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A Venezia si celebra il potere e si reprime la disobbedienza

Il 27 giugno Jeff Bezos si è sposato a Venezia. La città è stata blindata. Il potere ha messo in scena se stesso: yacht, hotel esclusivi e piazze recintate. Tutto conforme al copione.

Quello che è successo fuori copione, invece, è che mia figlia è stata multata e denunciata per aver esposto un cartello in Piazza San Marco per 20 minuti. Trascinata via di peso dalle forze dell’ordine e rimasta in questura otto ore. Come lei, altri attivisti e attiviste di Extinction Rebellion e No Space for Bezos, repressi per aver fatto l’unica cosa che oggi ha senso fare: chiedere conto.

Credits foto: Nicola Zolin

Non era una protesta contro un matrimonio, come in molti hanno cercato di farla passare. “Povero Bezos” anche no. 

Era una manifestazione contro un modello. Contro un sistema che fa della dissonanza la propria cifra culturale.

Credits foto: Nicola Zolin

Ho lavorato per 17 anni con Amazon. L’ho studiata e, diciamolo, amata dal 1995, quando era poco più che una startup. Poi sono diventata responsabile di un team esterno che, in Mirandola Comunicazione, ha seguito la sua comunicazione: ufficiosamente dal 2003 al 2008, ufficialmente dal 2009 al 2021.

So esattamente da dove viene quella narrazione. So cosa significa far parte di un’impalcatura perfetta che ti insegna a credere che stai migliorando il mondo,  mentre in realtà lo stai solo depauperando sempre più in fretta.

Nel 2021 ho scritto una lettera a Jeff Bezos, che oggi è confluita nel mio primo libro, Lettera a Jeff Bezos, appunto. Una vera lettera, che ho pubblicato anche su Medium. Perché non riuscivo più a conciliare i princìpi su cui l’azienda diceva di fondarsi con le sue azioni quotidiane.

“Frugalità. Ottenere di più con meno. Risorse limitate alimentano intraprendenza, autosufficienza e creatività.”

“Successo e rilevanza comportano grandi responsabilità.”

Questi sono solo due dei 16 principi di leadership scritti da Bezos. Oggi sono slogan svuotati, in una sceneggiatura che parla di “democratizzazione del consumo” ma produce effetti devastanti sul pianeta.

I numeri sono pubblici. Ma fanno meno notizia del matrimonio.

Nel 2019 Amazon lanciò il suo Climate Pledge, promettendo zero emissioni nette entro il 2040. Un annuncio mondiale, rilanciato ovunque, anche dalla mia agenzia. Qui il comunicato stampa.

Ma nel 2024 Wired ha pubblicato un’inchiesta a firma di Molly Taft che svela il disastro:

  • Emissioni da consegne negli USA: +194% (dal 2019 al 2023)
  • Emissioni totali da spedizioni: +75%
  • L’obiettivo di rendere il 50% delle spedizioni carbon neutral entro il 2030? Cancellato.
  • Il supporto della Science Based Targets? Ritirato.

Eppure i media parlano di torta nuziale e ospiti da sogno. Dell’impatto sul PIL di Venezia delle sue spese non se ne parla?

Non vedono dov’è davvero la notizia, perché guardano il dito e non vedono la luna. È una strategia di PR che conosco bene. La chiamavo stillicidio informativo: se hai un problema, distrai, inonda la rete di altro, e il problema scompare. Scompare per effetto degli algoritmi, prima soltanto di Google, adesso anche delle AI.

Il Climate Pledge va in centesima pagina, perché il matrimonio inonda l’algoritmo. Quando un fatto è troppo scomodo per essere ignorato, lo si fa annegare in un flusso costante di altro. Una strategia che conosco e che può anche essere utilizzata a fin di bene, soprattutto in caso di crisi, e che oggi riconosco nei titoli “leggeri”, nei servizi patinati, nel gossip che prende il posto della responsabilità.

Ma la verità è che mentre il potere si celebra, la disobbedienza civile viene repressa. E la notizia vera passa in secondo piano.

Ma, nonostante tutto, continueremo a usare quello che abbiamo imparato, che è tantissimo e non solo con Amazon, per affiancare persone, aziende, comunità che vogliono davvero cambiare. Potremmo sbagliare ancora, certo, ma ci stiamo molto più attenti. Non c’è alternativa a provarci. Perché non siamo soli. C’è un’umanità che resiste, e che sceglie ogni giorno, anche dentro il sistema, di agire con coerenza, cura e verità. Sceglie di restituire quanto eventualmente tolto, perché “successo e rilevanza comportano grandi responsabilità”. Appunto.

Mia figlia si chiama Lotta. E oggi è davvero Lotta

Questa non è solo la storia di un’azienda globale incoerente.

È la storia di una madre che ha contribuito, più o meno inconsapevolmente, a costruire una macchina perfetta e spietata. E di una figlia che oggi paga, con tutta la sua generazione, il prezzo di quelle scelte.

Credits foto: Nicola Zolin

Lotta, cantautrice e attivista, ha partecipato alla mobilitazione pacifica contro il matrimonio di Bezos. Ha manifestato con un cartello e ha scritto questo su Instagram:

“L’1% più ricco sta soffocando il restante 99% sotto le sue emissioni. Boicottarli e render loro scomoda la presenza a Venezia è stato importante. Anche solo con un cartello, un corteo, una canzone.”

E prima dell’azione, Lotta si è esibita per la presentazione del libro Lettera a Jeff Bezos alla Libreria La Toletta, la più antica di Venezia ancora aperta. Un luogo simbolico, scelto non a caso per presentare il mio libro. È stato un momento di bellezza intima e di verità pubblica.

Se volete leggere come è andata quella sera, lo racconto qui:
Lettera a Jeff Bezos, a Venezia nei giorni delle (tanto contestate) nozze

Il nostro fallimento generazionale

Non è facile scriverlo. Ma io provo un senso di colpa profondo. Come donna. Come madre. Come generazione.

Stiamo consegnando ai nostri figli un sistema in crisi, mascherato da progresso. Abbiamo confuso l’efficienza con la felicità. Il successo con il valore economico. L’algoritmo con la giustizia. Loro, oggi, ci chiedono di fermarci. Di ascoltare. Di cambiare. E noi, davvero, vogliamo rispondere con arresti e DASPO urbane?

Nel suo discorso a Princeton, nel 2010, Bezos ha detto:

“L’intelligenza è un dono. La gentilezza è una scelta.”

Ecco: in Amazon vedo ancora moltissima intelligenza. Ma nessuna gentilezza. Nessuna cura. Nessuna coerenza.

Per questo scrivo. Non per accusare. Ma per uscire da quella complicità amara in cui siamo finiti. Per restituire voce a chi è stato zittito. E per chiedere, ancora una volta: è questo il mondo che vogliamo davvero?

Se la risposta è no, allora diamo voce a chi lotta. Qualsiasi età abbia. Perché stanno lottando anche per noi.

E difendiamoci dallo stillicidio narrativo, andando oltre l’algoritmo e oltre i feed tutti uguali.

Immagine in anteprima: Nicola Zolin

Fonte
https://www.valigiablu.it/feed/