L’assassinio di Charlie Kirk il 10 settembre ha innescato negli Stati Uniti una campagna di demonizzazione della sinistra di una scala mai vista negli ultimi decenni, culminata nella designazione di “Antifa” - una posizione politica, non un gruppo strutturato - come organizzazione terroristica. Con questo atto il presidente Donald Trump ha dato inizio a una “Terza Paura Rossa”.
Con “Paura Rossa” si intendono due specifici periodi della storia americana: nel primo (1919-1920) sindacalisti e attivisti socialisti, comunisti e anarchici (o presunti tali) furono arrestati ed espulsi per prevenire la minaccia dell’esportazione della rivoluzione russa negli Stati Uniti; nel secondo (1947-1954), anche detto “caccia alle streghe” o “maccartismo”, dal nome del senatore repubblicano Joseph McCarthy, commissioni d’inchiesta indagarono ossessivamente ed epurarono sospetti comunisti dalle istituzioni, dalle università e dall’industria culturale.
Pur essendo ormai trascorsi settant’anni dalla fine della Seconda Paura Rossa, la biografia di Trump ne è legata a doppio filo: il suo mentore, l’avvocato Roy Cohn, era stato il braccio destro di McCarthy.
I parametri della Terza Paura Rossa sembrano ispirarsi in parte alle prime due - a partire dalle restrizioni alla libertà di espressione e dai raid anti-immigrazione - e in parte ai dispositivi della guerra al terrorismo dell’amministrazione Bush. Con due differenze però sostanziali: oggi il nemico è fabbricato ad arte, ed è il Presidente in persona a guidare la repressione.
I dati parlano chiaro: dal 2001 l’estremismo di sinistra ha causato circa il 5% delle vittime di violenza politica, contro il 75-80% dell’estremismo di destra. Nell’immaginario MAGA, tuttavia, un esercito di sovversivi antifascisti cospirano per devastare le città, uccidere i leader della destra e abbattere con la forza i valori americani. Lo stesso Dipartimento di Giustizia ha di recente rimosso dal proprio sito uno studio sul terrorismo interno che confermava questi dati.
Date le premesse, è quasi inutile sottolineare quanto la stessa classificazione di “Antifa” come organizzazione terroristica sia assurda.
Innanzitutto, Antifa non è un’organizzazione con leader, sedi, membri e canali ufficiali di finanziamento, ma è l’abbreviazione di “antifascismo” e rappresenta quindi un’ideologia, al più un movimento o uno stile di militanza attiva che - spiega il giornalista Christopher Mathias - si riconosce in alcuni principi: “che i gruppi fascisti debbano talvolta essere fisicamente affrontati nelle strade, che ai fascisti non debba essere permesso di organizzarsi su nessuna piattaforma e che non si possa fare affidamento sulle forze dell’ordine nella lotta al fascismo”. In ogni caso, nessun esperto di estremismo ha mai identificato Antifa con un’organizzazione definita, nemmeno il precedente direttore dell’FBI, Chris Wray.
In secondo luogo, non esiste negli Stati Uniti una legge che consenta la schedatura di organizzazioni nazionali come terroristiche, per quanto in passato ne sia stata sollecitata l’introduzione per sgominare gruppi neonazisti. In realtà, le agenzie hanno già ora in dotazione tutti gli strumenti necessari per perseguire il terrorismo interno senza pregiudicare la libertà di associazione e il diritto di parola. L’FBI, ad esempio, utilizza da tempo una simile categoria investigativa.
Benché l’ordine esecutivo di Trump si intesti un potere non previsto dalla legge, “ciò che conta” - sottolinea il think tank libertario Cato Institute - “è che l’amministrazione dichiari l’autorità di poterlo fare e che abbia migliaia di agenti delle forze dell’ordine federali pronti a eseguire gli ordini di Trump”. Nel corso di questi mesi, il presidente ha infatti già abusato dei suoi poteri, invocando una legge del 1878 per inviare la Guardia Nazionale, un corpo di riservisti sotto il comando dei governatori, a Los Angeles, Washington e Memphis con compiti di gestione dell’ordine pubblico. Dopo aver minacciato Chicago con un’azione bellica sulla falsariga di Apocalypse Now, Trump ha dispiegato le truppe a Portland, che ha descritto come “devastata dalla guerra” e assediata “da Antifa e altri terroristi interni”. Ha inoltre annunciato l’intenzione di usare le città americane come “campi d’addestramento” per l’esercito. “L’America” - ha detto ai generali riuniti a Quantico - “è invasa dall’interno”. Domenica è arrivata nel frattempo la decisione di un giudice federale che ha temporaneamente bloccato l’invio della Guardia Nazionale, perché non ci sarebbero prove a giustificarne l’intervento.
Questa retorica incendiaria riecheggia, peraltro, quella della campagna elettorale, quando Trump aveva insultato i suoi avversari politici come “parassiti” da “sradicare” e sostenuto che il paese fosse in guerra contro un nemico interno. Era, insomma, stato tutto già annunciato.
L’omicidio di Kirk e la sparatoria contro un centro di detenzione dell’ICE a Dallas, entrambi commessi da due giovani immersi più nelle sottoculture online che nella politica tradizionalmente intesa, sono stati il pretesto per accelerare la stretta autoritaria, attribuendo la radice della violenza ai “Democratici della sinistra radicale”, cioè agli oppositori. La conseguenza - prevede Steve Bannon, stratega di Trump nella prima amministrazione - è che, d’ora in poi, chiunque sembri minimizzare o istigare alla violenza - come avrebbero fatto, secondo la destra, i media e i politici di sinistra dopo l’assassinio di Kirk - sarà passibile di un’indagine federale.
In effetti, il decreto firmato da Trump prende di mira non solo “Antifa”, qualunque cosa significhi, ma anche chi vi si associa o vi agisce in coordinamento, il che riserva alle autorità un ampio potere discrezionale per identificare i presunti terroristi nazionali e la rete dei suoi sostenitori. La prima vittima, secondo le indiscrezioni raccolte dal New York Times, sarà la fondazione filantropica di George Soros - “un cattivo” che per Trump “dovrebbe essere messo in prigione” - e di suo figlio Alex, con accuse che variano dal riciclaggio di denaro al finanziamento del terrorismo.
Pochi giorni dopo, Trump ha pubblicato un memorandum - una direttiva con forza di legge, meno prestigiosa dell’ordine esecutivo, ma con il vantaggio di essere esonerata da una stima dell’impatto sul bilancio pubblico - dove entra più nel dettaglio del suo provvedimento. Qui il presidente accusa i movimenti riuniti sotto “l’ombrello dell’auto-descritto antifascismo” di tacciare di “fascismo” “i principi fondamentali americani” allo scopo di intimidire, radicalizzare e “condurre un assalto violento alle istituzioni democratiche”. Antiamericanismo, anticapitalismo, anticristianesimo, estremismo in materia di migrazione, razza e genere, e ostilità verso la concezione tradizionale di famiglia, religione e moralità sono elencati tra le spie di una possibile “condotta violenta”.
È difficile presagire come queste indicazioni, tanto più pericolose quanto più sono generiche, si tradurranno in efficacia legislativa, visti i limiti dell’azione presidenziale. Eppure, la crescente sottomissione a Trump sia del ministero della giustizia, per tradizione autonomo dal potere esecutivo, sia dell’FBI, guidata dal lealista Kash Patel, fa temere che queste linee guida saranno interpretate come priorità d’indagine dalle procure e dalle agenzie federali. L’obiettivo non è tanto ottenere condanne penali, quanto soffocare il dissenso per autocensura, paventando conseguenze terribili per i cittadini comuni.
I veri destinatari della misura “anti-terrorismo” saranno associazioni e organizzazioni no-profit, che subiranno un’emorragia di finanziamenti e donazioni, perché nessuno vorrà rischiare di essere catalogato come contributore di attività illecite. In questa strategia, osserva il giornalista Jeff Sharlet, il piano di Trump assomiglia alla legge sulle influenze straniere varata dalla Russia di Putin, che ha prima prosciugato le risorse estere delle ONG e poi le ha bandite in quanto indesiderabili.
In Europa l’offensiva trumpiana contro l’antifascismo ha subito dato alle destre il pretesto e la legittimazione per stroncare con altrettanta decisione il dissenso nelle piazze.
Il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha comunicato lo scorso 27 settembre l’inserimento dei gruppi “Antifa” nell’elenco delle organizzazioni terroristiche, una lista creata appositamente per imporre sanzioni pecuniarie o acquisire il diritto di espellere stranieri prima che commettano reati. Nel suo annuncio, Orbán ha fatto esplicito riferimento al caso dell’eurodeputata Ilaria Salis, l’attivista antifascista detenuta per oltre quindici mesi in un carcere di massima sicurezza con l’accusa di aver preso parte all’aggressione di militanti neonazisti.
Persino nel parlamento dei Paesi Bassi è stata approvata - con una maggioranza estesa al partito liberalconservatore - una mozione dell’estrema destra per chiedere al governo di designare “Antifa” come organizzazione terroristica, nonostante il parere contrario della stessa agenzia antiterrorismo. “Le cellule antifa” - si legge nel testo - «sono attive anche nel nostro Paese e minacciano i politici, interrompono le riunioni, intimidiscono studenti e giornalisti e non risparmiano l’uso della violenza”.
Per ironia della sorte, il giorno dopo il voto sulla mozione, il 20 settembre, una protesta contro l’immigrazione lanciata dall’estrema destra ha seminato il caos nelle vie dell’Aia, fino all’attacco squadristico contro la sede del partito di centro D66, che è stata presa a sassate. I disordini sono stati soprattutto provocati da hooligans, mobilitatisi in seguito all’appello per una contro-manifestazione diffuso da un falso profilo Facebook di “Antifa”, in realtà gestito dagli ambienti di estrema destra.
Il 23 settembre i partiti dell’eurogruppo dei Patrioti hanno dato una direzione comune a queste iniziative sparse, sottoscrivendo una mozione per dichiarare “Antifa” un’organizzazione terroristica attraverso una risoluzione del Parlamento Europeo. Il testo, che cita, a giustificazione della misura, l’assassinio di Charlie Kirk e presunte connessioni con George Soros, è completamente sdraiato sulla retorica MAGA. Già nel 2023, va ricordato, un gruppo di eurodeputati di estrema destra tedeschi, austriaci e francesi presentò una mozione per inserire il movimento Antifa nella lista di organizzazioni considerate terroristiche dall’Unione Europea.
In Italia alcuni esponenti della Lega, tra i partiti fondatori dei Patrioti, hanno colto la palla al balzo per organizzare un sit-in davanti alla stazione centrale di Milano, teatro degli scontri durante la manifestazione per Gaza del 22 settembre, e chiedere il bando di Antifa. Con i leghisti - tra cui i consiglieri regionali Alessandro Corbetta e Riccardo Pase, il capogruppo milanese Alessandro Verri e il coordinatore dei giovani lombardi Matteo Mauri - c’era anche Andrea Ballarati, portavoce italiano del Remigration summit, il convegno sulla remigrazione di Gallarate, cui ha partecipato un estremista di destra olandese arrestato ad agosto con l’accusa di preparare un attacco terroristico.
Per quanto pretendere di distinguere tra “Antifa” e antifascismo non sia solo impraticabile, ma persino in odore di anticostituzionalità, il gesto simbolico della Lega si colloca a pieno titolo nella strategia repressiva inaugurata dal governo Meloni con il decreto sicurezza, che irrigidisce le pene per i reati commessi durante le manifestazioni e introduce il reato di blocco stradale. In particolare, l’aspetto che apre gli scenari più inquietanti, riportando la memoria ai depistaggi di Stato degli anni di piombo, è l’attribuzione ai servizi segreti del potere di organizzare e dirigere organizzazioni terroristiche. D’altronde, già prima non mancavano segnali d’allarme, come la scoperta dell'infiltrazione in Potere al Popolo, un partito regolarmente candidato alle elezioni, di cinque agenti di polizia successivamente trasferiti alla direzione antiterrorismo.
Insomma, le destre europee non aspettavano altro: l’invenzione di un nemico immaginario negli Stati Uniti offre la copertura politica della prima potenza mondiale per colpire insieme dissenso e antifascismo. E se l’America imbocca la strada dell’autocrazia, in Europa c’è chi sta guardando a cosa prenderne ad esempio.
(Immagine in anteprima: frame via YouTube)