Quello che aspettavamo da tempo: oggi Pescara si è svegliata con migliaia di attivisti in corteo
Da mesi assistiamo a ciò che non possiamo più chiamare semplicemente conflitto: in Palestina è in corso un genocidio. Bambini, donne, civili innocenti continuano a morire sotto i bombardamenti, mentre intere città vengono rase al suolo e un popolo viene privato dei suoi diritti fondamentali, del futuro, della stessa possibilità di esistere. È una parola dura, ma è quella giusta: genocidio. E davanti a un genocidio non si può restare neutrali, non si può voltare lo sguardo, non si può ridurre tutto al linguaggio diplomatico di chi sceglie di tacere.
Proprio per questo, ieri ero a Firenze, ospite al Festival dell’Economia Civile all’Università, e non ho esitato a partecipare alla manifestazione che ha attraversato la città. Una piazza viva, piena, in cui tante e tanti hanno gridato la propria indignazione e il proprio bisogno di pace. Un grido che non è semplice testimonianza, ma che diventa chiamata alla responsabilità collettiva: è arrivato il momento di bloccare tutto, di dire basta alle armi, agli accordi commerciali con chi bombarda, alla complicità internazionale che rende possibile l’orrore.
Oggi, mentre affronto lo sciopero nazionale che ha paralizzato i trasporti, porto dentro di me lo stesso spirito. Sorrido anche se passo ore nelle stazioni, con treni soppressi e viaggi infiniti. Perché nel frattempo, in quelle stesse stazioni, ho avuto modo di parlare con persone che si lamentavano dei disagi. A loro ho detto quello che sento dentro: è meglio aspettare tre ore in più un treno, che contare milioni di bambini morti sotto le macerie. Questa riflessione, detta a voce alta, ha fermato alcuni sguardi e aperto qualche consapevolezza. Anche questo è fare politica: trasformare il quotidiano in occasione di confronto e di coscienza.
E infine oggi, nella mia città, ho visto quello che aspettavo da tempo: Pescara si è svegliata. Migliaia di attiviste e attivisti hanno sfilato in corteo per le strade, portando bandiere, cartelli, voci che chiedevano giustizia e pace. È stata una manifestazione straordinaria, che ha rotto il silenzio e l’indifferenza, e che ha mostrato che anche qui esiste una comunità pronta a mobilitarsi, a schierarsi, a non lasciare sola la Palestina. Io sono fiera di aver camminato in quel corteo, insieme a tante persone diverse, unite dalla stessa rabbia e dalla stessa speranza.
Oggi più che mai sento che la lotta non è lontana, non è di qualcun altro: ci riguarda tuttз. Fermare il genocidio in Palestina significa difendere i valori universali della pace, dei diritti umani, della dignità. Significa ricordarci che nessuno è libero finché qualcun altro è oppresso.
Per questo non basta un giorno, non basta una piazza. Abbiamo bisogno di costruire un fronte largo, determinato, che chieda con forza il cessate il fuoco, la fine dell’occupazione, la libertà per il popolo palestinese. Abbiamo bisogno di portare questa voce nei nostri territori, nei nostri circoli, nelle università, nei luoghi di lavoro.
Lo sciopero che vivo oggi, le manifestazioni di Firenze e Pescara, i viaggi infiniti e le ore di attesa: tutto questo non è sacrificio, ma parte di un percorso collettivo. Perché nonostante la fatica, resto convinta che lottare per la pace, per la giustizia, per la vita, sia il compito più alto che possiamo darci come cittadinз e come comunità politica.
Il genocidio in Palestina deve finire. E finirà soltanto se continueremo a scendere in piazza, a denunciare, a costruire solidarietà concreta. È questo il tempo di non arrendersi. È questo il tempo di trasformare la rabbia in azione e la speranza in lotta politica.
E io, oggi, mi sento parte di questa storia collettiva. Una storia che nasce dalle strade di Firenze e Pescara, ma che parla al mondo intero: non resteremo in silenzio, non resteremo complici. Continueremo a lottare, insieme, senza perdere la tenerezza.