Il Web è nato con una promessa di libertà: un progetto per sua natura decentrato, dove ogni nodo della rete aveva pari dignità e dove la conoscenza doveva fluire senza barriere. Trent'anni dopo, guardandoci intorno, quella promessa sembra tradita.
Oggi viviamo in giganteschi feudi digitali. Microsoft, Google, Amazon, Meta: pochi grandi monopoli non solo detengono i nostri dati, ma costituiscono l'infrastruttura stessa su cui poggia l'economia moderna e, sempre più spesso, la pubblica amministrazione.
La domanda sorge spontanea, quasi brutale nella sua semplicità: perché? Perché Stati, Nazioni e grandi organizzazioni pubbliche — entità che avrebbero le risorse economiche, legali e strutturali per creare infrastrutture sovrane — continuano ad "affittare" servizi privati, imprigionandosi in strutture chiuse e controllate da terzi?
La risposta risiede in un mix letale di economia a breve termine e psicologia burocratica. Innanzitutto, c'è la questione del bilancio. Per un'amministrazione è molto più semplice giustificare una spesa operativa immediata (OpEx) per acquistare licenze pronte all'uso (come Office 365 o Google Workspace) piuttosto che imbarcarsi in investimenti di capitale (CapEx) faraonici per costruire data center e sviluppare software in casa.
È la via di minor resistenza: se c'è un'emergenza (pensiamo alla DAD durante il Covid), Google offre una soluzione in 24 ore. Costruire un'alternativa statale richiederebbe anni di appalti e collaudi. È una scelta tattica che risolve il problema oggi, ma crea un disastro strategico per il domani.
C'è poi un problema umano. Le Big Tech attraggono i migliori talenti ingegneristici con stipendi e sfide che il settore pubblico non può pareggiare. Le nazioni hanno i soldi, ma spesso non hanno le persone capaci di costruire sistemi complessi come quelli di Amazon AWS.
A questo si aggiunge la cultura dello "scaricabarile". Nel mondo IT esiste un vecchio detto: "Nessuno è mai stato licenziato per aver comprato IBM". Oggi vale per Microsoft o Google. Se un servizio statale autoprodotto fallisce, la colpa è del funzionario. Se cade il server di Amazon, è un "problema globale" e il funzionario non ha colpe. Affidarsi al privato è diventata un'assicurazione sulla responsabilità.
Il risultato di queste scelte è il Vendor Lock-in (la trappola del fornitore). Una volta che i documenti, le email e i processi di una nazione sono integrati in formati proprietari e piattaforme chiuse, uscirne diventa quasi impossibile.
Queste aziende accumulano così un potere di influenza ("Soft Power") spaventoso, capace di orientare le scelte politiche tramite lobby aggressive, imponendo i propri standard tecnici come regole di mercato e rendendo le istituzioni dipendenti dai loro capricci commerciali.
Esiste un'alternativa o siamo condannati a essere "inquilini" digitali a casa nostra? La tecnologia per liberarci esiste già e si fonda su due pilastri: Federazione e Libertà del Codice.
Se le Big Tech sono continenti recintati (Walled Gardens) dove per comunicare devi essere "dentro", il Fediverso è un arcipelago di isole collegate da ponti. Non esiste un computer centrale. Esistono migliaia di server gestiti da chiunque (università, associazioni, stati) che parlano una lingua comune (protocolli aperti come ActivityPub). È il modello dell'email applicato ai social e ai servizi: non devo avere Gmail per scrivere a chi ha Outlook. Nel Fediverso, i dati non sono ostaggio della piattaforma; se un server diventa tirannico, ci si sposta altrove portandosi dietro la propria identità.
Non basta decentralizzare; bisogna avere il controllo degli strumenti. Qui entra in gioco il Software Libero (Free Software). Per una Pubblica Amministrazione, usare software "scatola nera" (di cui non si può leggere il codice) è un rischio inaccettabile. Il Software Libero garantisce trasparenza: il codice è ispezionabile, verificabile e privo di "porte di servizio" (backdoor) per lo spionaggio. Inoltre, risponde a un principio etico fondamentale: "Public Money, Public Code". Se un software è sviluppato con i soldi delle tasse dei cittadini, quel codice deve essere un bene comune, disponibile a tutti, e non un asset privato di un'azienda fornitrice.
Continuare a usare risorse private centralizzate non è più una scelta tecnica neutra: è una rinuncia alla sovranità. Le nazioni hanno i mezzi per sviluppare infrastrutture basate su protocolli federati e software libero. Quello che è mancato finora è la visione politica per guardare oltre la comodità immediata. Non si tratta solo di informatica. Si tratta di decidere se nel futuro vogliamo essere cittadini sovrani o sudditi digitali. La chiave della cella è nelle nostre mani, dobbiamo solo decidere di girarla.