Le ombre di un ennesimo conflitto nel Vicino Oriente di cui abbiamo appena ricevuto le prime notizie meritano per ora soprattutto la preoccupazione, comune a molti, che si apra l’ennesimo fronte e che questo fronte si estenda. Seguiremo con molta attenzione quanto accade in Iran e soprattutto come reagirà la comunità internazionale a questa ennesima provocazione di Israele. Per adesso ne prendiamo però atto sapendo che i suoi effetti potrebbero essere devastanti.
Nel Risiko mondiale intanto, a subire lo scontro fra “filoamericani” e “antagonisti” sono sempre i civili. Ce lo raccontano i numeri. Quelli dell’UNHCR, ad esempio, l’Agenzia dell’Onu che si occupa di profughi e rifugiati. Dicono, gli ultimi dati, che nel Mondo ci sono 123,2 milioni di persone costrette ad abbandonare la propria casa a causa di una guerra o di una catastrofe naturale. Significa che una persona ogni 67 sul Pianeta è profuga. Un numero spaventoso, che conferma la tendenza all’aumento degli ultimi anni: siamo al 6%in più rispetto all’inizio del 2024.
È l’orrore della guerra, con strategie sempre più mirate a colpire i civili, con l’obiettivo di terrorizzarli per ottenere una resa, una vittoria. Lo raccontano gli ormai più di 55mila civili morti per mano israeliana nella Striscia di Gaza. Sono stati uccisi dal 7 ottobre 2023, giorno in cui furono uccisi 1.200 circa altri civili, questa volta israeliani. Gente senz’armi, che muore perché trasformata in bersaglio utile alla strategia politica dei leader. Come i 120 palestinesi uccisi in sole 24 ore, fra il 10 e l’11 giugno 2025, dalle Forze Armate Israeliane, che proseguono nella missione di annientamento del popolo palestinese voluta dal governo Netanyahu. Annientamento che prosegue nei modi più crudeli. Ad esempio, fingendo di dare aiuti alimentari.
Lo denuncia il Ministero della Salute di Gaza. Da mercoledì 11 giugno, 57 persone che cercavano di accedere agli aiuti sono state uccise dai soldati israeliani. I feriti sarebbero 363. Tutto è accaduto in zone controllate dall’esercito di Tel Aviv, nei punti di distribuzione gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation (GHF), l’organizzazione sostenuta da Stati Uniti e Israele. I centri di soccorso sono isolati, allestiti a Rafah e nel corridoio di Netzarim. Dal 27 maggio – giorno di inizio delle attività – ad oggi, 220 persone sarebbero state uccise mentre cercavano di procurarsi i pacchi alimentari. Non a caso, gli operatori internazionali li hanno definiti “macelli umani”. È arrivata la condanna delle Nazioni Unite, che hanno ribadito il rifiuto a fornire aiuti tramite quelli che ritengono “appaltatori privati con il sostegno militare israeliano”. Anche gli standard dei pacchi alimentari vengono considerati inadeguati. Contengono solo 1.750 calorie a persona, molto meno di quelle previste dalle organizzazioni sanitarie internazionali in aree di crisi. Lo ha spiegato Chris Newton, analista senior dell’International Crisis Group. Sostiene anche che il sistema di aiuti israeliano, caotico e tormentato dalla violenza, è deliberatamente strutturato per mantenere i palestinesi nella disperazione e nella fame, spingendoli al contempo verso sud.
Più lontano, in Ucraina, seppellite pare definitivamente le bizzarre manovre diplomatiche targate Usa, la guerra con la Russia prosegue. Sono passati 1.205 giorni dall’invasione delle truppe di Mosca. Il presidente russo Putin continua con le minacce al Mondo. Parlando alla televisione ha chiarito che il 95% delle armi delle forze nucleari strategiche russe è completamente aggiornato. Mentre lo diceva, bombardieri a lungo raggio Tu-22M3 volavano sopra il Mar Baltico. Un altro messaggio, per dire al Mondo che l’incredibile raid Ucraino che, nei primi giorni di giugno 2025, aveva colpito le basi aeree russe in Siberia, non ha lasciato il segno.
Intanto, la gente continua a morire, con o senza divisa addosso. Un attacco notturno di droni alla seconda città più grande dell’Ucraina, Kharkiv, ha ucciso sei persone e ne ha ferite 64, tra cui nove bambini. L’esercito ucraino ha risposto colpendo un importante stabilimento russo di polvere da sparo nella regione occidentale di Tambov. Lungo la linea del fronte, la fanteria meccanizzata russa ha raggiunto il confine occidentale della regione ucraina di Donetsk. Appoggiata da una divisione di carri armati, sta proseguendo l’offensiva contro la vicina regione di Dnipropetrovsk.
Il grande Risiko, però, si gioca anche su altri fronti. In Africa, si combatte sempre e quasi ovunque. Le novità vengono dal confine fra Libia e Sudan, Paese alle prese anche con una gravissima crisi umanitaria. Per la prima volta dall’inizio del conflitto, nell’aprile 2023, l’esercito sudanese ha accusato le forze libiche del generale Khalifa Haftar di aver attaccato delle postazioni militari in territorio sudanese. È accaduto lungo la frontiera tra Sudan, Libia ed Egitto, nel Darfur Settentrionale. Più esplicito è stato il ministero degli Esteri sudanese, che ha definito l’attacco una “pericolosa escalation” e una seria minaccia alla sicurezza regionale. Il confine è considerato da tempo un corridoio vitale nel traffico di armi e mercenari a supporto delle milizie che in Sudan operano contro il governo. Secondo molti osservatori internazionali, sarebbero finanziate dagli Emirati Arabi Uniti e coordinate dalle forze di Haftar e dai gruppi terroristici affiliati.
Sempre in Africa, la crisi della Repubblica Democratica del Congo mette in difficoltà la missione dei Caschi Blu dell’Onu. L’Uruguay ha, infatti, chiesto l’immediato ritorno a casa dei 550 suoi soldati, impegnati nella missione. “Se le Nazioni Unite non si occupano di riportarli – ha dichiarato la ministra degli esteri Sandra Lazo – noi dovremo prendere misure e riportarli comunque”. Coinvolti negli scontri con il gruppo M23, i soldati uruguayani hanno già avuto un morto dopo un attacco dei ribelli. Un altro soldato ha avuto un arresto cardiaco e almeno 20 sono già rientrati in Uruguay a proprie spese. Quindi giorni fa, i familiari dei soldati hanno consegnato una lettera al presidente Yamandú Orsi, raccontando la sensazione di “abbandono” che provano, sentendosi “ignorati” dalle autorità.
Altrove, si pensa al riarmo. In Pakistan, ad esempio, dove il governo, dopo la crisi militare con l’India di aprile/maggio di quest’anno, ha deciso di aumentare la spesa per la difesa di oltre il 20%. È l’aumento più consistente da dieci anni a questa parte.