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Morte di Youns El Boussettaoui: il processo per omicidio all’ex assessore leghista Massimo Adriatici

Sono passati 4 anni, 1 mese e 22 giorni dalla tragica notte del 20 luglio 2021, quando il trentanovenne Youns El Boussettaoui fu ucciso a Voghera da un colpo sparato dalla Beretta calibro 22 di Massimo Adriatici, allora assessore alla Sicurezza della città in quota Lega. L’11 settembre 2025, l’udienza preliminare presso il Tribunale di Pavia ha segnato una tappa decisiva in una vicenda rimasta sospesa per anni, dopo che il primo procedimento, impostato dalla Procura come eccesso colposo di legittima difesa, aveva escluso l’ipotesi di omicidio volontario.

Con l’ordinanza del 6 novembre 2024, infatti, la giudice Valentina Nevoso aveva fissato un punto fermo: il colpo sparato da Adriatici non era frutto di legittima difesa, ma un atto intenzionale che provocò la morte di El Boussettaoui. Inizialmente, la Procura aveva ritenuto che l’ex assessore, già poliziotto ed avvocato penalista, avesse reagito in modo sproporzionato all’offesa, imputandogli il fatto per colpa e non per dolo. Secondo l’accusa originaria, quindi, Adriatici avrebbe semplicemente reagito a un pugno ricevuto da Youns, pronto a colpirlo di nuovo.

Tuttavia, alla luce dell’istruttoria svolta in oltre tre anni e di tutte le prove raccolte, visionabili anche nel recentissimo episodio di Un Giorno in Pretura, il processo ha ribaltato quanto fino ad allora sostenuto dalla Procura, accogliendo le istanze della parte civile, Bahija El Boussettaoui, sorella di Youns, rappresentata dagli avvocati Debora Piazza e Marco Romagnoli. Nelle fitte pagine del provvedimento a firma di Nevoso emerge, infatti, una serie di dettagli a sostegno dell’ipotesi dell’accusa.

In primo luogo, è stato dimostrato che Massimo Adriatici ha seguito per circa dodici minuti Youns El Boussettaoui, da lui già conosciuto e ritenuto, come indicato nell’ordinanza, “il problema di Voghera”, data la sua “abitudine” a importunare avventori di bar o semplici passanti. Secondo gli atti l’ex assessore, nella serata del 20 luglio 2021, si trovava a un bar per sorseggiare un caffè serale e, com’era solito, aveva con sé una pistola Beretta calibro 22 carica. A un certo punto, imbattutosi per puro caso nel signor El Boussettaoui, decideva di seguirlo.

La Giudice ha ritenuto dirimente anche l’atteggiamento dell’assessore dopo il ferimento della vittima. Youns, infatti, non è deceduto sul colpo, ma è rimasto a terra in gravissime condizioni per decine di minuti. Secondo quanto espresso nell’ordinanza, in quei momenti l’assessore sarebbe rimasto “freddo”, dimostrando un atteggiamento “certamente non tipico di chi abbia appena attinto un uomo con un colpo di arma da fuoco potenzialmente letale, del tutto involontariamente”. Non si è mai avvicinato al ferito né per constatare il suo stato, né tantomeno per aiutarlo, limitandosi a contattare il Commissariato locale che, a sua volta, richiedeva l’intervento dell’ambulanza.

Sin da subito, invece, Adriatici si occupava delle proprie sorti. Intento a parlare al cellulare, passeggiava a debita distanza dalla vittima – circa 7-8 metri – e telefonava, prima, all’ex Comandante del Commissariato di Voghera e, poi, alla sua assistente di studio, premurandosi di comunicarle la sua impossibilità a recarsi in udienza il giorno successivo. Infine, contattava un altro membro delle locali forze dell’ordine, fornendogli immediatamente una versione dei fatti volta a scagionarlo.

Per altro, proprio le varie e incompatibili versioni offerte da Adriatici hanno portato la Giudice di Pavia a dichiarare la completa inaffidabilità del leghista. Infatti, in un primissimo momento l’uomo sosteneva l’involontarietà del colpo, adducendo l’ipotesi di un malfunzionamento dell’arma da lui legittimamente tenuta. Cambiava, però, la ricostruzione dei fatti nel corso del processo, introducendo la circostanza – dimostratasi del tutto infondata – dell’essersi legittimamente difeso per paura che El Boussettaoui potesse portare con sé un’arma, dal momento che teneva le mani dietro la schiena.

Tutti questi elementi hanno fatto ritenere l’omicidio di Youns volontario, quantomeno nelle forme del “dolo eventuale”, concetto giuridico con il quale si intende che, anziché esserci la piena volontarietà della realizzazione del crimine commesso, l’autore del reato ben poteva evitare l’esito dannoso delle sue azioni, semplicemente compiendo o non compiendo alcuni accorgimenti da lui facilmente attuabili e doverosamente prospettabili.

Nel caso di Adriatici bastava, quindi, che l’assessore non lo pedinasse, ad esempio. Oppure che, pur pedinandolo, chiamasse sin da subito le forze dell’ordine senza cercare un approccio diretto. Oppure che, pur non allertando le forze dell’ordine, una volta ricevuto uno schiaffo, rispondesse con un altro schiaffo, anziché sparare con la sua arma. Oppure che, pur sparando, avesse diretto il colpo verso gli arti inferiori, come per altro, second il Tribunale, “sarebbe stato più ragionevole attendersi (…) sulla base della ricostruzione oggettiva dei fatti accreditata”. Insomma, il dolo eventuale si realizza quando i tanti pur e i molti oppure lasciano intendere una responsabilità ben superiore alla semplice colpa. O meglio, come specificato nell’ordinanza, Adriatici non avrebbe dovuto mostrare a Youns un’arma “che sapeva carica e senza sicura, se non avendo aderito psicologicamente all’evento nefasto occorso, quantomeno in termini di accettazione del rischio di sua verificazione”.

Per questi motivi, il Tribunale di Pavia ritrasmetteva gli atti alla Procura che, soltanto due giorni dopo la pronuncia dell’ordinanza, con un telegrafico comunicato a firma del Procuratore della Repubblica Fabio Napoleone, annunciava la rinuncia dell’incarico del Pubblico Ministero titolare del fascicolo. Quest’ultimo, nel corso del primo procedimento instauratosi di fronte a Nevoso, aveva chiesto la condanna di Adriatici a 3 anni e 6 mesi per eccesso colposo di legittima difesa, mentre con la nuova imputazione di omicidio, su cui si è incardinato il processo iniziato ieri, la pena minima astratta prevista è di 21 anni di reclusione.

All’udienza preliminare dell’11 settembre 2025, gli avvocati di Adriatici, Luca Gastini e Carlo Alleva, hanno avanzato la richiesta di rito abbreviato, circostanza che comporterebbe una riduzione secca di un terzo dell’eventuale pena. Il giudice dell’udienza preliminare scioglierà la riserva sulla richiesta il 23 ottobre 2025. Durante l’udienza, Adriatici ha nuovamente offerto alla famiglia di Youns due assegni per un totale di 220 mila euro, proposta di risarcimento che però è stata rifiutata. «La famiglia non vuole semplicemente un risarcimento del danno – ha dichiarato Debora Piazza, legale insieme a Marco Romagnoli – ma giustizia, sin dall’inizio dell’indagine. Il primo processo si è fondato su basi giuridiche errate, come dimostrato nell’ordinanza della prima giudice. Adesso ricominciamo sui binari giusti, sperando di arrivare a una giustizia completa per la morte di un uomo ancora impunita». No comment, invece, da parte dei difensori di Adriatici.

Abbiamo richiesto una dichiarazione agli avvocati di entrambe le parti. L’articolo sarà aggiornato in caso di risposta.

(Immagine anteprima: frame via YouTube)

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