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La centralità dell’opposizione alla guerra. Sciopero generale 20 giugno

Vale la pena di fare una premessa di natura generale. Gli scioperi, appunto, generali del sindacalismo di base, fatto salvo che sono diversi fra di loro per il numero di sindacati aderenti, per l’area che converge nel sostenerli, per il contesto in cui si danno, per le relazioni interne a questo mondo, hanno come primo ed evidente obiettivo il seguente: rendere visibile in primo luogo alle lavoratrici ed ai lavoratori che il sindacalismo di base organizza, oltre che ai settori sociali con i quali è in relazione, la proposta politico sindacale dello stesso sindacalismo di base.

È questo un punto di forza ma anche di debolezza di questo genere di scioperi.

Quelli aziendali, settoriali e categoriali infatti hanno obiettivi precisi e ben definiti; se ben condotti intercettano rivendicazioni che settori precisi di lavoratori e lavoratrici sentono fortemente; creano, nella misura in cui riescono, problemi e contraddizioni a controparti altrettanto precise e definite.

Gli scioperi generali per definizione hanno come controparte l’assieme del padronato pubblico e privato, il governo, il sistema dei partiti; hanno come interlocutori la massa del lavoro salariato e, nel contempo, i movimenti sociali di opposizione. In altri termini, realisticamente, si propongono non tanto di realizzare degli obiettivi ma di stimolare una mobilitazione di medio lungo periodo e, in questa prospettiva, di coinvolgere e se possibile organizzare settori di lavoratori sin a quel momento esterni al sindacalismo di base.

Tutto ciò senza dimenticare: le complesse relazioni interne allo stesso campo del sindacalismo di base che, negli scorsi decenni, in luogo di caratterizzarsi per aggregazioni e ricomposizioni ha visto casomai il processo opposto; le altrettanto complesse relazioni con i settori di opposizione del sindacalismo istituzionale, con la sinistra, definiamola così, radicale, con i movimenti di opposizione sociale etc…

Ora è evidente che in questo periodo il principale terreno di mobilitazione è l’opposizione alla guerra in generale e, in particolare, a quanto sta avvenendo nella Striscia di Gaza.

Il massacro della popolazione palestinese colpisce infatti sul piano etico prima che politico la sensibilità di ampi settori giovanili per un verso e, per l’altro, dei lavoratori e lavoratrici immigrati dai paesi arabi e comunque islamici e certamente un’area vasta di persone sensibili a quest’ordine di vicende; con l’effetto che le manifestazioni di solidarietà alla popolazione gazawi si susseguono da mesi con una robusta partecipazione.

Venendo allo sciopero del 20 giugno 2025 è necessario, se si vuole avere un’idea precisa delle sue motivazioni e delle sue prospettive, partire dalla piattaforma di sciopero decisa da tre dei sindacati che, ad oggi, hanno deciso lo stesso sciopero, la Confederazione Unitaria di Base, il Sindacato Generale di Base e l’Unione Sindacale di Base.

Ai primi tre sindacati promotori si sono aggiunti nella forma dell’adesione allo sciopero alcuni soggetti sindacali locali e, soprattutto, il SI Cobas con una propria autonoma indizione, ma ritengo che la prima piattaforma di sciopero resti una buona base per una valutazione dello sciopero stesso o, meglio, delle intenzioni di chi lo ha promosso.

La piattaforma di CUB, SGB e USB è piuttosto ampia ed articolata ma si può però agevolmente dividere in due parti maggiori ed una, quantomeno per lunghezza, minore.

Il primo punto, quello che viene molto ripreso nella campagna di lancio dello sciopero, definisce un obiettivo politico centrale con molta chiarezza: “contro il genocidio in Palestina, la fornitura di armi ad Israele e l’assenza di un intervento concreto per dissociarsi dagli orribili crimini perpetrati dal Governo di Israele. Per la rottura delle relazioni diplomatiche e commerciali con Israele e comunque per interrompere la sistematica azione genocida nei confronti del popolo palestinese.”

Nei fatti lo sciopero si pone in relazione lineare con il movimento contro i crimini che vengono compiuti dalle truppe israeliane nella striscia di Gaza che si è sviluppato negli ultimi anni e con le molte manifestazioni che si sono date su questo tema.

Il secondo punto della piattaforma riprende la questione in termini più generali e lo si può considerare una semplice espansione del primo punto: “contro la guerra, l’economia di guerra e l’aumento delle spese militari, in aggiunta ai 40 MLD di euro già previsti per il triennio in corso.

Per la pace anche nel conflitto Russia-Ucraina e gli investimenti su Sanità, Scuola, Trasporti, Welfare il cui peggioramento approfondisce le disuguaglianze e la povertà esistenti.”

Col punto 6 – “contro la scelta autoritaria in materia di leggi repressive del dissenso e del conflitto sociale, a cominciare dal nuovo decreto sicurezza che introduce numerosi nuovi reati e l’aumento delle pene per impedire lo sviluppo della protesta sociale” – viene coerentemente ripreso il tema della connessione fra guerra esterna e guerra interna. D’altro canto, il cosiddetto Decreto Sicurezza è un importante tema di mobilitazione anche, ma non solo, per la cosiddetta sinistra radicale, visto che oggi persino quella parlamentare – sono i miracoli che provocano i governi di destra – si scopre ostile alle leggi liberticide.

È mia opinione che, a questo punto, è chiara la scommessa politica che fanno i sindacati che hanno indetto lo sciopero e quelli che si sono aggiunti: intrecciare la mobilitazione contro la guerra con quella su salario e welfare, una scommessa non facile da vincere e che richiederà una grande capacità di agitazione, comunicazione, iniziativa.

Un secondo blocco di rivendicazioni è più tipicamente “sindacale”; nello stesso tempo, è, come il primo blocco, espressione della tradizionale cultura politica che, con i suoi pregi e i suoi difetti, caratterizza il sindacalismo di base. Questo blocco si articola in quattro punti.

Il primo riguarda specificamente la questione salariale, assumendo come controparte sia il padronato che il governo: “contro lo sfruttamento sul lavoro, la precarietà ed il contenimento delle retribuzioni sia in sede di rinnovo dei contratti del settore pubblico sia del settore privato, ad opera di organizzazioni sindacali che sottoscrivono intese impopolari e spesso senza sottoporle all’approvazione dei lavoratori. Per forti aumenti dei salari e delle pensioni, comprese le minime a 1000 euro al mese e il superamento del sistema contributivo, così da permettere di recuperare il potere di acquisto eroso dall’inflazione. Per l’approvazione di una misura di salario minimo non inferiore a 12 euro l’ora e per la reintroduzione di un meccanismo di adeguamento delle retribuzioni all’andamento del costo della vita”.

Il secondo punto riguarda sia la questione abitativa che gli ammortizzatori sociali: “contro l’assenza di politiche sociali a cominciare dall’emergenza abitativa e la mancanza di piani di sviluppo dell’edilizia popolare, per una seria riforma degli ammortizzatori sociali.”

Il terzo punto “contro l’assenza di politiche industriali capaci di affrontare le transizioni in corso e di superare la fase di forte conflittualità, innescando un processo di ulteriore deindustrializzazione e sfruttamento delle classi popolari e dei lavoratori”, per la verità non espresso in maniera chiarissima, sembra richiedere risorse a sostegno dei lavoratori in occasione di crisi industriali.

Il quarto punto “contro le morti sul lavoro per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro” riprende una questione di straordinaria rilevanza.

In sintesi questi quattro punti ripropongono la tradizionale piattaforma del sindacalismo di base.

Infine vi è un punto – “contro la legge “Sbarra” con cui il Governo, approvando frettolosamente quanto proposto dalla Cisl, tenta di scaricare sui lavoratori il rischio di impresa con gravi conseguenze su salari e condizioni di lavoro”- che tocca una questione sicuramente importante e interessante, visto che è una riforma fortemente voluta dalla CISL e fatta propria dal governo che va in senso corporativo, ma che è poco nota alle lavoratrici e ai lavoratori, non tale da suscitare l’interesse che pure meriterebbe.

Come si può facilmente comprendere, lo sciopero del 20 giugno vede impegnata la maggior parte, ma purtroppo non la totalità del sindacalismo di base su una piattaforma che ha una coerenza programmatica. Saranno i fatti che dimostreranno se in una situazione difficile come l’attuale, per quel che riguarda la capacità di iniziativa della nostra classe, si riuscirà a dare un segnale di inversione di rotta su temi così rilevanti.

Cosimo Scarinzi

Immagine di Clifford Harper

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