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Taranto: ILVA e non solo

Taranto ‘città laboratorio’ dove i disastri ambientali, l’occupazione militare, gli affari sanitari, in una parola ‘il potere’ è riuscito nella più grande delle sue aspirazioni: dividere un popolo, affamarlo, seminare morte in nome del profitto.

Si dirà che tutto ciò avviene un po’ dovunque, è noto che la divisione di un popolo è sempre servita per continuare a perpetrare il comando senza nessuna resistenza popolare. Ma qui è diverso: il potere è riuscito ad andare oltre, con una operazione su più fronti è riuscito ad incidere nella coscienza della nostra gente procurando delusioni, disaffezione, assuefazione, abbandono di ogni pratica di lotta, costruendo e favorendo l’imperante individualismo.

Le lotte solitamente creano coscienza collettiva, amore per il proprio territorio, organizzazione e memoria collettiva anche quando non vincenti.

Lo Stato nella sua ‘Città Stato’ è riuscito ad andare oltre: è riuscito a spettacolarizzare il dissenso.

A partire dalla più grande ribellione di popolo avvenuta nel 2012, in cui una moltitudine poneva il problema della salute e del lavoro con una lotta arrabbiata e gioiosa, lo Stato si preparava, come già avvenuto nel passato, alla costruzione in laboratorio di arnesi affascinanti per la gente (soggetti pronti a vendere il loro fascino pur di rispondere a logiche statali ed interessi personali) e ad amplificare l’ipertrofia dell’io di medici, chimici, artisti, avvocati, professori, faccendieri e nuovi politici di professione non inclini ad ammettere i tradimenti dei partiti di appartenenza.

Alla gente e per la gente parole incomprensibili, generatrici di confusione: AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale), PIC (Piano Investimento del Capitale), VIS (Valutazione Impatto Sanitario), Articolo 15, accordo di programma, nave rigassificatrice, decarbonizzazione, preridotto, forni elettrici, compensazione, dissenso motivato che si trasformerà magari in assenso non motivato. Ma il popolo li ha già condannati, li conosce, non ha votato! E pur riconoscendo la validità di dati scientifici prodotti in passato, la gente non è più disposta a rincorrere l’ILVA sul terreno giuridico-legale, utile solo ad allungare i tempi e far decantare la rabbia, lasciando che l’azienda continui a produrre morte per i tarantini, debiti che tutti dovremo pagare e profitti per la proprietà.

Alla comunità cittadina non serve più sapere i picchi di ogni sostanza emessi. Basta ricordare che nel 2012 la Procura di Taranto ha stimato più di 11mila morti in 7 anni legati alle emissioni ILVA e un’incidenza di tumore polmonare di più del 50% rispetto alla media regionale nel quartiere popolare dei Tamburi, a ridosso dell’ILVA. Arsenico, piombo, diossina rilevati nei terreni e nelle case fino a 20 volte superiori ai limiti di legge: in 50 anni le polveri rosse hanno ricoperto strade, scuole e persino le lapidi del cimitero. I tarantini sanno che ogni famiglia è stata colpita da un lutto, da una malattia derivante dall’inquinamento; i pescatori sanno che il mare non è più lo stesso; i medici sanno – senza aver bisogno dei dati INAIL, magari anche a ribasso, considerato che l’INAIL è lo Stato e non la rappresentanza sul territorio dei lavoratori – che le malattie sono in aumento e sono causa di morte e che le cure sono diventate un privilegio per pochi; gli avvocati sanno che i rimborsi non serviranno, laddove avvenissero, a sollevare il dolore di un’intera comunità.

E ormai anche la gente sa che piangersi addosso non serve più.

Chi doveva non ha voluto in tutti questi anni affrontare il ricatto salute-lavoro perché complice di una cultura di asservimento alle gerarchie militari e politiche di questo paese.

In un’ottica che vede la regione Puglia sempre più protagonista in quel processo di riarmo e militarizzazione sponsorizzato dal governo Meloni, anche l’ILVA potrebbe avere la sua parte e ricevere fondi destinati al riarmo, in quanto considerata strategica come asset militare.

Sullo stesso territorio tarantino, a pochi chilometri dall’ILVA, incide un’ulteriore azienda contaminante, con emissioni altrettanto inquinanti e un ruolo altrettanto attivo nel processo di militarizzazione: l’ENI.    Infatti, la stessa ENI è presente sul territorio palestinese per lo sfruttamento di gas, intrattenendo rapporti economici con Israele, responsabile del genocidio di Gaza.

Nello stesso processo, fondi del Governo sarebbero previsti per il potenziamento delle basi militari di Taranto e Brindisi per consentire che grandi portaerei italiane ed europee possano raggiungere le banchine dei centri storici cittadini.

L’ILVA continuerà pertanto ad operare fino a che farà comodo agli interessi miliari (vedi NATO) ed al ‘capitalismo di stato’.

E neanche basta più ai tarantini il rimpallo di responsabilità tra Governo nazionale, Regione e Comune, utile solo a generare confusione, ma con un preciso obiettivo, voluto e condiviso da tutti: tenere in vita la macchina ILVA, allungando i tempi per continuare a seminare inquinamento e morte.

Un primo tentativo di neutralizzare la lotta era stato fatto con la nomina come Assessore all’ambiente di una attivista ambientalista esponente della lista Europa Verde (in lista Alleanza Verdi Sinistra, per intenderci, la stessa lista del Presidente Vendola, intercettato nell’inchiesta del 2016 ‘Ambiente Svenduto’ sul disastro ambientale causato dall’ILVA di Taranto), poco dopo contestata dai cittadini in protesta contro la discarica prevista nel popolare quartiere tarantino di Paolo VI.

I contentini promessi in fumose conferenze stampa – lontani dai bisogni della cittadinanza – le dimissioni farsa per “inagibilità politica” del Sindaco appena eletto, ma ritirate poco dopo dallo stesso, sembrano avere l’intento di trasformare la legittima protesta popolare in un problema di ordine pubblico e marciare nell’ottica della militarizzazione di un territorio in nome della sicurezza.

La stessa idea di sicurezza che viene costantemente utilizzata per praticare l’espulsione della popolazione dal centro storico cittadino con l’obiettivo di rendere lo stesso solo vetrina appetibile per palazzinari e nuovi avventurieri.

Trasformare il non voto in rabbia, costruire un percorso collettivo funzionale a ricomporre la classe, fuori dalle vecchie logiche di autocelebrazione e personalismi: questo è il compito di chi resiste da sempre, di chi ama il popolo, di chi continua a vivere in questa terra e nella propria comunità.

Avviare, quindi, una tenace e continua lotta auto organizzata e antimilitarista, che punti nel prossimo futuro allo sciopero sociale con blocco della città e della fabbrica, servirà a difendere le nostre vite e la libertà di tutte e tutti.

Cosimo Cassetta

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