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Contro l’università o contro il dissenso? Guerra di Trump alle università e ricadute nel mondo occidentale

La battaglia ingaggiata da Trump contro le università americane nella campagna elettorale delle ultime elezioni sta continuando. L’Agenda 47, il piano autoritario stilato dalla destra americana per il governo degli Stati Uniti ha individuato, tra le altre, l’istruzione universitaria come problematica per diversi punti. Infarcita di patriottismo, di avversione al “gender” e di discriminazioni, la proposta trumpiana ha previsto un intervento massiccio del governo federale nelle istituzioni universitarie, con l’obiettivo di standardizzare l’insegnamento verso “la difesa della tradizione americana e della civiltà occidentale”. Una volta al governo, l’applicazione pratica delle proposte di Trump ha trovato sfogo in particolare nella cosiddetta Ivy League, il gruppo delle otto più importanti università statunitensi, che controllano fondi di investimenti miliardari.

Nella primavera del 2024, i campus delle università in questione sono stati tra quelli occupati dagli studenti e dalle studentesse che chiedevano di disinvestire dagli accordi con Israele. La prima chiave trovata dal governo americano era quindi pronta: la carta dell’antisemitismo, utilizzata in tutto l’Occidente con la stessa facilità di un “uscite gratis di prigione” nel Monopoli, quando un gruppo di persone si organizza per criticare l’aggressione sionista che va avanti da 77 anni nel territorio palestinese.

Il dispiegamento della repressione sembrava potesse esaurirsi nel taglio dei finanziamenti federali alle università, che è arrivato negli scorsi mesi e che continua a riguardare decine di istituzioni, in un elenco che si allunga giorno dopo giorno. La reazione è stata duplice: c’è stato chi, con Harvard come capofila, ha fatto ricorso nelle sedi giudiziarie cercando di resistere agli attacchi del governo da un punto di vista legale; dall’altro lato, c’è stato chi ha accettato di rivedere le proprie politiche e la propria autonomia decisionale, cedendo le posizioni di comando di enti interni a fantocci del governo, come nel caso della Columbia University che si è arresa alla nomina di un nuovo vice rettore per la supervisione del dipartimento di studi mediorientali, sudasiatici e africani, all’interno del quale spicca il Center for Palestine Studies.

Ma, come prevedibile, il governo americano insoddisfatto ha allargato l’esercizio della propria autorità repressiva ben oltre le istituzioni accademiche, attaccando in prima persona coloro che studiano al loro interno, come Mahmoud Khalil, studente palestinese della Columbia arrestato a metà marzo, diventato un volto della protesta studentesca per la Palestina che continua a imperversare nei campus. Mercoledì 4 giugno Trump ha emanato due provvedimenti: il primo prevede il divieto di ingresso negli USA a cittadini di 12 paesi, dando un seguito politico al terrificante Muslim Ban che impediva l’ingresso a quelli di 7 paesi a maggioranza musulmana; il secondo, invece, riguarda strettamente la questione universitaria, ovvero il divieto di rilasciare nuovi visti, e la revoca di quelli già concessi, agli studenti stranieri di Harvard. Il provvedimento, per il momento sospeso da un giudice federale, ha scatenato un turbinio di risposte istituzionali, a partire dalla stessa università fino ad arrivare ai governi intenzionati a difendere i loro cittadini che vogliono studiare all’estero.

La querelle tra Trump e l’accademia americana è difficilmente inquadrabile nel sistema universitario italiano, che pure tenta di rincorrere quel modello neoliberista: le università americane sono istituti che ricevono finanziamenti milionari da governo e privati, vissute da studenti che possono arrivare ad indebitarsi per la vita, per pagare le folli rette necessarie alla riproduzione di campus organizzati come delle perfette macchine al servizio dell’autorità, all’interno dei quali si sviluppa un controllo da parte di corpi di polizia privati e, soprattutto, una società improntata all’eccellenza filtrata dal setaccio capitalista. Sebbene la forma degli istituti accademici ci possa apparire distante anni luce dalle istituzioni universitarie in Europa e in Italia, la questione merita una riflessione. Le università, lo sappiamo, sono storicamente luoghi di riproduzione e legittimazione del sistema dominante. Tuttavia, si sono rivelati anche spazi di conflitto dove studenti e studentesse si organizzano per sfidare le istituzioni universitarie prone al potere politico ed economico e costruire un sapere emancipatorio. L’attacco di Trump non è soltanto un attacco alle università bersaglio della guerra culturale che l’estrema destra sta portando avanti in tutto il mondo, ma è anche un attacco al dissenso, a chi decide di organizzarsi contro i propri governi e contro l’autorità a chi decide di non abbassare la testa mentre nei 360km2 della Striscia di Gaza si intensificano le bombe che cadono sui civili da 77 anni, ma soprattutto a chi mette in dubbio i valori dell’occidente e a chi prova a denunciarne gli orrori che da sempre questo ha commesso, come ad Auschwitz così in Palestina.

Fabio Agliastro

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