In un contesto generale di radicale crisi dei tradizionali equilibri geopolitici e mentre la guerra tornava a lambire il vecchio continente, il governo italiano decideva di dare un suo contributo all’effervescenza sociale con lo sgombero di giovedì 21 agosto del Leoncavallo Spazio Pubblico Autogestito o, se si preferisce il suggestivo acronimo, Leoncavallo SPA.
Come è noto, lo sgombero è stato “pacifico” e la risposta degli e delle occupanti è stata affidata a una manifestazione il 6 settembre che ha visto una più che robusta partecipazione a livello nazionale e cittadino, una partecipazione non usuale e, visti i tempi, persino sorprendente.
Come spiegarsi il fatto che decine di migliaia di persone siano scese in piazza a sostegno del Leonka e che vi sia stata un’aggregazione fra soggetti politici, sociali e culturali non solo e non tanto diversi quanto radicalmente, almeno di regola, non comunicanti?
Propongo un caso estremo proprio perché ritengo che dia un’idea ragionevole della varietà dei soggetti in campo.
Bebo Storti, che con Paolo Rossi, Claudio Bisio, Gigi Alberti, Antonio Catania e Renato Sarti ha preso parte al corteo nazionale per il Leoncavallo e che, assieme a loro, ha dispiegato uno striscione giallo con la scritta Comedians, dal titolo dello spettacolo diretto da Gabriele Salvatores che ottenne grande successo nel 1985, afferma: “Siamo una banda di cazzoni ma con senso civico. È importante essere qui per parlare del Leoncavallo e dell’atto disgustoso che hanno fatto al momento dello sgombero. Piantedosi ha preso d’istinto questa leccata di culo nei confronti del governo. Lo sappiamo com’è andata. È stata una chiusura politica”.
Bene, il regista Salvatores è stato presente in mattinata alla camera ardente di Giorgio Armani, dove ha sottolineato l’importanza di manifestare per il Leonka. In altri termini, non ha rilevato nessuna contraddizione fra il sostenere il Leonka e rendere omaggio a un esponente apicale della borghesia ambrosiana, tanto da chiedere la partecipazione alla mobilitazione di un segmento della borghesia, magari della borghesia liberale, cittadina.
Una risposta alla domanda credo sia possibile se si tiene conto di diversi fatti:
- La brutalità stessa dell’azione del governo dopo anni di torpore e dell’accettazione dello status quo ante ha colpito se non l’“opinione pubblica” quanto meno un’area di persone che frequentano o hanno frequentato i centri sociali, che apprezzano l’arte e la cultura trasgressive, che sono comunque collocate a sinistra in una fase il cui, a dispetto del governo di destra, un certo spirito di corpo caratterizza la sinistra, comunque si intenda il termine;
- La reazione allo sgombero si è sovrapposta alla mobilitazione a favore dei palestinesi che è decisamente vivace e ha un largo seguito nelle giovani generazioni. È un caso in cui guerra interna, nella forma dell’attacco a luoghi di aggregazione “non conformi” e guerra esterna come sostegno indiretto al macello della popolazione gazawi sono state percepite nella loro relazioni e, comunque, settori di movimento hanno dato vita a una sinergia.
- lo sgombero del Leonka si è dato in un momento in cui vi è una più che discreta attenzione a una politica edilizia che privilegia l’élite borghese e penalizza pesantemente parte consistente dei ceti popolari, coloro che non hanno potuto comprare una casa in anni migliori e devono ricorrere all’affitto, studenti fuori sede et similia. L’opinione pubblica è abbastanza sensibile alle vicende giudiziarie del ceto politico amministrativo cittadino e percepisce il carattere bipartisan del blocco di coloro che hanno posto le mani sulla città per citare un celebre film.
Tornando allo sgombero, il Leoncavallo ha alle spalle una vicenda giudiziaria intricata, che crea un precedente complicato anche per altre occupazioni. Ricordiamo infatti che il Ministero degli Interni è stato condannato a risarcire la famiglia Cabassi, nella figura giuridica del Prefetto, per non aver eseguito lo sgombero e il giudice si è rifatto sull’Associazione delle Mamme Antifasciste del Leoncavallo, la cui presidentessa, Marina Boer, è stata condannata a pagare un risarcimento di 3 milioni di euro per il mancato sgombero alla società immobiliare che possiede l’immobile di via Watteau 7.
Va anche detto che nel corso degli anni fra Leonka e amministrazioni locali vi è stata una complessa e poco produttiva contrattazione volta a “normalizzare” la situazione. Già da tempo il Leonka, trovandosi di fronte ad un’attitudine conciliante da parte dell’attuale sindaco , stava lavorando al riconoscimento del proprio “valore sociale” da parte delle istituzioni (Il sindaco Sala, interpellato dalla stampa, nelle scorse settimane, ha risposto ad alcuni giornalisti, a proposito del Leoncavallo, riconoscendo il suo «alto valore sociale e culturale per la città», almeno a parole, indicando nel bando di un capannone in via San Dionigi, zona Porto di Mare, una soluzione plausibile).
Per il rispetto che ritengo giusto avere nei confronti dell’intelligenza dei miei trentatré lettori, non mi dilungo sul fatto che il “valore sociale” riconosciuto dalle istituzioni e, nella fattispecie, da parte di istituzioni pesantemente coinvolte nella ristrutturazione a favore dei ceti ad alto reddito della città, faccia un po’ ridere.
Proprio questa complessità della vicenda del Leonka, una nascita radicale ed autogestionaria, una deriva istituzionale, mille vicende giudiziarie determina il fatto che vi sono, almeno, due Leonka: uno SPA e uno, magari più nell’immaginario che nella realtà effettuale, Spazio Pubblico Autogestito.
La manifestazione del sei settembre rivendicava il carattere di movimento del Leonka e poneva l’accento sulla necessità di opporre la mobilitazione di massa alla politica governativa per quel che riguarda gli spazi pubblici, il diritto all’abitare, l’accesso ai servizi ecc…
Pone dunque le condizioni o, almeno, potrebbe porle per un salto di paradigma da parte dei movimenti, un salto di paradigma che ponga al centro il governo delle città, la definizione dei luoghi di decisione, l’intreccio fra le rivendicazioni che riguardano il welfare.
Si tratta, in altri termini, di organizzare, a Milano come altrove, una mobilitazione contro i padroni della città che potrebbe coinvolgere comitati di cittadini sui diversi temi, centri sociali e luoghi occupati, sindacati di base sia delle lavoratrici e dei lavoratori che degli inquilini.
Un percorso che, a mio avviso, meriterebbe una discussione e un confronto approfonditi.
Cosimo Scarinzi
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