Salta al contenuto principale

Perché i russi non protestano

di Daria Kryukova – rifugiata politica in Italia, Associazione Russi Liberi in Italia

Mi chiedono spesso: «Ma davvero i russi non sanno e non capiscono cosa sta facendo l’esercito russo in Ucraina?». La mia risposta è semplice: lo sanno. E lo capiscono. Tutti. O quasi. Fatta eccezione per una minoranza marginale di fanatici “Z”, il resto della popolazione è perfettamente consapevole.

Non a caso, dopo l’inizio della guerra, in Russia è esplosa la domanda di libri su Hitler e sulla Germania nazista, così come dei classici distopici. Tra gli autori più venduti nel 2022 c’erano Erich Maria Remarque e George Orwell. Le librerie segnalavano vendite record di 1984, L’uomo in cerca di senso di Viktor Frankl, La scelta di Edith Eger — libri che parlano della sopravvivenza nei lager e dell’orrore umano. Dopo l’inizio della mobilitazione, sono diventati popolari anche testi come La nazione mobilitata. Germania 1939–1945 di Nicholas Stargardt, che racconta come i cittadini tedeschi percepivano la guerra.

I russi cercavano due risposte: come siamo arrivati fin qui? E soprattutto: come diavolo sopravvivere a tutto questo?

Il problema non è la mancanza di informazioni. Il problema nasce quando ti dai una risposta sincera a domande come:

– La Russia bombarda i civili?
– Ha iniziato questa guerra per conquista, non per difesa?
– L’esercito russo commette crimini di guerra?

E appena rispondi “sì”, arriva la vera domanda: e adesso?

E qui tutto si blocca. Perché il cittadino russo medio non può fare nulla. Non parlatemi di proteste: protestare oggi significa rischiare il lavoro, la libertà, la famiglia o la vita. È un atto eroico, ma quasi impossibile.

E allora, come si vive sapendo che il tuo Stato commette crimini orribili e che tu non puoi fermarlo? La verità è che non si vive, si sopravvive. Quel senso di impotenza ti corrode dentro. Io l’ho provato in prima persona: nel 2022 ho passato mesi a piangere ogni giorno. E io sono fuggita quasi subito, per quelli invece che sono rimasti è ancora più difficile.

Chi è rimasto, spesso ha trovato modi per anestetizzarsi. Prendiamo la mia amica Anna, che lavora nel settore IT a Mosca. Dopo l’inizio della guerra, quasi tutti i suoi colleghi se ne sono andati all’estero. Come ha detto lei stessa: “La mia Mosca non c’è più”. Ed è cosi.

Lei però è rimasta. E nel mondo informativo di Anna, la guerra non esiste. Sì, è contro, ovviamente. Ma intanto continua a lavorare in una grande banca, trova soddisfazione nel suo lavoro e ha una vita piena di hobby. L’unica cosa che ogni tanto rompe la bolla sono gli annunci di reclutamento militare che compaiono ovunque, anche a Mosca.

Oppure c’è la mia amica Vika. All’inizio della guerra piangevamo insieme. Poi io sono partita, lei no. Col tempo ha cominciato a dire cose come: “Sì, siamo colpevoli, ma anche gli altri non sono innocenti”. Il classico “non è tutto così chiaro”, o il famigerato “e allora l’America?”. Non perché ci creda davvero. Ma perché è l’unico modo per sopravvivere emotivamente. Guardare la verità in faccia senza giustificazioni ogni giorno ti spezza.

Ciò che vediamo non è ignoranza, è una strategia inconscia di sopravvivenza psichica. La propaganda non serve solo a mentire: serve a proteggere la psiche collettiva anche per questo va cosi bene. Fornisce una narrazione più sopportabile, in cui non si è complici. È autoinganno, sì — ma autoinganno necessario, per molti.

Il pensiero critico, in Russia oggi, è un lusso pericoloso. Perché chi pensa criticamente, rischia di cadere nella disperazione. Ed è proprio questo il dramma: la guerra ha ucciso non solo corpi, ma anche la capacità morale di resistere. La Russia contemporanea ha distrutto ogni spazio per l’azione etica individuale. E senza possibilità di agire, la coscienza finisce anestetizzata, come un corpo in coma farmacologico per non sentire dolore.

No, non tutti i russi sono buoni. Non tutti sono vittime. Ma chi giudica il silenzio della maggioranza senza capire il prezzo psicologico di quel silenzio, commette una semplificazione crudele. Chi pretende che milioni di persone escano in piazza contro una dittatura armata fino ai denti, senza alcuno spazio politico, senza reti civiche, senza garanzie di sopravvivenza — non ha compreso nulla della natura del potere assoluto. La resistenza, nei regimi totalitari, non nasce per decreto morale. Nasce quando si apre una possibilità concreta di agire. Prima la finestra, poi il movimento. Non il contrario.

È facile chiedere coraggio da lontano. Molto più difficile è capire cosa succede quando il coraggio ti può uccidere, e il silenzio è l’unico modo per non impazzire del tutto.

Immagine in anteprima: Silar, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Fonte
https://www.valigiablu.it/feed/