Si è appena concluso il papato di Bergoglio, e con esso la maratona mediatica che lo ha accompagnato nella progressiva esposizione della sofferenza. Il tema della sofferenza è un aspetto centrale della fede cristiana. Secondo la dottrina cattolica la sofferenza dell’uomo in quanto tale non è voluta o procurata da Dio, essa è frutto delle conseguenze del peccato originale, della malvagità degli uomini e dei peccati personali; tuttavia è “permessa” da Dio perché ce la siamo meritata con i nostri peccati (sofferenza come pena). Se la sofferenza in sé è un aspetto non nuovo nel mondo cristiano, lo è invece la sua spettacolarizzazione con l’aiuto dei mezzi mediatici, come è avvenuto anche per Bergoglio. Ciò ovviamente amplifica in modo significativo il messaggio emotivo. La cifra stilistica di Bergoglio, nel percorso bimillenario del cattolicesimo, è stato l’uso scientifico dello strumento mediatico, non solo per la sua capacità di diffusione dei messaggi, ma soprattutto per la capacità di colmare la distanza tra la realtà e l’immaginario, tra ciò che che Bergoglio ha concretamente rappresentato e voluto trasmettere e ciò che è stato invece percepito. Quella che è stata diffusa dai media, e pertanto comunemente intesa, è stata l’immagine di un papa “progressista”, “anticapitalista”, “ecologista”. La realtà, partendo dalla sua biografia e dalla storia concreta, è di senso opposto e l’uso mediatico è fondamentale per una valutazione del suo operato. L’immagine che Bergoglio volle immediatamente trasmettere, fino dal suo insediamento, fu quella di un pontefice anti Curia, rappresentante di un populismo clericale.
Nella primavera del 2013 Bergoglio concede a Scalfari, allora direttore di Repubblica, una intervista in cui definisce la Curia la “lebbra del papato”. Si diffonde il mito del capo che diventa umile, dell’individuo contro il sistema, l’antica riproposizione del bene, spesso raffigurato in un singolo, contro il male spesso raffigurato come impersonale. Con l’arrivo di Bergoglio la Chiesa si è trovata a disposizione un eccezionale strumento supplementare e singolarissimo per evitare le riforme, utilizzando l’intuizione mediatica del conflitto tra la Curia e il nuovo papa. È stato lo strumento per distogliere l’attenzione dal tema fondamentale delle riforme della Chiesa, per portare il conflitto su un piano personale riducendolo al confronto tra Bergoglio e la Curia romana. La messa in scena di un conflitto, che poi vedremo nei fatti, è di fatto inesistente, ha contribuito a fornire l’impressione che dentro la Chiesa fosse in corso un grande mutamento, e che Bergoglio ne fosse l’iniziatore. La costruzione mediatica è scientifica: non vi è trasmissione dell’immagine di Bergoglio che non sottolinei la sua presunta umiltà, soprattutto la rinuncia ai privilegi materiali della carica. Si diffonde l’immagine di uno stile di vita che è il contrario di quello comunemente percepito per Ratzinger, il papa delle scarpette rosse di Prada. L’immagine di Bergoglio, in coerenza con i poveri da lui difesi, sono i mocassini consumati, l’anonima e consunta borsa nera da viaggio portata in aereo, la coda con il vassoio in mano alla mensa di S.Marta, gli interventi a braccio, spesso rilasciati durante i viaggi a bordo dell’aereo. In sintesi, l’intendimento è di comunicare una coerenza con la difesa dei poveri ed uno stile di vita dimesso. Ma le azioni concrete di Bergoglio contraddicono in modo netto l’immagine e segnano invece un cammino opposto a quello riformatore.
Accenniamo solo ad alcuni di una lunga serie di esempi e di scelte che coinvolgono figure quantomeno discutibili: il cardinale Pell, coinvolto in uno scandalo legato ad abusi sessuali su minori, nominato a capo della “Segreteria per l’Economia”; Josè Rodriguez, nominato Arcivescovo di Belcastro e finito sotto inchiesta per traffici illeciti di armi e droga; il cardinale Comastri a capo per oltre quindici anni della Fabbrica di S.Pietro, una delle più nefaste strutture della Curia romana, che dovrebbe occuparsi del mantenimento della basilica e la cui gestione è del tutto fuori controllo.
Davvero esempi encomiabili di rinnovamento e “moralizzazione”!
Ma torniamo alla costruzione del mito Francesco.
Una delle immagini più manipolate dalla comunicazione dei media sull’operato di Bergoglio è stata la sua presunta apertura rispetto alla questione “gender” e all’omosessualità. A tal proposito conviene richiamare quanto riportato nell’enciclica Amoris Laetitia al paragrafo 56: <Un’altra sfida emerge da varie forme di un’ideologia, genericamente chiamata gender, che «nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia. Questa ideologia induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina. L’identità umana viene consegnata ad un’opzione individualistica, anche mutevole nel tempo». È inquietante che alcune ideologie di questo tipo, che pretendono di rispondere a certe aspirazioni a volte comprensibili, cerchino di imporsi come un pensiero unico che determini anche l’educazione dei bambini>
Rispetto all’omosessualità nulla è cambiato rispetto al testo del Catechismo della Chiesa cattolica approvato a suo tempo da Wojtyla: ne riportiamo i passi direttamente interessati, che contraddicono nettamente le dichiarazioni dei giorni scorsi di chi magnificava le grandi aperture di Bergoglio nei confronti della questione omosessuale: “L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati. Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione”.
D’altra parte, Bergoglio si è sempre battuto contro il matrimonio paritario tra persone omosessuali. Nel 2009 scrisse al capo del governo della città di Buenos Aires Macrì per protestare contro una sentenza che dichiarava valide le nozze omosessuali. Venne resa pubblica la lettera che Bergoglio scrisse alle carmelitane di Buenos Aires, dove si dichiarava che la nuova legge per la legalizzazione di matrimoni e adozioni omosessuali era una minaccia per la famiglia, in quanto avrebbe prodotto figli senza padri e senza madri, e che rappresentava un attacco frontale alla legge di Dio. Nella legge – citiamo letteralmente – si scorge la coda del serpente grazie ai consueti segni rivelatori: isteria, divisione, confusione, invidia, era quindi la guerra di Dio.
Un altro aspetto letteralmente dimenticato nei dodici anni di pontificato di Bergoglio e che certamente non lo lega ai settori progressisti è stato un dibattito sulla “Teologia del pueblo” della quale lui stesso si dichiarava “figlio” e che fu lo strumento per sconfiggere la “Teologia della Liberazione” nel continente Sud Americano.
Bergoglio nel 1973 diventa Provinciale dei Gesuiti. In quegli anni i Gesuiti, nel continente Latino Americano, erano profondamente divisi, ed una loro significativa parte propendeva per la Teologia della Liberazione.
In questo contesto il padre generale Arrupe scelse Bergoglio, allora di anni 36, come provinciale dei Gesuiti. La scelta rappresentò un chiaro segno politico ed ideologico: si scelse Bergoglio perché era uno dei più convinti rappresentanti della Teologia del Pueblo, antitetica alla Teologia della Liberazione, a cui Bergoglio fu sempre ostile, definendola “teologia della liberazione marxista”. In sintesi, la Teologia del Pueblo è una teologia della cultura, intesa nel suo complesso di tradizioni, di gesti, di ritualità, radicalmente “antimodernista e antiprogressista”. Secondo Bergoglio l’Argentina era in crisi perché in preda ad ideologie estranee alla sua storia, il liberalismo ed il marxismo. La priorità, quindi, doveva essere quella di proteggere il modo di essere del suo “pueblo”, l’unico degno ed autentico rappresentante del solo Continente cattolico, figlio della cattolicità ispanica. Di fatto un’apoteosi nazional cattolica, il trionfo del terzomondismo in chiave reazionaria. Fede e Nazione intesi da Bergoglio come una cosa unica: il nemico è la razionalità illuminista, la pretesa liberale di omogeneizzare tutto attraverso l’economia e la cultura, il “progressismo scientifico e tecnocratico” che minacciava la “civiltà cristiana” ed i valori autentici nazionali del “Pueblo”.
L’ultimo aspetto ignorato dai media, accuratamente evitato per non avere ostacoli alla costruzione del mito Francesco, è quello relativo ai rapporti con la dittatura argentina. Il silenzio di Bergoglio su questo tema è assordante, non una parola sui “voli della morte” sull’oceano, sul coinvolgimento delle grandi aziende italiane con la giunta militare, sulle madri di Plaza de Mayo.
Nonostante la volontà di oscurare, rimangono nei fatti la sua militanza giovanile nel gruppo “Guardia di ferro”, sostenitore della destra peronista, nel quale militava anche Videla (uno dei tre triumviri della giunta militare) ed il coinvolgimento in vari episodi, a partire da quello relativo ai due gesuiti, Orlando Yorio e Francisco Jalics, ai quali fu chiesto di abbandonare il lavoro nelle baraccopoli e di andarsene. Al loro rifiuto Bergoglio li escluse dalla Compagnia di Gesù e fece togliere loro addirittura l’autorizzazione a dir messa.
Non è un caso che Bergoglio, instancabile “viaggiatore della Fede”, non abbia mai messo piede in Argentina durante il suo papato e sia stato durissimamente contestato in Cile durante la sua visita pastorale nel 2018, quando numerose chiese andarono a fuoco.
Questo un primo quadro di un papato reazionario, che passerà alla storia come progressista.
Daniele Ratti
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