IRAN – ISRAELE: La narrazione selettiva di un conflitto
Emad Kangarani 15 Giugno 2025
È accaduto quello che sarebbe dovuto essere evitabile. Un’altra guerra, un’altra ferita che ci divide ulteriormente. Gli eventi dell’alba del 13 giugno sembrano già appartenere a un passato remoto, sepolti sotto il peso delle speranze infrante. Quella mattina è stata segnata da continui attacchi di Israele contro obiettivi militari, strategici e abitazioni civili dell’Iran, accompagnati dalle immancabili risposte propagandistiche iraniane. Verso le 20:00 ora italiana, anche l’Iran ha risposto con la logica del ferro e del fuoco.
Le operazioni israeliane
Tel Aviv ha orchestrato un’operazione complessa utilizzando aerei da guerra e droni infiltrati clandestinamente in territorio iraniano.
Gli attacchi coordinati hanno preso di mira infrastrutture critiche, eliminando comandanti militari di alto rango e scienziati nucleari, causando al contempo numerose vittime civili.
Israele ha motivato questa escalation militare come misura preventiva contro lo sviluppo di armi nucleari iraniane, una giustificazione che stride con le valutazioni di esperti internazionali e del governo statunitense, secondo cui Teheran non stava attivamente sviluppando tali armi prima degli attacchi.
Il 14 giugno e la mattina del 15 giugno hanno visto intensificarsi l’offensiva israeliana, che ha colpito obiettivi militari e civili in 19 regioni dell’Iran.
Tra i bersagli più strategici figurano i depositi di carburante di Teheran, zone militari e industriali in Fars e negli Azerbaigian Orientale e Occidentale, ma soprattutto il bombardamento della fase 14 del South Pars – il più grande giacimento di gas al mondo – e l’incendio nella raffineria Fajr a Jam nel sud dell’Iran sulle sponde del Golfo Persico.
Le forze israeliane hanno colpito anche centri di ricerca nucleare e impianti di lavorazione dell’uranio a Isfahan, oltre a decine di installazioni radar e sistemi missilistici terra-aria nell’Iran occidentale.
Sebbene le autorità iraniane non abbiano ancora pubblicato un bilancio complessivo delle vittime, i conti non ufficiali riportano circa 100 vittime e 800 feriti finora.
Nella giornata di ieri, l’ambasciatore iraniano alle Nazioni Unite, Amir Saeed Irvani, ha documentato perdita di 78 morti (molti di loro civili) e oltre 320 feriti. Particolarmente tragico l’attacco a un edificio residenziale di quattordici piani nel cuore di Teheran, dove sono morte 60 persone, tra cui 20 bambini.
Le risposte iraniane
L’Iran ha reagito lanciando ondate successive di droni e missili balistici verso il territorio israeliano nella sera del 13 giugno. Le Forze di difesa israeliane hanno immediatamente attivato i protocolli di emergenza, indirizzando la popolazione civile verso rifugi e zone protette anche dopo la fine dell’attacco iniziale.
Il primo bilancio degli attacchi iraniani in Israele ha registrato almeno due morti e 19 feriti nel centro del paese durante la prima giornata di offensive.
L’attacco ha causato gravi danni a numerose abitazioni dei civili a Rishon LeZion, città situata a sud di Tel Aviv. Mentre il 14 giugno proseguivano incessanti gli attacchi israeliani sul suolo iraniano, l’offensiva iraniana ha conosciuto una pausa per poi riprendere verso mezzanotte (ora italiana), concentrandosi principalmente su Haifa e Bat Yam, causando altri 10 morti e almeno 200 feriti tra cui molti civili.
La risposta europea: l’arte dei doppi standard
Il bilancio parla chiaro: circa 100 vittime in Iran, 13 in Israele, eppure, sfogliando la stampa italiana ed europea, emerge una realtà distorta che dovrebbe farci riflettere profondamente su come viene costruita l’informazione. I morti civili iraniani sembrano dissolversi nelle ultime righe dei giornali, mentre quelli israeliani dominano titoli e approfondimenti. La minaccia viene sistematicamente attribuita a Teheran, mai a Tel Aviv.
Si sta radicando una retorica che presenta il regime iraniano come il male assoluto da eliminare, la cui eliminazione segnerà finalmente il compimento della profezia fukuyamiana di fine della storia, mentre il genocidio palestinese e l’interminabile lista di crimini contro l’umanità del regime israeliano scivolano nell’ombra, protetti dal mantello del “sacrosanto diritto di Israele alla difesa”.
I commenti dei leader europei e degli alleati atlantici si ripetono con monotonia ossessiva e mettono in scena uno spettacolo di ipocrisia diplomatica sconcertante.
Condannano formalmente l’escalation con dichiarazioni di facciata, ma nella sostanza riconoscono quasi esclusivamente il diritto di Israele alla difesa, applicando metri di giudizio radicalmente diversi alle parti in conflitto.
Questa posizione è emblematicamente rappresentata da leader come Macron, che ama invocare i principi di fraternità, uguaglianza e libertà ma sembra applicare questi valori universali con preoccupante selettività quando si tratta del Medio Oriente.
Ancora più grottesco l’esempio del Ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul: mentre Israele viene condannato dalle corti internazionali per crimini contro l’umanità e per il genocidio in corso in Palestina con oltre 65.000 morti, Wadephul annuncia che Germania, Francia e Gran Bretagna sono pronte a colloqui immediati con l’Iran – e solo con l’Iran – per allentare le tensioni mediorientali.
“Questa è la condizione principale per calmare la crisi“, ha dichiarato Wadephul con disinvoltura, “ovvero che l’Iran non rappresenti una minaccia per la regione e per Israele, così come per l’Europa.”
Una posizione che ignora sistematicamente il ruolo israeliano nell’attuale escalation.
Le sue parole sono state prontamente rieccheggiate dal ministro Matteo Salvini, confermando quanto questa retorica selettiva abbia fatto presa anche nella politica italiana.
Prospettive future: il business della guerra
Il Primo Ministro Netanyahu ha ammesso che l’operazione era stata meticolosamente pianificata per mesi, inizialmente programmata per aprile ma successivamente rimandata.
Il conflitto segna una svolta decisiva nella lunga guerra ombra israelo-iraniana, trasformando uno scontro indiretto in un confronto militare aperto che minaccia di destabilizzare irreversibilmente l’intera regione.
Ma c’è una verità ancora più amara da affrontare.
Per chi conta davvero – gli abitanti dell’Iran e di Israele – la fine di questo incubo non si intravede nemmeno lontanamente.
La guerra rimane, nel ventunesimo secolo, praticamente l’unico business che non conosce crisi, garantendo profitti stabili per gli anni a venire a chi ne profitta.
Una domanda dovrebbe assillarci: in un’epoca di crisi economiche globali devastanti, come mai la logica di sperperare miliardi in strumenti di morte continua a convincere la specie Homo Sapiens?
Forse la risposta giace proprio nella natura selettiva della nostra informazione e di conseguenza della nostra compassione.