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La procura, la mafia ed il dissenso in salsa torinese

Domenica 12 ottobre una intera pagina della Stampa di Torino era dedicata al “Dissenso violento”.

Una pagina immonda frutto della ormai consolidata collaborazione tra stampa e procura: il giornalista ricopia fedelmente il dispositivo emesso dal Gip, parola per parola, e correda il tutto con fotografie, nomi e cognomi dei giovanissim3 attivist3.

Ed ecco sbattuti a tutta pagina i nemici violenti delle istituzioni ma anche delle persone che si mobilitano pacificamente (che ora siete avvisate!).

Ma l’aspetto che ci ha fatto davvero rabbrividire e stata l’ennesimo tentativo di dipingere il dissenso e le sue pratiche come “mafiose“.

Una strategia che la procura torinese sta attuando da quando non può più usare il termine “eversive“, che altrimenti viene sconfessata dalla Cassazione, né di “associazione a delinquere” ipotesi sconfessata dal Tribunale giudicante.

E allora facciamoli passare per piccoli mafiosetti, che prima o poi qualcuno ci crederà, ed è incredibile l’immagine che riesce a costruire la GIP: “un corteo ha deviato sotto la dimora (di un* degli indagat* ai cautelari n.d.r.). Lei si è affacciata. Cori: “S. libera“. Per gli investigatori quel balcone richiamerebbe un “inchino”

Rabbrividiamo.

Rabbrividiamo e ci vergogniamo di una Procura che invece di concentrarsi su un pericolo reale innestato e radicato nel territorio, la mafia vera: “è proprio a Torino che le strutture mafiose si sono insediate stabilmente” come relaziona la Dia nel maggio 2025.

Non certo tra gli antagonisti ci viene da pensare.

E allora invece di pubblicare quell’articolo vergognoso preferiamo pubblicare la bellissima risposta indirizzata al direttore della Stampa da una delle tantissime persone che da anni si spende per la fine del genocidio a Gaza:

Alla cortese attenzione del sig. Direttore de “La Stampa”.

Egregio Direttore, mi chiamo Andrea Curtetti e, pur partecipando al coordinamento “Torino per Gaza” fin dalla sua costituzione, le scrivo a titolo strettamente privato. Vorrei esprimerle alcune mie considerazioni, certamente opinabili, ma del tutto sincere, in merito all’articolo intitolato “Dissenso violento”, firmato da Giuseppe Legato e pubblicato in data 12 ottobre 2025 sul suo quotidiano.

Premetto subito che ritengo diritti intangibili la libertà di stampa e quella di espressione delle opinioni, in coerenza con il dettato dell’art. 21 della Costituzione della Repubblica Italiana.

La prima considerazione circa il suddetto articolo, che ho letto con grande attenzione, riguarda il suo tono, a dir poco disgustoso, che delinea come una situazione di cronaca nera un contesto che è invece culturale e politico. Neanche troppo velatamente si sottintende che la posizione giudiziaria delle persone indagate sia di colpevolezza, in piena contraddizione con il principio della presunzione di innocenza, che però viene sempre invocato quando le accuse riguardano personalità degli ambienti istituzionali, partitici o finanziari, o comunque appartenenti alla classe dominante.

La seconda considerazione concerne il contenuto dell’articolo in questione, che ho trovato agghiacciante.

Delle persone indagate vengono pubblicati nomi, cognomi, fotografie, brevi curricula vitae. Mancano solo il domicilio ed il nome del cane di famiglia, ma a questo si può ancora rimediare.

Siamo molto oltre il diritto di cronaca e direi che si tratta invece di una vera e propria gogna giornalistica.

La rappresentazione dei fatti e dei comportamenti ricalca una selezione redatta dalle Forze dell’Ordine e dalla magistratura requirente e perciò non rispondente ai principi del giornalismo serio, che richiederebbero un’analisi ed una verifica molto accurate. Il titolo stesso e denigratorio del dissenso: si fa capire che esso può essere solo violento, laddove le manifestazioni (tutte, nessuna esclusa) sono sempre state organizzate con la massima attenzione e condotte con comportamenti civili e nonviolenti.

Per inciso, i numerosi ed immotivati atti di repressione poliziesca non vengono neppure accennati. Si parla di un “direttorio” (parola che nei miei sbiaditi ricordi di scuola definisce una forma del governo della Francia postrivoluzionaria, peraltro composta da cinque “ministri”) di tre persone, che istigano i manifestanti, ecc.

E’ poco comprensibile che nella visione del GIP le persone che manifestano pubblicamente si lascino “istigare” e non siano in grado di decidere autonomamente quali comportamenti tenere, come se fossero bambine e bambini, ma e del tutto ingiustificabile che un quotidiano che si definisce indipendente accetti acriticamente questo linguaggio.

Anch’io in passato confessavo i miei ideali ambientalisti e di altro tipo (ma solo a me stesso, circa 40/50 anni fa): devo aspettarmi di vedere pubblicata una mia descrizione molto lontana da quella di allora?

Quanto agli “animi della contestazione”, le posso garantire che, alla luce di quanto e accaduto ed accade tuttora nel Vicino Oriente, essi non hanno davvero bisogno di essere accesi da qualcuno, perché divampano spontaneamente. Quali siano state le “risposte pretestuose” non ci è dato sapere e dobbiamo quindi attendere che siano pubblicati degli appositi parametri di fondatezza e verosimiglianza, probabilmente calpestando i piedi alla libertà di opinione, che già cammina molto incerta.

Forse a causa dell’età, non ricordo gli “ultimi disordini”.

A pensarci bene, però, mi pare di ricordare un corteo (per la verità poco ordinato, perché da quando è sospeso il servizio di leva i giovani non sono abituati ad un inquadramento militare) che si è fermato a salutare una degli indagati, in misura cautelare (semplifico, per maggiore chiarezza: agli arresti domiciliari). Credo anche di rammentare che l’idea sia stata mia, nata da quella cattiva educazione che spinge a salutare le altre persone. Per quanto riguarda la consuetudine mafiosa definita come “inchino”, il paragone e, a dir poco, inqualificabile e non si può fare a meno di notare che qui il testo virgolettato del GIP cede il posto a non meglio definiti “investigatori” (virgolette mie).

Infine, le confesso che non ho mai letto lo statuto dell’antagonismo (a scuola, quando ero giovane, i professori sovversivi ci facevano leggere lo Statuto Albertino e lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori), ma, avendo rinfrescato la memoria con una breve ricerca, le posso dire che la parola “solidarietà” e scritta nella Costituzione della Repubblica Italiana, nell’art. 2 (“La Repubblica… richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”) e nell’art. 119 (“Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, …”). Voglia gradire rispettosi saluti.

Sinceramente suo Andrea Curtetti

Mamme in piazza per la libertà di dissenso

Fonte
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