Questo articolo fa parte di un reportage sulla sinistra in Ucraina ed è pubblicato nel quadro di un partenariato con Voxeurop.

Ho incontrato Kseniia a metà febbraio a Kyiv. Ci siamo date appuntamento alle 9:30 di mattina a Pozniaky, quartiere nella “Left Bank” della capitale, sulla riva sinistra del Dnepr, il fiume che attraversa la città. La “Right Bank”, la riva destra, ospita i quartieri più eleganti e alla moda, nonché la sede dei palazzi del governo.
Kseniia fa parte di Solidarity Collectives (SC, Колективи Солідарності), un gruppo di attivisti e attiviste che si è formato in seguito all’invasione su larga scala nel 2022 e che si identifica come gruppo “anti-autoritario”. “Alcuni di noi sono anarchici; ci sono militanti femministe, progressisti, ecologisti, persone di sinistra. Alcuni non si identificano politicamente, ma condividono idee progressiste in generale (diritti LGBTQ+, delle donne, ambientalisti…)”, mi racconta seduta a un tavolo del KFC del quartiere. Avevamo appuntamento davanti a un grande centro commerciale, ma apre alle 10.
Prima dell’invasione su larga scala del febbraio 2022 “il nostro movimento era diviso, il tipico dramma delle persone di sinistra, hai presente?”, dice Kseniia. È la seconda volta che vengo in questo quartiere e le chiedo di parlarmene. Palazzoni, costruiti soprattutto negli anni Novanta, che si alternano a strade a scorrimento veloce. Kseniia mi spiega che Pozniaky è un quartiere “working class”, di lavoratori e lavoratrici, i cui impieghi sono spesso nella “Right Bank” della città.
Qui gli affitti sono più bassi rispetto al centro di Kyiv (meglio servito dai mezzi pubblici, qualcuno mi ha detto anche meglio protetto dagli attacchi), dove il prezzo delle case è esploso negli ultimi tre anni, raggiungendo picchi che ricordano molto da vicino le capitali più costose dell’Europa occidentale. La guerra ha fatto anche aumentare gli affitti, e non solo nella capitale.
Inoltre, in caso di allarme aereo – più volte di notte, e a volte di giorno – i mezzi pubblici che portano nella “Left Bank” sono chiusi, obbligando chi ci vive o a dormire nella metro o a tornare in taxi, a prezzi improponibili per i salari ucraini, e proponibilissimi per un occidentale: con qualche euro arrivi ovunque, sapendo che il costo di un biglietto della metro equivale a circa 30 centesimi di euro, 8 grivna. Il salario minimo in Ucraina è di 8 mila grivna, quello medio 20 mila, rispettivamente circa 180 euro e 450 euro.
In seguito all’invasione su larga scala del 2022 una parte dei membri del Solidarity Collectives ha deciso di arruolarsi, un'altra si dedica ad aiutare i civili, andando regolarmente nelle zone sul fronte per sostenere le comunità locali e chi scappa dai territori occupati; un’altra parte, ancora, si forma sulla costruzione di droni, su come programmarli, per poi consegnarli ai soldati anti autoritari o di sinistra nei diversi battaglioni. “In quel momento si è creata una connessione: la maggior parte delle persone e dei gruppi si è unita, si è chiesta cosa sarebbe successo se, dopo il discorso di Putin, ci fosse davvero un'invasione. Cosa succederebbe?”. Domanda che ha avuto la sua risposta il 24 febbraio 2022, quando è iniziata l’invasione su larga scala.
L’impegno di SC per la raccolta del materiale militare o per i militari (spesso si tratta di veicoli, ma non solo) è un esempio dell’immenso lavoro realizzato dalla società civile ucraina per sostenere, in modo molto pratico, le forze armate di fronte a uno Stato che non riesce a sopperire ai loro bisogni. Sono decine le fondazioni, centinaia le iniziative per inviare denaro ai diversi battaglioni (o all’esercito in generale) o per acquistare armi ed equipaggiamento, per formare soldati. A titolo di esempio, la Come Back Alive Foundation, una delle più note anche all’estero, dal 2022 ha raccolto oltre 14 miliardi di grivna (circa 320 milioni di euro).
SC considera centrale per la sua attività la comunicazione: “Per noi era importante mostrare le prospettive di sinistra, le attività e le storie di militanti anti-autoritari in prima linea”. Per SC la comunicazione è importante per due motivi: sostenere lo sforzo della resistenza del paese, ma anche far sentire la propria voce e la propria storia, perché la questione della guerra è un tema particolarmente - e comprensibilmente - complesso per chi milita in gruppi di sinistra: “Molti antimilitaristi del passato, come le persone che accusavano, ad esempio, della militarizzazione della società qui in Ucraina, alla fine sono passati alle armi, e cerchiamo di spiegare il perché”.
Le evoluzioni storiche e lo specifico contesto attuale hanno creato un divario di comprensione e di comunicazione tra i militanti di sinistra ucraini (ma si potrebbe dire lo stesso per altri paesi dell’ex blocco sovietico) e i loro omologhi occidentali. Così come con alcuni gruppi e partiti. “Da un certo punto di vista, credo, sia davvero difficile capire quando si vive in una situazione di pace”, dice Kseniia. Ma quando la guerra arriva “Ti trovi a fare i conti con la realtà dei fatti. Ovvero, con l’affermazione 'i russi sono a tre giorni da Kyiv’”.
“Sappiamo cosa succede alle persone nei territori controllati dalla Russia, come Donec'k e Luhans'k. Esistono inchieste, esistono documenti: ci sono pratiche di tortura contro chi sembra anche solo vagamente attivista. Sappiamo che la morte per alcuni di noi è meglio della prospettiva di trovarsi nel regime di tortura che ci aspetterebbe. Di fronte a questa situazione tutta la società ucraina, non solo le persone di sinistra, si trova di fronte a questa constatazione: dai politici agli attivisti di base, fino alle nonne che potrebbero scrivere un post su Facebook per l'Ucraina. Perché tutte le persone qui sono in pericolo di subire azioni da parte della Russia”.
Oggi il circa il 20 per cento del territorio ucraino è occupato dalla Russia. Dal 2022, il Center for Civil Liberties (co-premio nobel per la pace nel 2022) ha raccolto oltre 84 mila casi relativi a crimini di guerra russi, che vanno da omicidi, stupri e sparizioni a violazioni dei diritti fondamentali. Si stima che siano morte più di 7500 persone e che più di tremila siano scomparse.
“L'Ucraina non è perfetta, ma è il progetto più liberale nei territori post-sovietici", continua Kseniia. Spiega quello che pensa con una calma e una gentilezza che suona come, “quante volte lo dobbiamo ripetere?”: “Abbiamo diritti. Abbiamo lottato per questi diritti con una lunga storia, combattendo tutto questo attraverso periodi difficili. E ci stavamo lavorando. Per noi è importante difendere ciò che abbiamo e, sì, continuare... essere in grado di continuare a far crescere questo progetto che stiamo portando avanti. Non abbiamo repressione politica, non ci sono pratiche di tortura, come avviene con gli attivisti in Bielorussia o in Russia”.
Kseniia mi spiega che sì, vive a Kyiv “ma sono di Kharkiv, che è la seconda città ucraina. Oggi è pesantemente bombardata: per me è la città più bella, la più accogliente. E oggi sta morendo. E la mia famiglia è lì, i miei amici sono lì. Alcuni sono già morti. Ed è molto personale chiaramente. Ma perché siamo in questa situazione? Perché un regime autoritario ha deciso che meritiamo di essere occupati? Perché siamo fascisti o qualunque scusa trovino? Questi motivi sono un po’ gli stessi per tutti: una preoccupazione molto personale e profonda, e per i parenti e gli amici, per i luoghi in cui si cresciuti, per questo complesso di diritti che abbiamo, che dovrebbero essere difesi, questo legame che rende profonda la motivazione a combattere perché, di fronte c’è la morte, o peggio”.
“Per noi”, mi dice, “la questione è centrale, non di parte: questo è uno degli eventi politici fondamentali. Non si può stare lontano e dire ‘non siamo d’accordo con questa guerra di classe’”.
Per questo SC tesse relazioni e discute con altri movimenti: con le Forze Democratiche Siriane, o guardando al conflitto in Myanmar, “dove anche alcuni internazionalisti combattono”, dice. Inoltre ha contatti con gruppi in Polonia, Francia, Germania, Estonia, Spagna e Italia.
Ho finito il mio caffè e non ho lasciato Kseniia finire il suo, ma non se ne preoccupa. Vorrei capire meglio la questione della composizione e delle posizioni dei gruppi di attivisti prima della guerra e il dibattito e le discussioni, per quanto possibile.
"Semplificando al massimo”, dice, “posso dire che prima degli anni Novanta tutte le pratiche di ‘sinistra’ che non si definivano ‘comuniste’ erano state completamente cancellate dal regime sovietico. Dal grande movimento di Makhno o di altri movimenti politici interessanti, tutto è stato distrutto”. Il comunismo sovietico “fu molto concreto in questo”, dice.
Solo con l’indipendenza dell’Ucraina, avvenuta nel 1991, alcuni progetti politici hanno ricominciato a svilupparsi: “C’erano movimenti anarchici, qualche sindacato, come Pryama Diya. C'erano alcuni gruppi come Black Rainbow. C'erano alcuni gruppi anarchici che erano attivi, che combattevano il codice neoliberale dell'Ucraina e che avevano anche qualche vittoria in questo senso”. “C’erano gruppi a Lviv, a Kyiv, a Odessa, a Zaporižžja”. E la “questione divisiva era proprio la guerra”.
Kseniia si riferisce al 2014, momento in cui la Russia ha annesso la Crimea e quando è iniziata la guerra nel Donbas. “Nel 2014 la maggior parte dei militanti di destra, persone non ‘politiche’ e alcuni di sinistra hanno partecipato in prima linea... Noi lo chiamiamo dobrovat, come i battaglioni volontari: dopo Maidan alcuni decisero di andare a combattere nel Donbas per mantenere il territorio”.
“Credo che da quel momento il movimento di sinistra sia rimasto un po' bloccato e non abbia capito come reagire. C'erano gruppi che mettevano in questione la militarizzazione della società, dubitavano delle pratiche, discutevano su quello che si doveva fare… discutevano di come avere una prospettiva antimilitarista, pacifista… Si arrivava fino a cercare di capire la prospettiva sul Donbas, ci si chiedeva se elezioni indipendenti nella regione occupata sarebbero state la soluzione, altri criticavano…”.
Le prospettive erano diverse, racconta Kseniia, c’era chi diceva “ok, abbiamo questa ferita aperta nel Donbas e molto probabilmente non guarirà: c’è un un investimento di denaro, di armi, che si stanno diffondendo. Forse dovremmo pensare a come la società, nel suo complesso, dovrebbe prepararsi a questo tipo di conflitto, se si diffonderà ulteriormente, e come noi dovremmo reagire, in quanto gruppo. Alcune di queste persone organizzavano addestramenti militari di base, corsi di assistenza medica… si stavano preparando per questa cosa, anche discutendo parallelamente su come la difesa territoriale dovrebbe forse funzionare in Ucraina, ecc. Quindi, c’era un ‘vettore di militarizzazione’ in qualche modo, ma non capendo cosa sarebbe successo”.
Quindi, per circa 8 anni, spiega Kseniia, alcuni hanno sviluppato attività civili, in una prospettiva antimilitarista, mentre altri si sono più concentrati sull’idea che bisogna prepararsi a difendersi.
“In parallelo, erano in corso anche alcuni progetti interessanti in diverse parti dell'Ucraina. A Kharkiv, ad esempio, abbiamo cercato di creare degli squat per i rifugiati. Dopo Maidan, questo progetto di squat è stato il primo progetto in Ucraina, poi si è evoluto in un luogo per mostre, concerti, discussioni e vita. Alcuni interessanti progetti eco-anarchici sono stati organizzati a Lviv, oggi a Odessa ci sono anche alcuni squat e iniziative che danno da mangiare ai senzatetto”.
In Ucraina, mi dice sorridendo, c'erano delle iniziative chiamate “Food Not Bombs”, ma “dopo la guerra hanno iniziato a chiamarle ‘Food Forever’ perché ‘sono i russi a dover fare Food Not Bombs’”.
Kseniia ha 25 anni, troppo giovane per aver partecipato personalmente all’Euromaidan, ma abbastanza da poter raccontare quello che ne dice il movimento. “Sì, io ero a scuola quando è iniziato Maidan. Non era solo a Kyiv, ma anche Lviv, a Odessa, a Kharkiv. Molti dei nostri hanno partecipato: a Kharkiv, dove c'era un blocco anarchico con uno striscione per la medicina, i trasporti e l'istruzione gratuiti. Bello, sembra un po' fuori contesto oggi, ma era bello”.
“Alcuni dei soldati che sosteniamo oggi hanno riportato ferite durante l'Euromaidan. Spesso in Europa occidentale si pensa che l'Euromaidan sia fatto soprattutto da persone di destra o da liberali, e non credo sia la verità. Tutta la società ucraina è stata coinvolta, e anche le organizzazioni di sinistra”.
Di fronte a questi argomenti “la risposta è che l'Ucraina ha attraversato solo negli ultimi decenni, eventi esistenziali enormi e grandi per tutta la società. E questo va al di là di un gruppo di destra o di sinistra, è più grande della politica. È stato un momento di autoidentificazione di una società che si è unita: migliaia e migliaia di persone che si uniscono per combattere, che sostanzialmente chiedono libertà, contro il regime, contro la corruzione. Per l'Ucraina è stata, come tutti questi paesi post-URSS, una delle ribellioni di maggior successo in questo senso. Questa libertà di parola, libertà di riunione, è stata un grande successo, perché quello a cui stavamo andando in contro con il presidente precedente, è la Bielorussia di oggi”.
L’Euromaidan, benché diffuso su tutto il territorio, non è stato uguale per tutte le classi sociali. La ricercatrice ucraina Daria Saburova ha lavorato a Kryvyi Rih, città industriale dell’Est del paese (dove tra le altre cose è nato Zelensky) e spiega che qui le classi popolari vedevano la rivolta del 2014 come un attacco allo stato democratico, mentre le classi medie era già una lotta contro l’autoritarismo russo. Come scritto da Saburova, l’invasione su larga scala del 2022 ha cambiato anche la visione di chi si era opposto all’Euromaidan: “il 24 febbraio 2022, la gente si è ribellata perché la loro città, cioè la loro sopravvivenza, la loro esistenza materiale e quella della loro comunità, era immediatamente minacciata da un'invasione militare. Non si trattava tanto di un impegno verso valori astratti, quanto di una difesa della loro vita quotidiana”.
“La destra era presente durante l’Euromaidan, certo”, spiega Kseniia, “così come in questa guerra, la destra, si presenta in prima persona. La destra lo ha capito molto meglio nel 2014, quando la sinistra diceva ‘forse in questo conflitto dovremmo stare alla larga’ e quindi non abbiamo partecipato a questi avvenimenti come movimento organizzato. E all'inizio dell'invasione su vasta scala. E questo ha delle conseguenze: noi eravamo a questo livello, la destra era a questo livello”, spiega usando le mani per mostrare basso e alto.
All’inizio dell’invasione su larga scala c’era un battaglione di “sinistra”, ma oggi non esiste più: “Le persone di sinistra hanno cercato di fare un plotone anti-autoritario nei primi giorni, e ci siamo riusciti. Sulla base della difesa territoriale, per fortuna, perché nel gruppo di sinistra c'era un comandante, Yuri Samoylenko, che apriva le porte a tutti per entrare nell'unità. Molte delle persone che si unirono non erano pronte. Non sapevano cosa significasse la guerra, non conoscevano nulla in tattica…”.
Lo Stato “nazista”
Volevo abbordare la questione del paese “pieno di nazisti” anche con Kseniia, come ho fatto con quasi tutte le persone con cui ho potuto discutere. Ma esce da sé, nella questione, in maniera naturale, quando parliamo di Unione europea, che per lei, è la sola possibilità per l’Ucraina. Ma, mi dice, “riceviamo cosi tante critiche come ‘Stato nazista’”.
Sorrido, lei capisce che ci volevo arrivare. “È divertente perché sì, ci sono dei nazisti in Ucraina, ci sono persone di destra. E nazionalisti di diverse categorie, in tensione tra loro”. Ma l’estrema destra “non è stata scelta dalla società”, dice riferendosi ai risultati elettorali.
“Poi vedi cosa succede con i risultati di AfD in Germania, con il RN in Francia. O in Italia e in Austria. O ancora in America. Davvero criticate noi come ‘Stato nazista’?”.
Poi ci sono delle differenze, mi fa notare, a seconda della posizione geografica: “Per i paesi che vivono al confine con Russia e Bielorussia: dalla Polonia all'Estonia, dalla Repubblica Ceca, alla Finlandia, abbiamo pieno sostegno perché per loro è più facile capire cosa sta accadendo. Perché gli attivisti possono immaginarsi nella situazione in cui si trova l'Ucraina”. Invece, “più si è lontani dalla comprensione della guerra, più la guerra di classe, ma non la guerra in sé, emerge nella narrazione e nell'anti-imperialismo”.
Le cause andrebbero ricercate nella storia dei movimenti di quei paesi. “Molte organizzazioni di sinistra, ad esempio in Grecia, all’epoca si sono sviluppate sulla base del sostegno dell'URSS, poi si sono convertite al sostegno della Russia. E questo ha svalutato molte importanti resistenze in questo mondo, a cominciare dalla rivoluzione Siria, che era ‘pagata dagli USA’, e gli stessi invitavano a sostenere i movimenti anti-imperialismo e anti-USA come Hezbollah e Hamas, o l’Iran”. Più sei lontano, più la propaganda funziona, aggiunge: “E per quanto riguarda la propaganda è triste dirlo, ma l'Ucraina ha perso totalmente, perché la quantità di miliardi di denaro che la Russia ha investito nella propaganda è spaventosa”.
La leva
Da lontano si ha l’impressione che la società ucraina sia spaccata sulla questione della leva obbligatoria. Non è l’impressione che ne ho avuto nelle discussioni che ho avuto a Kyiv. Ma Kyiv non è tutta l’Ucraina.
“La questione della mobilitazione tocca solo gli uomini. Io come donna ho un privilegio. Credo sia il primo caso di sessismo inverso…”, nota sorridendo. “Dico una cosa impopolare per il movimento di sinistra e riguarda solo me: penso che donne e uomini dovrebbero essere trattati allo stesso modo rispetto a questo tema”.
Dal 1° ottobre 2023 le donne ucraine di età compresa fra i 18 e i 60 anni e che lavorano in ambito medico/sanitario hanno l’obbligo di presentarsi davanti a una commissione militare per iscriversi a un eventuale servizio nell’esercito. Ma questo è il solo obbligo, non esiste leva per le donne. Esiste un dibattito in seno al femminismo ucraino in proposito. Ci dovrebbero essere ad oggi circa 67 mila donne nell’esercito ucraino, di cui circa 10mila sul fronte. di queste, secondo il Ministero della Difesa, 48 mila sono volontarie.
I soldati uomini mobilitati in Ucraina sono quasi un milione. La mobilitazione in Ucraina è oggi obbligatoria per gli uomini tra i 25 e i 60 anni. A partire da settembre 2025 il governo introdurrà una formazione militare universale, per gli adulti, compresi gli studenti, a partire da 18 anni. “Il fatto è che in Ucraina non è stato sviluppato un corretto sistema di mobilitazione, semmai una cosa del genere può esistere… ma la legge in vigore non è come dovrebbe e la società fa pressione sul Parlamento per cambiarla”.
Le scene di persone caricate a forza per strada per essere arruolate sono una realtà. Non mancano i reportage o i dati su chi fugge la leva: il numero esatto è un segreto militare, ma è cosa nota, a tutti livelli, compreso il governo. La televisione franco-tedesca Arte parla, in un reportage di Léo Sanmarty, di oltre 15mila uomini che hanno disertato tra gennaio e agosto 2024, cinque volte il dato del 2022 e il doppio del 2023. Per tamponare e rispondere il presidente Volodymyr Zelensky nel dicembre del 2024 ha scelto Olha Reshetylova, attivista per i diritti umani, per essere Difensora civica militare dell’Ucraina.
“Nella società ucraina esiste questa tensione sulla mobilitazione forzata. Ed è una questione un po' complicata”, dice Kseniia. Intanto “l'Ucraina sta perdendo: non ci sono abbastanza - questa terribile espressione - risorse umane. Lo vedo dai compagni che sono andati a combattere tre anni fa, quanto siano devastati, quanto siano stanchi e quanto abbiano bisogno di una sorta di rotazione”.
Questa legge andrebbe migliorata, permettendo la “mobilitazione e smobilitazione, per renderla equa per tutti”. Cosa significa? Che i processi di mobilitazione dovrebbero anche includere tutti i livelli della società”. Perché a seconda della posizione nella società, è più o meno facile evitare la leva.
Faccio a Kseniia una domanda, ammettendo con lei che è stupida. Cosa significa oggi essere ucraina? Sorride di nuovo: “Non ho questo amore smisurato per la madrepatria e bla bla bla, ma di sicuro, crescendo qui, si è radicati nel contesto storico e culturale del paese. E si ricevono i traumi dei propri antenati che hanno attraversato l'Holodomor, la Seconda guerra mondiale, il genocidio: i miei nonni erano al gulag, un altro è stato ucciso nella Seconda guerra mondiale, un altro ha fatto la fame. Ricevi questi traumi e li elabori. E hai empatia. Comprendi più profondamente il contesto del colonialismo nella situazione ucraina, comprendi le lotte politiche in questi territori”. Quindi riassume: “Per me essere ucraina è mantenere questa conoscenza, dei traumi, del contesto storico, e mantenere questa resistenza”.
Le chiedo se ci sono cose che lei ritiene importanti da dire: “Il mio messaggio principale, alla fine di tutti i discorsi, è che abbiamo empatia per le lotte degli altri, cerchiamo di capirle, in tutta questa complicità e di trarne esperienza. E questa esperienza è molto preziosa, secondo me, per le generazioni future. Anche se la lotta ucraina verrà sconfitta, questa conoscenza dovrebbe essere diffusa, su come organizzarsi e resistere”.
(Immagine di anteprima e nell'articolo di Francesca Barca)