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I sindacati continuano a perdere terreno in tutti i Paesi OCSE

I sindacati sono organizzazioni volontarie di lavoratori presenti in tutti i Paesi OCSE. Nei paesi OCSE, nel 1985 il 30% dei lavoratori (in media) era iscritto a un sindacato, percentuale scesa al 19% nel 2005 e oggi addirittura al 15%. Si tratta comunque di medie che mascherano enormi variazioni tra i paesi: solo il 4,7% dei lavoratori è sindacalizzato in Colombia, il 5,6% in Estonia, il 7,4% in Ungheria, mentre oltre il 60% è iscritto a un sindacato in Svezia e Danimarca e il 90% in Islanda. Sono alcuni dei OCSE sull’adesione dei lavoratori ai sindacati e sulla copertura dei contratti collettivi nazionali nei Paesi più industrializzati.

Il calo della sindacalizzazione è quindi comune alla maggior parte dei paesi OCSE, solo Islanda, Cile e Spagna hanno registrato un aumento della densità sindacale dal 1985. Nei paesi dell’Europa centrale e orientale, il calo della densità sindacale è stato piuttosto drammatico, a causa del crollo del tasso di affiliazione sindacale dopo la caduta della pianificazione centrale (stabilizzato al 10% negli ultimi anni). Nel 2024, il tasso di adesione ai sindacati era superiore o vicino al 50% solo nei Paesi in cui i sussidi di disoccupazione sono amministrati da istituzioni affiliate ai sindacati (a volte chiamato “sistema di Gand”, come in Danimarca, Finlandia, Islanda, Svezia e, in parte, poiché anche il governo svolge un ruolo significativo, in Belgio) e in Norvegia. Tuttavia, come osservato dall’OCSE, anche il sistema di Gand è stato sempre più messo in discussione ed eroso dallo sviluppo di fondi assicurativi privati ​​che offrono un’assicurazione contro la disoccupazione senza richiedere l’iscrizione ai sindacati, portando a una diminuzione della densità sindacale. Le differenze tra donne e uomini sono minime: in media nell’OCSE, il 14,2% delle donne occupate era sindacalizzato nel 2024, contro il 14,9% degli uomini. Al contrario, la sindacalizzazione è molto più forte nel settore pubblico, con il 41,3% dei dipendenti iscritti nel 2024, rispetto al 10,1% del settore privato.

Il report dell’OCSE evidenzia anche come sempre meno lavoratori siano coperti da contratti collettivi. La quota di dipendenti coperti da contratti collettivi è diminuita infatti significativamente negli ultimi 30 anni. Questo indicatore è fondamentale per confrontare la forza relativa della contrattazione collettiva tra i Paesi, poiché mette in luce la misura in cui le condizioni di lavoro dei lavoratori sono effettivamente influenzate dalla contrattazione collettiva. In media, nei Paesi OCSE, si è ridotta di quasi un terzo, dal 47% del 1985 al 33,5% del 2023/24. “Come per la densità sindacale, sottolinea l’OCSE, il calo è stato più marcato nei Paesi dell’Europa centrale e orientale. Forti cali sono stati osservati anche in Australia, Nuova Zelanda e Regno Unito, dove negli anni ’80 sono state attuate riforme volte a limitare il ruolo della contrattazione settoriale (in Australia, recenti modifiche legislative, tra cui il Secure Jobs, Better Pay Act del 2022, sono state concepite per aumentare il numero e la portata dei contratti collettivi). La copertura è rimasta relativamente stabile nella maggior parte degli altri Paesi europei, ad eccezione di Germania, Grecia e Paesi Bassi. Solo 10 dei 27 Paesi dell’UE superano la soglia dell’80% stabilita dalla direttiva UE sui salari minimi adeguati (direttiva (UE) 2022/2041), che impone agli stati membri dell’UE l’obbligo di prevedere un quadro di condizioni abilitanti per la contrattazione collettiva e di stabilire un piano d’azione per promuovere la contrattazione collettiva al fine di aumentare progressivamente il tasso di copertura della contrattazione collettiva“.

Per quanto riguarda l’Italia, l’OCSE ci pone ai primi posti sia per densità sindacale, diminuita di poco negli ultimi trent’anni, sia per i livelli di copertura della contrattazione collettiva. Tuttavia, come è stato osservato da più parti, si tratta di dati che potrebbero godere di qualche sovrastima, poiché, come è noto, sono gli stessi sindacati ad autocertificarsi le iscrizioni. E anche in merito alla copertura della contrattazione collettiva, l’elevato livello di copertura contrattuale (quasi il 100%) non significa necessariamente un sistema di contrattazione solido, in quanto potrebbe occultare un sistema frammentato, un limitato potere contrattuale sindacale o un numero significativo di accordi scaduti i cui termini sono ancora formalmente validi. In definitiva, la contrattazione collettiva, seppur formalmente con una copertura alta, mostra da tempo tutti i segni di inefficacia, scontando innanzitutto una proliferazione dei contratti pirata e, soprattutto, l’incapacità dei CCNL di tutelare il potere d’acquisto dei lavoratori negli anni dell’inflazione.

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Giovanni Caprio

Fonte
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