Salta al contenuto principale

Leader o capopopolo? Il caso Salerno e il ritorno del “Sindaco Sceriffo”

Inviato da enzo de simone il
sceriffo

Negli ultimi mesi a Salerno si torna a parlare di un possibile ritorno di Vincenzo De Luca come sindaco.
Una voce che, più che politica, sembra il sintomo di un tempo fermo, dove la città non riesce più a immaginare sé stessa se non attraverso chi ha già dominato la scena per decenni.
De Luca si è recentemente ripresentato sulla scena con il vecchio abito del “Sindaco Sceriffo”, evocando il tema di una presunta emergenza sicurezza. Una retorica che colpisce — e rassicura — la pancia della gente, spostando il discorso pubblico dai problemi reali ai riflessi emotivi di paura e rabbia.

De Luca incarna perfettamente il modello del capopopolo, non del leader.
Il capopopolo non costruisce visioni: raduna, accende, divide.
Si nutre del consenso istantaneo, della battuta ad effetto, dello slogan che semplifica i problemi fino a renderli irrisolvibili.
Parla come se fosse “uno del popolo”, ma agisce come un padrone: concentra il potere, occupa ogni spazio decisionale, trasforma l’amministrazione in un apparato di fedeltà personale.

E così Salerno è diventata una città senza voce collettiva, dove ogni ambito — dall’economia alle associazioni — sembra dipendere da un centro politico unico, impermeabile e autoreferenziale.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Il tessuto sociale e identitario si è sfaldato: il commercio locale è sempre più anonimo e scollegato dalla storia cittadina, sostituito da attività dozzinali o speculative; i prezzi degli immobili sono alle stelle, mentre la popolazione continua a diminuire.
Il turismo “da luminarie” e “da crociera” non porta conoscenza né sviluppo: trasforma Salerno in una vetrina stagionale senza contenuto, mentre le politiche culturali vere scompaiono.

L’assenza di spazi reali di partecipazione — pure previsti dallo Statuto comunale — ha ridotto i cittadini a spettatori e le associazioni a comparse di un copione già scritto.
In questo scenario, l’idea di un “ritorno del capo” non rappresenta una novità, ma la conferma di una stagnazione profonda.

Un leader, al contrario, non si impone: guida.
Non promette miracoli, ma propone visioni condivise, processi trasparenti e responsabilità diffusa.
Un leader ascolta, coinvolge, costruisce insieme.
E soprattutto lascia eredità civiche, non clientele.

Oggi Salerno ha bisogno di questo tipo di leadership: diffusa, aperta, civica.
Di persone e gruppi che non temano la complessità, ma la affrontino con competenza e coraggio, restituendo alla città il diritto di discutere seriamente del proprio futuro.

Uscire da questo schema penoso è possibile, ma richiede un cambio radicale di metodo e mentalità:

  1. Restituire voce ai cittadini, creando veri spazi di partecipazione, come assemblee civiche e consulte indipendenti, dove le decisioni siano discusse pubblicamente prima di essere prese.

  2. Sostenere un’informazione libera e critica, capace di analizzare, non solo di raccontare.

  3. Coltivare nuove competenze politiche e sociali, attraverso percorsi di formazione civica, laboratori di quartiere, esperienze di cittadinanza attiva.

  4. Rendere trasparente la gestione pubblica, con dati aperti e accessibili, che rendano i cittadini controllori del potere, non sudditi.

  5. Riscoprire una cultura del “noi”, dove l’identità salernitana non sia folklore o marketing turistico, ma responsabilità condivisa verso la città e chi la abita.

Il vero pericolo non è il ritorno di un uomo solo al comando, ma l’abitudine collettiva a pensare che senza di lui nulla possa esistere.
Quando una città smette di credere nella propria capacità di autogovernarsi, il capopopolo trova terreno fertile.
Per questo, la sfida non è soltanto politica: è culturale, civile, e riguarda tutti noi.
Salerno potrà rinascere solo se tornerà a essere una comunità di cittadini, non una folla di sudditi in attesa di un nuovo “sceriffo”.