Il rapporto annuale dell’Unione Europea, denominato Education and Training Monitor, fornisce un’analisi approfondita dello stato dell’istruzione e della formazione nei Paesi membri.
Facendo un focus sull’Italia all’interno del contesto europeo, il nostro Paese presenta alcune criticità:
sottocompetenza elevata, ossia una quota molto alta di studenti italiani non raggiunge le competenze minime in lettura (24%), matematica (28%) e scienze (22%), con percentuali più basse in ogni ambito rispetto alla media europea, e molto al di sotto del target fissato per il 2030 dall’UE pari al 15% in ciascuna delle tre aree;
bassa partecipazione degli adulti all’apprendimento circa con circa il 33% degli adulti coinvolto in percorsi di formazione continua, rispetto alla media UE che risulta essere del 39,5%;
livelli di abbandono scolastico ancora critici, seppure in lieve miglioramento, con una percentuale dell’11,5%, a fronte di una media UE del 9,5% e persistente divario territoriale Nord-Sud.
Uno degli obiettivi che appare più lontano rispetto alla soglia prefissata riguarda la diffusione dell’istruzione terziaria, particolarmente carente: l’Italia fa parte dei Paesi con una percentuale molto bassa di giovani laureate e laureati (29,4%), dato in linea con quanto registrato l’anno precedente (29,2%); anche il dato riguardante la popolazione laureata più anziana è particolarmente scarsa (13,2%), seppure in lieve miglioramento se paragonato all’anno precedente (12,4%).
Un livello così contenuto di laureate e laureati esercita effetti concreti e misurabili anche sulla performance economica del Paese.
L’Italia, già in posizione di svantaggio competitivo rispetto a molte altre economie europee prima della crisi pandemica, non ha ancora colmato il gap apertosi in seguito alla recessione del 2008, e fatica oggi a recuperare terreno.
L’espansione dell’istruzione terziaria rappresenta un fattore chiave innanzitutto per la crescita sociale, ma anche per quella economica, contribuendo in modo significativo all’incremento della produttività e delle retribuzioni, nonché alla riduzione delle disuguaglianze socio-economiche.
L’istruzione superiore svolge inoltre un ruolo centrale nel potenziamento dei processi innovativi, fungendo da catalizzatore per il progresso tecnologico e lo sviluppo di iniziative imprenditoriali.
Eppure, si continua a registrare una crescente propensione, da parte delle giovani generazioni, a privilegiare percorsi formativi non accademici, probabilmente determinata da una percezione sfavorevole del contesto occupazionale nazionale e da un diffuso scetticismo riguardo alle prospettive professionali successive al conseguimento del titolo universitario.
Ma laurearsi paga?
L’Osservatorio JobPricing ha presentato la nuova edizione dello University Report, un’indagine approfondita sul valore economico della laurea in Italia, che confronta le retribuzioni reali percepite dai lavoratori in funzione del titolo di studio, dell’area disciplinare, dell’ateneo di provenienza e dell’esperienza maturata nel mercato del lavoro.
Giunto alla sua undicesima edizione, il report si conferma un punto di riferimento per chi vuole orientarsi con consapevolezza nel complesso mondo del lavoro, offrendo uno sguardo oggettivo e aggiornato su quali percorsi universitari garantiscono prospettive retributive più solide.
Ovviamente, la scelta dell’università dovrebbe essere fatta – a nostro avviso – innanzitutto in base a ciò che piace studiare, a ciò che si allinea alle proprie passioni e ai propri interessi e che può portare a risultati migliori e a una maggiore soddisfazione personale.
Tuttavia, anche la prospettive occupazionali e di retribuzioni andrebbero in qualche modo considerate.
Laurearsi conviene, ma non per tutti: nel 2024, i lavoratori laureati hanno percepito una RAL media di 41.716 euro, contro i 30.063 euro dei non laureati.
Il vantaggio economico si attesta a circa 12.000 euro, pari a un +39%.
Il gap cresce con l’età: tra i 45 e i 54 anni un laureato guadagna in media il +58% in più rispetto a chi non ha un titolo universitario.
Nella fascia 25–34 anni, i laureati in Ingegneria chimica, nucleare, meccanica, gestionale e informatica guadagnano più della media di 33.527 euro.
Chi ha studiato Scienze storiche e filosofiche registra retribuzioni inferiori anche del −8% rispetto alla media.
Per quanto riguarda atenei e territori, la Bocconi è l’università con la RAL media più elevata: 41.375 euro, pari a un +23% rispetto alla media. Seguono il Politecnico di Milano (38.171 euro, +14%), la LUISS (37.258 euro, +11%) e l’Università Cattolica (37.159 euro, +11%).
Anche alcuni atenei pubblici del Mezzogiorno si posizionano sopra la media, tra cui la Federico II di Napoli (36.640 euro, +9%) e l’Università dell’Aquila (36.545 euro, +9%).
Un laureato in sede alla Bocconi impiega 12,2 anni per recuperare l’investimento; il dato sale a 14,3 anni per uno studente fuori sede. Al Politecnico di Milano servono 12,4 anni (15,1 anni per i fuori sede). Nei casi meno favorevoli, come Roma Tre, si arriva fino a 23,1 anni per i fuori sede.
Il 27% degli occupati svolge un lavoro che non richiede il titolo posseduto.
La percentuale supera il 40% tra gli under 35. Se la Bocconi garantisce i livelli retributivi iniziali più alti, sono atenei come Messina (+122,5%), Brescia (+82,2%) e Pavia (+78,9%) a registrare la crescita salariale più ampia tra i 25–34enni e i 45–54enni.
“In conclusione, si legge nel Rapporto, i dati suggeriscono che la scelta dell’ateneo influisce non solo sul livello retributivo iniziale, ma anche sulla struttura del percorso di carriera: alcuni atenei offrono uno slancio immediato, altri una scalata più lenta ma costante.
Per questo motivo, nella scelta di un percorso universitario è fondamentale considerare non solo il guadagno al primo impiego, ma anche le prospettive di sviluppo professionale a lungo termine”.
Qui per scaricare il Rapporto: https://osservatoriojobpricing.it/report/university-report.