Una scena che resterà impressa. Nella giornata di domenica si sono svolti i colloqui per scongiurare i dazi al 30 per cento minacciati da Trump sulle merci europee a partire dal primo agosto. La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e il suo team si sono recati presso il Turnberry Golf Club, di proprietà dello stesso Trump. Dopo un’ora dall’incontro tra le due delegazioni, von der Leyen e Trump si sono presentati davanti ai giornalisti, annunciando di aver trovato un’intesa. Nel corso della conferenza stampa, il Presidente degli Stati Uniti ha parlato a lungo, rispondendo a domande che esulano dal tema specifico. Al contrario, la Presidente della Commissione Europea è apparsa remissiva e accondiscendente: von der Leyen ha ribadito che si tratta di un accordo che porta stabilità e che si tratta del massimo che si poteva ottenere.
Questa scena rappresenta in maniera plastica l’atteggiamento dell’Europa nei confronti degli Stati Uniti. Davanti a una politica protezionista aggressiva dell’amministrazione Trump, il vecchio continente è sembrato accettare passivamente il corso degli eventi.
Di cosa parliamo in questo articolo:
Che cosa contiene l’accordo?
Nonostante alcuni dettagli e limature saranno finalizzati nelle prossime settimane, i principali contenuti dell’intesa sono stati resi pubblici dai leader durante la conferenza stampa.
Il punto più importante riguarda il livello dei dazi che verrà applicato alle merci prodotte in Europa ed esportate negli Stati Uniti: i due paesi si sono accordati intorno a un 15 per cento. Si tratta di un valore più elevato rispetto al 10 per cento che l’amministrazione Trump aveva imposto come livello minimo durante il Liberation Day, ma più basso rispetto al 30 per cento che aveva minacciato a luglio.
Se questo è il valore generale, l’accordo ammette tuttavia varie eccezioni. In primo luogo restano in essere i dazi imposti dall’amministrazione Trump su acciaio e alluminio, nonostante si sia accennato a una revisione. Questi avevano già portato a un aumento deciso del livello medio dei dazi tra Europa e Stati Uniti: a partire da giugno, infatti, l’amministrazione Trump ha innalzato il livello dal 25 al 50 per cento.
Al contempo, l’intesa tra Europa e Stati Uniti include varie esenzioni per settori ritenuti strategici. Tra questi, come si legge nelle dichiarazioni di von der Leyen, ci sono tutti gli aircraft e la loro componentistica, determinati prodotti chimici, determinati farmaci generici, apparecchiature a semiconduttori, determinati prodotti agricoli, risorse naturali e materie prime critiche.
Per quel che riguarda le tariffe europee nei confronti dei beni americani, non c’è traccia. Di fatto, mentre Trump innalza barriere al mercato statunitense, l’Europa lascia aperto il suo mercato alle imprese statunitensi.
Su certi dettagli c’è ancora però poca chiarezza. Jorge Liboreiro di Euronews ha confrontato i documenti diramati dalla Casa Bianca e dalla Commissione notando che vi sono varie incongruenze.
In primo luogo, secondo le fonti della Casa Bianca, l’Europa si è impegnata su più fronti: nei prossimi anni acquisterà 700 miliardi di dollari di beni energetici dagli Stati Uniti, a partire dal gas naturale liquefatto, investimenti per 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti, senza chiarire in cosa, e aumenterà il suo acquisto di armi e di equipaggiamento militare. Ma tutto ciò non è presente nel documento europeo.
Al contrario, nell’accordo europeo si parla di una revisione dei dazi su acciaio e alluminio, non presente nel documento della Casa Bianca. Anche sulla questione farmaceutica, secondo il documento Europeo, ci sarà un’ulteriore discussione mentre da Washington si legge che la questione è già decisa.
L’impatto dell’accordo
C’è un aspetto positivo nell’accordo raggiunto tra le due parti nella giornata di domenica, e si fa fatica a vederne altri. La strategia errante di Trump sulle politiche commerciali aveva gettato l’intero mondo nell’incertezza, vista la centralità degli Stati Uniti nel mercato globale. Gli accordi raggiunti con Giappone e Unione Europea, in linea di principio, vanno a ridurre l’incertezza e il caos che si sarebbe propagato.
Questo non intacca, in alcun modo, gli effetti negativi che il neo protezionismo di Trump avrà sia a livello domestico sia a livello internazionale. Sul fronte domestico, è probabile che si assista a un aumento del livello dei prezzi e quindi dell’inflazione. Nonostante i dazi siano pagati dalle aziende importatrici, queste possono scaricare l’aumento dei costi sui consumatori. I dati di questi ultimi mesi sembrano confermare questa tesi: l’inflazione negli Stati Uniti è leggermente aumentata a giugno, soprattutto nei settori colpiti dai dazi. Questo in un contesto di riduzione della domanda dovuto proprio all’incertezza.
Gli economisti, tuttavia, sottolineano come questo sia solo l’inizio: l’aumento dei costi dovuto ai dazi comincerà a farsi sentire in maniera sostanziale con il tempo. La strategia dichiarata di Trump è di innalzare barriere protezioniste per rinvigorire il settore manifatturiero negli Stati Uniti, cercando inoltre di indebolire la regolamentazione ritenuta dannosa per le esportazioni americane. L’evidenza empirica, basata su quanto fatto da Trump durante il primo mandato, ha sottolineato come la strategia del Presidente non ha portato i risultati sperati.
D’altronde, anche la giustificazione di Trump fa acqua da tutte le parti. Il Presidente ha più volte puntato il dito contro la bilancia commerciale con paesi come l’Europa per sottolineare la crisi del settore manifatturiero statunitense. Questa è solo metà della storia: se infatti si considera anche il settore dei servizi, il gap si chiude considerevolmente, arrivando in certi casi a un surplus per gli Stati Uniti.
I dazi, oltre a colpire l’economia americana, avranno però degli effetti anche sull’Europa e sul suo tessuto industriale. In particolare, a essere più colpiti saranno proprio Italia e Germania. Come riportato da Matteo Villa, senior research fellow dell’ISPI, l’impatto potrebbe essere un rallentamento dell’economia di Berlino e Roma dello 0,3 e dello 0,2 per cento, rispettivamente. A questo, sottolinea Villa, va aggiunto il deprezzamento del dollaro. Questo rende più costoso per le imprese esportare verso gli Stati Uniti.
Non c’è solo un aspetto di crescita economica dietro questo accordo. Un questione preoccupante riguarda la promessa di acquisto di beni energetici dagli USA, in particolare Gas Naturale Liquefatto (GNL). Come evidenziato da una ricerca del progetto Grins, e come abbiamo scritto su Valigia Blu, proprio la graduale interruzione dei flussi di Gas russo sarebbe stata un’opportunità per la transizione ecologica da parte dell’Europa. Con questo accordo, rischia di compromettere i propri target climatici e legarsi ancora di più a fonti di energia da abbandonare.
Sorgono dubbi anche sulle promesse fatte da Ursula von der Leyen a Trump per strappare un accordo. I 600 miliardi di investimenti che l’Europa ha promesso negli Stati Uniti non verranno solo da investimenti pubblici, ma anche da imprese private. Su queste, però, la Commissione Europea non ha il controllo e non è quindi garantito che avvengano.
Un’Europa frammentata che mostra tutti i suoi limiti
Quello che emerge dall’accordo con gli Stati Uniti è l’asimmetria: l’Europa si è prostrata a buona parte delle richieste di Trump senza chiedere quasi nulla in cambio. Lo ha evidenziato anche Olivier Blanchard, ex capo economista al Fondo Monetario Internazionale.
What I worried about has happened. A completely unequal “deal” between the US and the EU. Have no doubt: asymmetric 15% tariffs are a EU defeat.
— Olivier Blanchard (@ojblanchard1) July 27, 2025
When the law of the jungle prevails, the weak have little choice than to accept their fate. But Europe could potentially have been…
Emergono i limiti non solo dell’attuale Commissione Von Der Leyen, ma dell’Europa e degli Stati che la compongono. Invece di contrattaccare agli attacchi di Trump, la Commissione e vari paesi, su tutti Germania e Italia, hanno fin da subito puntato verso un approccio più votato alla negoziazione. L’imperativo era cercare un accordo con Trump e, solo qualora non si fosse trovato, approvare delle contromisure.
A precludere una risposta muscolare, infatti, ci sono stati gli interessi dei singoli paesi. Su tutti, sono stati Italia e Germania a mantenersi su una posizione da “colomba”, cercando il dialogo con Trump. Non a caso, si tratta di paesi tra i più esposti, poiché esportano di più verso gli Stati Uniti. Le dichiarazioni dopo l’accordo raggiunto da Trump e von der Leyen sono indicative di questa eterogeneità tra i paesi europei. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz si è detto soddisfatto di un accordo che mette fine all’instabilità ed evita una guerra commerciale che avrebbe danneggiato un’economia, come quella tedesca, votata all’export.
Più sfumata la posizione di Giorgia Meloni. Secondo la premier, la priorità era evitare uno scontro, quindi l’accordo si può considerare positivo. Tuttavia, ha aggiunto la premier da Addis Abeba, bisognerà studiare i dettagli.
In particolare, un aspetto cruciale sarà comprendere come verranno trattati i prodotti farmaceutici, su cui c’è ancora incertezza. Si tratta di un settore cruciale per il nostro paese: gli addetti sono 70 mila, mentre il fatturato nell’ultimo anno è stato di 56 miliardi. Buona parte di questi vengono esportati, con un ruolo importante giocato proprio dagli Stati Uniti. Già nei mesi precedenti Farmindustria aveva lanciato l’allarme, invitando il governo italiano e la Commissione a proteggere il settore.
Dall’altra parte, la Francia ha manifestato le sue perplessità in maniera decisa. In un tweet, il Primo Ministro francese Francois Bayrou ha definito la giornata di ieri un giorno buio. Secondo Bayrou, l’Europa ha deciso di mettere da parte i propri interessi e i propri valori per sottomettersi ai voleri di Trump. È eloquente, in questo contesto, il silenzio del Presidente della Repubblica Emmanuel Macron.
Accord Van der Leyen-Trump : c'est un jour sombre que celui où une alliance de peuples libres, rassemblés pour affirmer leurs valeurs et défendre leurs intérêts, se résout à la soumission.
— François Bayrou (@bayrou) July 28, 2025
Anche altri membri del governo francese si sono espressi, affermando ad esempio che l'unica lingua che Trump comprende è quella della forza e che sarebbe stato necessario contrattaccare. Il premier spagnolo Pedro Sanchez ha invece detto di sostenere l'accordo, ma "senza alcun entusiasmo".
Alla prepotenza di Trump bisognava rispondere?
La domanda che sorge spontanea è se un atteggiamento muscolare, come quello indicato dalla Francia avrebbe portato a un risultato più soddisfacente.
Una possibile risposta proviene dall’impostazione della Cina, da sempre al centro della guerra commerciale di Trump: nel corso degli ultimi mesi abbiamo assistito a un’escalation in cui ogni volta che l’amministrazione statunitense aumentava i dazi, la Cina faceva lo stesso, oltre a varare altre misure volte a danneggiare il consenso del presidente. Con la strategia dei dazi il Presidente americano sperava di poter piegare la Cina, ma questo non è successo, vista la linea dura seguita da Pechino. Ciò ha portato a un accordo temporaneo con varie concessioni da parte di Trump. I due paesi si riuniranno nelle prossime settimane per chiudere un accordo definitivo.
Questa analogia rischia però di non tenere in considerazione la debolezza strutturale dell’Europa. Se la Cina ha dimostrato di essere una potenza economica in grado di competere con gli Stati Uniti, l’Europa è rimasta indietro su molti aspetti. Tra questi, il più importante riguarda quello legato alla tecnologia. Il nervo scoperto degli Stati Uniti sarebbe stato proprio attaccare le sue big tech. Questo è più semplice a dirsi che a farsi: l’Europa dipende dalle big tech americane in vari settori. Tra questi, vale la pena citare il Cloud Computing: il 72 per cento del mercato è detenuto da Microsoft, Google e Amazon, nonostante l’aumento di imprese europee nel settore. Ovviamente, l’Europa ha ben chiaro il problema generale e sta cercando una strategia per affrontarlo.
Tuttavia, gli strumenti per contrattaccare c’erano, a partire dal piano di controdazi che era stato approvato dai leader europei a maggioranza qualificata, pronto qualora non fosse stato raggiunto un accordo. Un’opzione ancora più estrema sarebbe stata l’Anti Coercion Instrument (ACI). Si tratta di uno strumento legislativo per difendersi dagli attacchi economici da parte di paesi terzi. Questo comprende tutta una serie di strumenti tra cui, oltre ai dazi, ci sarebbe l’impossibilità di partecipare a gare pubbliche in Europa e misure che incidono sul commercio dei servizi. Proprio questo strumento è stato evocato su Twitter dal Ministro agli Affari Europei francese Benjamin Haddad.
L’accord commercial négocié par la Commission Européenne avec les Etats-Unis apportera une stabilité temporaire aux acteurs économiques menacés par l’escalade douanière américaine, mais il est déséquilibré.
— Benjamin Haddad (@benjaminhaddad) July 28, 2025
Il a le mérite d’exempter de tarifs des secteurs clés pour l’économie…
Al contrario, l’Europa ha deciso di cedere pressoché su tutti i fronti con l’amministrazione Trump.
Questa strategia accondiscendente dell’Europa porta con sé un altro rischio. Abbiamo assistito a un approccio estremamente discordante e a tratti incomprensibile da parte di Trump. Il presidente degli Stati Uniti ha utilizzato questa strategia, come detto prima, per cercare accordi con vari paesi-finora non gli sta andando benissimo, visto che la promessa “90 accordi in 90 giorni” non si sta realizzando. Durante la conferenza si è parlato appunto di una rinnovata stabilità e di evitare il caos. Ma, proprio visto questo comportamento di Trump, nulla ci dice che la presidenza non avanzerà ulteriori richieste o minaccerà nuovi dazi o misure che ledono gli interessi dell’Europa. Un atteggiamento accondiscendente da parte dell’Europa, di fatto, espone ancora di più il continente a questa strategia. Al contrario un approccio muscolare avrebbe minato il successo di queste pretese.
Sul Financial Times il commentatore economico Martin Sandbu sottolinea proprio come gli accordi commerciali con l’amministrazione Trump siano tutto fuorché definitivi. L’illusione è che si possa tornare a uno status quo, con Europa e USA come partner. Una situazione di questo tipo non è affatto assicurata, semmai il contrario, con Trump alla Casa Bianca. Per questo motivo, come già avevamo sottolineato in primavera, l’Europa avrebbe dovuto sfruttare questa occasione di un cambiamento nelle relazioni tra i due paesi per poter esprimere il suo pieno potenziale puntando sul gigantesco mercato che rappresenta e sugli accordi commerciali con altri paesi.
L’ennesima opportunità persa
Quello a cui si è assistito è quindi un’Europa che ha avallato pressoché tutte le richieste di Trump. Un atteggiamento di questo tipo da parte della Commissione Europea è un sacrificio di un’idea più organica di Europa al fine di salvaguardare gli interessi economici di alcuni singoli stati, in primis la Germania. Proprio questa frattura rischia di far perdere credibilità all’Europa. Come spiega a Valigia Blu Mattia Guidi, professore di scienza politica all’Università di Siena:
C'è evidentemente una frattura in seno ai principali paesi europei. Da una parte c'è la Francia, che ha sempre cullato sogni di “autonomia strategica” europea: la presidenza Trump, con il suo isolazionismo economico e militare, era un'opportunità per spingere di più verso questa autonomia. Dall'altra parte ci sono due paesi come Germania e Italia, che per ragioni simili non vogliono saperne non dico di rescindere il cordone ombelicale con gli Stati Uniti, ma neanche di rendersi più autonomi. E questo vale sia dal punto di vista commerciale che militare. La Commissione von der Leyen ha sposato completamente la linea tedesca e italiana, sia sulla sicurezza, proponendo un piano di riarmo che aumenterà gli acquisti militari dagli USA, sia sul commercio, con una linea fortemente anti-cinese e accomodante oltre ogni previsione con Trump, che si è concretizzata nell'accordo del 27 luglio. Il risultato è un'Unione Europea priva di qualunque autonomia, che nel tentativo di salvaguardare il “legame storico” con gli Stati Uniti si rende del tutto passiva e priva di credibilità sulla scena internazionale.
L’accordo con Trump, quindi, rappresenta l’ennesima opportunità persa per provare a rilanciare un progetto europeo in grado di fare leva sul suo mercato interno, sulla domanda aggregata e su investimenti massicci in settori critici per un’autonomia strategica, invece che dipendere dalle esportazioni verso gli Stati Uniti e dall’importazione di gas, sia esso americano o russo.
Ma rappresenta anche la debolezza della Commissione von der Leyen che non ha un’idea chiara dell’Europa che vuole, ma si limita al tentativo di mantenere il potere cercando sponde anche verso la destra radicale. Senza una Commissione che sposi l’idea che l’Europa è più della somma dei singoli stati la strada è in salita.
(Immagine in anteprima via YouTube)