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Intorno a turismo, overtourism e gentrificazione sulla riviera romagnola

Pensiamo che potrebbe essere fuorviante cercare di capire cosa è successo e cosa sta succedendo in questa terra, la riviera romagnola, riguardo all’industria turistica senza introdurre qualche strumento di analisi in più oltre a quelli di gentrificazione e overtourism; ci riferiamo a cementificazione e involuzione dei rapporti di lavoro, fra loro strettamente connessi.

L’industria dell’accoglienza turistica, variamente articolata e parcellizzata nella sua offerta di servizi di ogni genere, ha da sempre prodotto una grande quantità di denaro in nero, estraneo ai controlli del fisco, che fino a non molti anni fa defluiva nelle banche compiacenti di piccole repubbliche vicine e non di rado finanziava speculazione edilizia, il che significa cementificazione del territorio. Il cosiddetto investimento nel “mattone” ha nel tempo preso a generare rendimenti sempre superiori rispetto a quelli che si potevano realizzare investendo nelle imprese di accoglienza turistiche e loro indotto, un rendimento che si rivaluta fortemente nel tempo.

Ciò ha condotto ad un progressivo disinvestimento nelle attività turistiche che sono spesso rimaste ad un livello qualitativo fermo agli anni ’90, se non a quelli precedenti.

Il disinvestimento ha riguardato, e molto, anche il trattamento salariale della manodopera e la cura dei rapporti di lavoro.

Il modello paternalistico, tipico della realtà produttiva dell’Emilia Romagna dal secondo dopoguerra, aveva caratterizzato i rapporti fra imprese turistiche e lavoratori stagionali, garantendo stipendi appena dignitosi e piccoli aumenti annuali che permettevano la sopravvivenza di tanti e tante nei mesi invernali in cambio di pace sindacale e sociale. Diritti ridotti all’osso, niente giorno libero, retribuzione spesso regolarizzata per metà dell’orario e qualche volta affatto regolarizzata, “ma se hai bisogno ti puoi prendere un permesso, non troppo spesso però, e se non dai problemi a fine stagione ti aspetta un premio fuori busta, ovviamente in nero. Ma qui sei in famiglia, c’è il cocomero a ferragosto, la pizzata a settembre”.

Questo modello, già molto criticabile, ha retto per decenni. Non produceva alcuno sviluppo o crescita professionale, i salari – malgrado il fuori busta – non erano comunque adeguati alla crescita dell’inflazione; ad eccezione di una esigua élite di professionisti impiegati nelle strutture alberghiere e ristoranti di alto livello, collocava perlopiù studenti che dovevano pagarsi gli studi e casalinghe che per tre o quattro mesi rinunciavano a vivere, sacrificandosi per integrare il bilancio familiare. Le conseguenze e i sacrifici non riguardavano solo i lavoratori stagionali, ma anche le loro famiglie; chi non era arruolato nelle varie articolazioni della industria turistica, in particolare i bambini, veniva parcheggiato per la stagione turistica da nonni e parenti in campagna, in attesa dell’autunno e del ritorno ad una vita affettiva normale.

Ma assodato che investire in edilizia e appartamenti era più conveniente, dagli anni 90 sempre più risorse vi sono state destinate dagli imprenditori, sottraendole a ristrutturazioni e ammodernamento delle strutture. Abbandonata ogni velleità di offrire un buon standard qualitativo, il sistema produttivo turistico è passato allo smantellamento dei salari e di quei miseri diritti dei lavoratori stagionali, fino ad allora garantiti da un patto sociale mai scritto e quindi facilmente disconoscibile.

Al generale decadimento della gran parte delle strutture turistiche si è accompagnato il decadimento dei rapporti di lavoro con gli stagionali, progressivamente rimpiazzati da lavoratori e lavoratrici dell’est Europa e migranti in genere, disposti a lavorare per salari risibili ed estremamente ricattabili.

La frittata era ed è così servita: offerta turistica di servizi e strutture dequalificata, ristrutturazioni ridotte a rattoppamenti al minimo necessario e fiorire della speculazione edilizia.

Lo status dell’imprenditore di successo prevede almeno un appartamento per ogni figlio, che non ci abiterà mai perché si è trasferito negli USA o in Gran Bretagna a studiare o lavorare, ma intanto si ritrova un appartamento intestato come residente, così si evita di pagare tasse per la seconda o terza casa. Se serve, si possono arruolare anche nonni e suoceri, così il numero eventuale di appartamenti può aumentare. Questo delirio edilizio produce anche altri effetti, oltre alla predazione del territorio. I progetti di ristrutturazione edilizia non turistica, ad esempio, spesso ottengono anche aumenti di cubatura, e là dove vivevano due famiglie ne andranno poi ad abitare sei o più, con quel che ne consegue in termini di congestione del traffico e mancanza di parcheggi in particolare in città come Rimini, città di fondazione romana e non pensata certo per le automobili, dove ogni metro della zona mare è stato occupato per costruire.

Le amministrazioni pubbliche che si sono succedute si sono ben guardate dal mettere in discussione questa involuzione speculativa, facendosi carico di tentativi di ammodernamento di infrastrutture laddove il privato rinnegava questa funzione (da queste parti si dice mettere la cravatta al maiale).

Questi tentativi sono però pagati dalla collettività, e occorre sottolineare che non poca parte degli imprenditori del turismo dichiarano redditi al di sotto della soglia di povertà, contribuendo quindi ben poco al bene comune. Questi investimenti delle amministrazioni locali vanno poi a sottrarre risorse alla edilizia popolare e ai servizi di welfare, in una città dove trovare un tetto per chi ha poche risorse è impossibile.

Esistono certamente anche imprese che investono nelle loro strutture e applicano i contratti di lavoro, ma il loro numero non costituisce certo una rilevanza tale da determinare sistema.

La tendenza dominante continua a ridursi ad un generale decadimento fatto di improvvisate imprese di predazione turistica e una sempre maggiore quota di di appartamenti destinati ad affitti brevi, mentre altri rimangono vuoti, destinati ad investimento dormiente, con l’effetto di gonfiare il mercato immobiliare giunto ormai a quotazioni tali al metro quadro da essere inaccessibile ai più.

Per quel che riguarda i lavoratori, l’antico patto che aveva caratterizzato i rapporti con gli imprenditori turistici è ora definitivamente stracciato da questi ultimi, spesso avventurieri provenienti da ogni dove che del suddetto nemmeno hanno mai sentito parlare. Coloro che non sottostanno alle condizioni di sfruttamento possono accomodarsi all’uscita, altri prenderanno il loro posto, e non troveranno neanche un sottoscala in locazione perché ogni metro quadro è affittato a canoni stellari.

Niente di nuovo? Niente di nuovo.

Una volta di più, è tutto loro quello che luccica.

Circolo Culturale Libertario di Rimini

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