrebbe comportato. “Lo scienziato” – scrive Heisenberg – “ha bisogno di sentirsi confermare da un giudice imparziale, dalla natura stessa, di aver compreso la sua struttura. E vorrebbe verificare direttamente l’effetto dei suoi sforzi”. (W. Heisenberg, La tradizione della scienza, Garzanti, Milano, 1982).
Proprio il riferimento alla bomba all’idrogeno e alla sperimentazione sulle armi termonucleari dovrebbe farci riflettere, però, su un altro aspetto (politico) della questione, che oggi appare più che mai attuale. Ci riferiamo alla necessità di vigilare sugli sviluppi della ricerca scientifica e tecnologica, sull’importanza di dettare delle condizioni e anche di imporre dei limiti affinché il progresso sia “sostenibile”; occorre aprire gli occhi sui rischi di una ricerca scientifica fuori controllo giacché in ballo non vi sono più questioni di ordine morale o religioso (come al tempo di Galilei) ma la nostra stessa sopravvivenza sul pianeta.
L'articolo Galileo Galilei ed. “Libreria Salvemini” proviene da Rivista Cybersecurity Trends.