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Santa Russia. Nazionalismi religiosi

Da decenni, ogni 9 maggio a Mosca alle ore dieci in punto, prende avvio sulla Piazza Rossa l’imponente parata che celebra la vittoria nella Seconda guerra mondiale, definita, a quelle latitudini, la “Parata della Vittoria”. Il luogo della parata, la Piazza Rossa, è altamente simbolico, racchiude i contrassegni del potere, quello temporale che fu sovietico ed è ora dell’oligarchia, e quello religioso, con l’imponente Cattedrale di San Basilio, a testimonianza di come la tradizione russo ortodossa ha plasmato, ed influenza tuttora profondamente, la cultura e la società russa. A poca distanza vi è un altro simbolo della storia russa, la Cattedrale di Cristo Salvatore. Questo spazio non è misurabile in metri, ma con il tempo della storia, tempo nel quale si è formato un legame tra nazione e religione.

Bakunin e Rocker hanno affrontato la questione della natura religiosa del potere. Le conclusioni alle quali sono giunti si basano sul fatto che ogni potere è, nella sua essenza, una teologia, che produce la dissoluzione dell’etica: «lo Stato, secondo le dottrine della teologia politica – dice l’anarchico tedesco – non è vincolato dalle regole della morale umana ordinaria». Tutta la politica risiedeva quindi nella religione, ogni istanza di potere era di per sé religiosa poiché si fondava sulle «catene della dipendenza» da un essere superiore (divino o secolare) e aveva bisogno della fede dell’assoggettato. Il potere aveva dunque bisogno di colonizzare l’immaginario, di dare «santità mistica» ai suoi fini e alle sue divisioni. «Nessun potere temporale – conclude Rocker – poteva fare a meno del riferimento al sacro in una delle sue forme. Senza autorità non ci poteva essere né fede né religione, e senza fede e religione non c’era alcuna autorità». La conseguenza di tale pensiero è che l’autorità nell’esercizio delle sue funzioni ha necessità di “sacralizzare” l’atto politico mediante un “gesto pubblico” quale momento “liturgico” indispensabile alla celebrazione della funzione politica. Le cerimonie a commemorazione di una ricorrenza bellica o della fondazione degli stati ne sono un chiaro esempio, soprattutto se accompagnate dalla celebrazione del sacrificio dei caduti. La parata diventa una vera e propria liturgia che nulla ha da invidiare a quelle ecclesiastiche, sia per imponenza che soprattutto per simbologia e ritualità. Per tale ragione le parate rivestono un significato rilevante.

La parata del 9 maggio a Mosca riveste un carattere particolare, dato che ci dà l’opportunità di analizzare quello che si definisce la “sacralità della politica” ovvero la necessità di elevare i simboli, i valori nazionali, ad un livello mistico, in cui la celebrazione del sacrifico dei caduti diventa l’elemento indispensabile così come in ogni liturgia religiosa il sacrificio rituale rappresenta sempre il momento principale. In Europa la fine del secondo conflitto mondiale viene ricordata come la vittoria contro il nazifascismo e tale evento in buona parte è patrimonio politico delle “sinistre”, ovvero di quelle forze politiche che oggi si considerano eredi dei partigiani. Di fatto, in occidente, la Resistenza, ha spesso associato l’aspetto di liberazione nazionale con quello ideologico. In Russia invece ha assunto un carattere particolare. In quella che era (ed è ancora per alcuni) percepita come la patria del “socialismo” la guerra è stata ed è tuttora orgogliosamente definita “Guerra Patriottica”. La ragione è profonda. Le vicende belliche che lasciavano presagire già alla fine del 1941 il tracollo dell’URSS trovarono un’inattesa svolta nel richiamo ancestrale all’unità della Russia, congiungendo i valori della tradizione popolare con le memorie ortodosse. Non a caso fu riesumato dalla soffitta della storia l’ottocentesca resistenza antinapoleonica, ed il suo appello di chiamata alle armi per la “guerra patriottica”, vissuta e narrata come la rivincita dell’ortodossia contro i francesi figli della rivoluzione, empi, atei, rappresentanti del razionalismo, dell’illuminismo, della modernità dell’occidente. Ma non fu solo questo lontano richiamo che cementò una straordinaria reazione popolare. Le persecuzioni religiose, che caratterizzarono i primi anni del regime sovietico, a fine anni Trenta si attenuarono progressivamente, man mano che ci si rese conto che lo sforzo di costruzione della struttura produttiva e sociale richiedeva un’ampia condivisione. Furono riabilitati i santi ortodossi più venerati. A seguito dello storico incontro del 5 settembre 1943 al Cremlino, tra il metropolita Alessio e Stalin, fu consentito alla Chiesa ortodossa di riaprire ed operare legalmente dopo quasi due decenni di oppressione. Significativo l’appello con cui Stalin il 3 luglio del 1941, dopo l’aggressione tedesca, si rivolge ai compagni ma anche ai Fratelli e Sorelle, termini appartenenti ad una cultura del passato. La sacralizzazione della politica e la politicizzazione del sacro sono fenomeni che spesso si completano a vicenda e hanno preso corpo nella edificazione a Mosca della chiesa principale delle forze armate russe il “Santo Salvatore di Mosca”. La storia della Cattedrale inizia nell’anno 1812, dopo la vittoria delle truppe russe sull’esercito francese di Napoleone. Lo zar Alessandro I aveva voluto che si costruisse a Mosca un tempio, con il nome di Cristo Salvatore, in onore di coloro che avevano lottato ed erano morti nella Campagna di Russia del 1812 (conosciuta in Russia come Guerra Patriottica), come omaggio e ringraziamento per il sacrificio del popolo russo. Dopo la Rivoluzione Russa del 1917, Stalin ordinò che la Cattedrale del Cristo Salvatore fosse distrutta con esplosivi, ma quasi quindici anni dopo le chiese che non erano state distrutte dal governo comunista vennero riaperte in tutta l’Unione Sovietica. Alla fine degli anni ’80 alcuni membri importanti della società e della Chiesa Ortodossa Russa della capitale moscovita si sono riuniti per promuovere la ricostruzione del tempio, consacrato di nuovo nel 2000. Un mosaico nella Cattedrale principale delle forze Armate russe commemora le forze armate sovietiche e alcune delle più importanti battaglie della Seconda guerra mondiale. I pavimenti della cattedrale sono in metallo proveniente dalla fusione di armi e carri armati sequestrati alle forze della Wermacht: l’atto di camminare sui pavimenti della cattedrale vuole simboleggiare il colpo inferto al nemico nazista. La parata della vittoria si tenne per la prima volta sulla Piazza Rossa il 24 giugno 1945. L’altissimo prezzo della guerra, circa 27 milioni di vite umane, 46 milioni di cittadini sovietici feriti, impose una liturgia contenuta. Poi calò il silenzio sino alle successive parate del 9 maggio del 1985, del 1990 e del 1995. A partire da questo anno, ricorrenza del 50° anniversario del Giorno della Vittoria, fu introdotta una legge per tenere ogni anno parate militari a commemorazione della vittoria del popolo sovietico nella grande guerra Patriottica del 1941-1945.

La decisione di celebrare annualmente la ricorrenza viene prese in occasione della prima guerra cecena, cominciata l’11 dicembre 1994. Non si tratta di una semplice coincidenza, ma di un preciso messaggio geopolitico: è l’inizio del protagonismo russo nell’emisfero delle ex repubbliche sovietiche, nel tentativo di instaurare quella ambigua e controversa dottrina del “multipolarismo” tanto cara a Mosca. In sintesi, si riconoscono le autonomie delle singole repubbliche ex sovietiche e del mondo slavo in generale, ma queste, nella visione di Mosca, sono tutte figlie di una medesima cultura, hanno la stessa matrice, riconducibile alla tradizione ortodossa. Accanto a questo messaggio politico si è accentuato il carattere militare, l’ostentazione muscolare di uomini e mezzi. Dal 9 maggio 2008 si è aggiunta anche la parata annuale di aerei ed elicotteri che sorvolavano la Piazza Rossa. Mentre in onore del 70° anniversario della Vittoria nel 2015, sono stati presentati per la prima volta al pubblico nuovissimi mezzi corazzati e di trasporto truppe, in poche parole una vera e propria dimostrazione di efficienza militare. Tale caratteristica si è riproposta negli anni successivi con la presentazione pubblica delle ultime novità in tema di armamenti, una dimostrazione della corsa al riarmo e della volontà d’essere protagonista nel consesso mondiale. Lo spazio che racchiude i tre simboli della storia russa il, mausoleo di Lenin, la cattedrale di San Basilio, la cattedrale di Cristo Salvatore, non solo narra un percorso storico, ma conferma il pensiero che senza autorità non ci può essere né fede né religione, e senza fede e religione non c’è alcuna autorità.

Daniele Ratti

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