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L’intelligenza artificiale e il genocidio in Palestina

L’espressione “capitalismo della sorveglianza” ha ormai travalicato gli ambiti specialistici divenendo parte del linguaggio comune, a significare le nuove forme del dominio e dello sfruttamento globale nell’era dell’informatica. Un soft power che, con occhi e orecchie invisibili e silenziose, spia il vissuto di ognuno di noi: bisogni, desideri, aspirazioni, intenzioni e quant’altro ancora; l’intera nostra vita che viene osservata e poi processata da appositi algoritmi per essere trasformata in big data capaci di estrarre e centralizzare saperi e ricchezze per riprodurre gli assetti gerarchici dell’attuale ordine sociale. Un processo in continuo divenire che può oggi sempre più avvalersi dei costanti progressi dell’intelligenza artificiale.

Non torneremmo su un argomento così noto e tanto studiato se i sistemi di sorveglianza di massa, ma anche di controllo e di tracciamento individualizzato, non stessero subendo oggi, con le nuove frontiere dischiuse dall’intelligenza artificiale, un processo di crescita e di trasformazione legato al loro impiego militare. Significativo in modo particolare  l’uso delle nuove tecnologie da parte di Israele nel suo tentativo di rendere più rapido ed efficiente il  genocidio in atto a danno dei palestinesi.

Ne ha parlato di recente il New York Times sottolineando gli straordinari (e orrendi) livelli raggiunti dai macellai sionisti: droni capaci di individuare, seguire autonomamente, e al momento opportuno colpire un sospettato; software di riconoscimento facciale operanti nei checkpoint; sistemi di spionaggio atti a tradurre ed analizzare conversazioni in arabo, anche nelle sue versioni più dialettali.

A  presiedere e coordinare questo tipo di interventi è preposta “l’unità 8200” dell’esercito israeliano, che sta diventando oggi il vero centro operativo dell’intero sforzo bellico contro i palestinesi. 

Da notare che l’opportunità di potere utilizzare i livelli più avanzati di Intelligenza Artificiale è resa possibile dal fatto che in stretto contatto operativo con l’unità 8200 vi è un significativo numero di riservisti dell’esercito sionista che lavorano attualmente per Google, Microsoft e Meta. Alla richiesta di chiarimenti, le tre grandi aziende del tech, a loro volta direttamente chiamate in causa, hanno fatto orecchie da mercante. Google ha detto che non può controllare i propri dipendenti, le altre due hanno preferito ignorare del tutto la cosa non dando alcun tipo di spiegazione. 

       Riguardo alle informazioni sul reale funzionamento dei sistemi di intelligenza artificiale finalizzati alla gestione delle operazioni belliche, molto dobbiamo alla eroica attività dei giornalisti israeliani ed antisionisti della agenzia +972 Magazine

È innanzitutto dal loro lavoro d’inchiesta che sappiamo dei vari sistemi operativi.  “Gospel” è il nome del software incaricato di indicare edifici e strutture specifiche da colpire. Più importante e significativo è “Lavender”, il cui compito è quello di redigere la lista dei palestinesi sospettati di essere parte della resistenza. Lavender ha svolto in pieno il proprio lavoro indicando 37.000 nomi. Vi è naturalmente un margine di errore che è stato calcolato intorno al 10%, ma di cui, tra i politici e i militari israeliani, nessuno si cura.

Una volta stabilito, (direttamente dalla macchina e non dall’uomo), chi deve morire, entra in funzione il sistema che con agghiacciante cinismo viene definito “Where’s Daddy?”, letteralmente “Dov’è Papà?”, che deve segnalare quando il sospettato si trova nella propria abitazione per potere essere colpito, perché pare che così sia più semplice da eliminare, piuttosto che intercettandolo in altro luogo. Che poi in questo modo si stermini l’intera famiglia conta poco. Anzi un operatore, intervistato sul funzionamento del sistema, ha spiegato con chiara esemplificazione: “Noi sappiamo chi è in casa. Se c’è una bambina di tre anni e si procede, vuol dire che può essere sacrificata”.

Peccato che a volte, a quanto risulta, ci si scorda di guardare in tempo reale i dati forniti dal software per cui si finisce col massacrare l’intera famiglia quando il sospetto non è in casa. Poco male, comunque, visto che uno degli obiettivi del terrorismo genocidario dei sionisti è quello di “creare uno shock” (come esplicitamente è stato detto) nella popolazione civile per indebolirne la resistenza. 

Potremmo riportare ancora altri dati ed altri esempi, ma a questo punto quanto sta avvenendo dovrebbe essere chiaro a tutti. 

Due considerazioni finali. La prima riguarda il fatto che sulle intenzioni di Israele di volere cancellare per sempre la presenza palestinese, nessuno, che non sia in malafede, può avere ormai il minimo dubbio.

La seconda è di natura più generale e necessita di ulteriori e future riflessioni. Diciamo provvisoriamente che le vicende che riguardano la Palestina ci mettono di fronte al fatto che forse il modo di concepire la guerra sta cambiando per sempre. È probabile che, come sta già avvenendo, in futuro le operazioni degli eserciti sul campo finiscano col contare sempre meno a vantaggio di una azione a distanza programmata da computer sempre più “intelligenti”, e il cui scopo primario sarà quello di produrre atti di puro terrorismo contro la popolazione civile. 

Più progredisce la tecnologia e più la guerra si fa esperienza totale e senza alternativa rispetto alla completa catastrofe a danno dei più deboli. Solo una rivolta etica di pacifismo integrale che si produca in modo trasversale tra tutti i popoli e a tutte le latitudini potrà salvarci. (Discorso lungo e da approfondire).     

 

   

Antonio Minaldi

15 ore 57 minuti ago