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Difendere gli spazi occupati. Livorno: Teatrofficina Refugio sotto attacco

L’occupazione del Teatrofficina Refugio di Livorno inizia nel maggio 2006, in un contesto cittadino di fabbriche che chiudevano lasciando a casa centinaia di operai, in cui disoccupazione e precarietà abitativa crescevano, in cui un’immobile maggioranza DS, perso ogni contatto con le esigenze dei cittadini e sempre più innamorata dell’ideologia liberale, favoriva la svendita del patrimonio immobiliare del Comune. Un gruppo di persone, in parte provenienti dal collettivo CSA Godzilla, tra i principali snodi della sinistra extra-istituzionale al tempo, decise quindi di occupare uno spazio abbandonato per attaccare l’immobilismo dell’amministrazione locale, contrastare la speculazione immobiliare crescente e creare un luogo di aggregazione per i giovani del quartiere e della città.

Tempo prima, grazie a una serie di circostanze, erano stati individuati gli spazi dell’ex Palestra Giorgio Moriani, al piano terra del Palazzo del Refugio, situato al n°8 degli omonimi scali. L’ex orfanotrofio del Refugio, successivamente convertito in scuola dei mestieri e, dal secondo dopoguerra, in abitazioni per i secondini del vicino carcere dei Domenicani, era passato nei primi anni Duemila nella sfera patrimoniale del Comune che, nonostante fosse, com’è tuttora, abitato, intendeva venderlo a privati per progetti di non meglio specificata “riqualificazione” del quartiere.

L’occupazione dello spazio fu un atto di resistenza contro il rischio di gentrificazione del quartiere storico della Venezia e contro la terziarizzazione della città, che stava abbandonando il suo passato operaio e industriale, creando un senso di spaesamento sociale e di sfiducia politica che non si ricordavano in città, malgrado i tentativi dell’amministrazione di camuffare, sotto il tappeto della riqualificazione dei quartieri, lo sporco dell’amarezza per la fine di un’epoca che dava identità e salario a molti.

E dunque l’occupazione. Per qualche anno qualcuno doveva aver usato quella cantina degli Scali del Refugio come rimessaggio: le carcasse dei veicoli e le fatture ne erano una chiara testimonianza; i cadaveri degli animali, i laterizi e le macerie mostravano chiari segni dell’abbandono di anni. Dopo un necessario lavoro di rimozione, pulizia e restauro, l’autogestione del Refugio creò inizialmente una Palestra Popolare. Successivamente, conservando la sua identità di spazio occupato, antifascista e autogestito, il Teatrofficina Refugio è diventato lo spazio culturale che è adesso. Uno spazio inciso nell’immaginario della sinistra cittadina e non, rispettato e riconosciuto per non aver snaturato le sue caratteristiche politiche, continuando a offrire a chi lo attraversa una programmazione e una proposta culturale e politica di qualità, senza mai interrompere la collaborazione e il dialogo con le realtà politiche affini in città e al di fuori di essa.

L’analisi iniziale di chi all’epoca occupò lo spazio si è rivelata esatta in più di un aspetto. Negli anni il quartiere della Venezia è cambiato, sia per quanto riguarda l’offerta commerciale sia per il mercato immobiliare. Ristoranti, bistrot, pizzerie e cocktail bar hanno progressivamente riaperto i molti fondi vuoti e dato al quartiere una non-identità fatta di navi da crociera, di una piazza di asfalto con dei lavori da finire, due chiese, un centro per richiedenti asilo. Ai civici delle strade, numerosi sono gli studi commerciali che si alternano a case per lo più frazionate, dove gli affitti costano moltissimo e sempre più Airbnb spuntano tra i citofoni. Gli altri negozi, pressoché assenti. C’è la biblioteca più moderna della città ma non una cartoleria o un’edicola, un solo alimentari, la prima farmacia è all’inizio del quartiere accanto.

Silenzioso giorno e notte nei giorni feriali, se non per le navi e per le voci delle guide turistiche, solo il fine settimana il quartiere si anima, ma alle due al massimo di solito tutto tace: è la provincia. E anche i ritmi della gentrificazione si adattano alla provincia. Più lenta di quella delle grandi città turistiche, meno feroce nel costruire dimensioni escludenti, ma si caratterizza sempre con un grande senso di spaesamento e perdita di identità di chi quel quartiere l’ha sempre abitato.

Lo scadimento dell’uso dei social durante la pandemia ha aggravato e dato una cassa di risonanza ulteriore a questo fenomeno. Il gruppo Facebook del Comitato di Quartiere Vivi La Venezia, che non fa iniziative, non ha una sede, esiste solo online, ha dato sempre maggior spazio a chi aveva tutto l’interesse politico a demonizzare il centro sociale Refugio e la sua attività, ad addossargli ogni responsabilità del rumore e della fantomatica “malamovida” di un quartiere che si riempie interamente il fine settimana e all’interno del quale il Refugio rappresenta invece uno spazio sicuro, accogliente e gratuito, le cui aperture spesso contribuiscono a limitare i comportamenti a rischio o non consoni, se non altro perché il bagno è sempre accessibile e l’acqua minerale viene distribuita gratuitamente.

A questa continua shitstorm telematica si sono aggiunti nel tempo, un po’ col favore di avere la destra neofascista al governo, un po’ fomentando alcuni inquilini reazionari del palazzo, tre esposti riconducibili a Fratelli d’Italia, l’ultimo dei quali è stato accompagnato da un attacco politico formale allo spazio e all’amministrazione Comunale, accusata di tollerare da vent’anni questa occupazione, che causerebbe tanto degrado e che promuoverebbe attività illecite e pericolose.

Il collettivo attuale del Refugio ritiene che la modalità di questo attacco tanto strumentale, portato avanti con toni surreali, pretestuosi, a tratti trash (il palazzo è stato visitato due volte dalla troupe di Fuori dal Coro) è quella tipica di chi non sa fare opposizione a un sistema perché di quel sistema si nutre in ogni sua cellula e quindi, creando del sensazionalismo, anche quando non c’è, spera di far concentrare l’attenzione su qualcosa di collaterale, che poco ha in comune con l’obiettivo che vuole raggiungere.

La scadenza elettorale regionale alle porte, probabilmente rende necessario portare “ciccia” a casa, anche per chi non è candidato, hai visto mai che prima o poi…

Obiettivi quindi di chi fa una politica di carriera, che sa solo usare persone e opportunità per i propri scopi. Cose che non riguardano chi fa politica dal basso.

Per contro, è vero invece che al livello nazionale tutto gli spazi occupati sono sotto attacco. Per quello che fanno, ma spesso anche, per quello che rappresentano nell’immaginario di moltissime persone. Per motivi che non sono sempre nemmeno immediatamente politici, magari, ma che riflettono quella dimensione umana, aggregativa e sociale, che solo gli spazi nati dall’aggregazione dal basso sanno dare e che infatti, anche in momenti difficili come il presente, col genocidio di Gaza in corso, tornano a essere punti di riferimento riconosciuti e motori necessari per organizzare assemblee cittadine, cortei, raccolte alimentari, cene di beneficenza e molto altro.

E nel rivolgere un pensiero agli altri spazi occupati minacciati come e più del Teatrofficina Refugio di Livorno, ci auguriamo che la partecipazione alla manifestazione locale del 20 settembre e alle iniziative di sostegno allo sciopero generale del 22 settembre vedano riempirsi le piazze.

A.S.

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