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Palermo con la Palestina, ancora e ancora

Lunedì 28 luglio, i movimenti cittadini di Palermo hanno continuato ad agire e “fare rumore” per i compagni della nave Handala e per la Palestina.

Nel primo pomeriggio si è svolto un presidio davanti alla Prefettura, in concomitanza con altri in ogni provincia siciliana, per consegnare alle autorità rappresentative del governo nazionale un documento di cui riportiamo alcuni stralci.

Mentre sbandieravamo kefieh, bandiere palestinesi ed arcobaleni per la pace e la nonviolenza, un autobus di linea si è accostato all’orlo del marciapiedi dov’eravamo radunati, martellando con il clacson e lampeggiando con i fari in segno di solidarietà. Abbiamo risposto a pugno chiuso.

Così la sera precedente alcuni spettatori all’uscita dallo spettacolo di balletti del Teatro Massimo avevano applaudito ai nostri striscioni e al nostro clangore. Piccoli grandi gesti che commuovono e ci fanno sentire non proprio soli e non proprio inutili.

Ecco, dunque, alcuni passaggi del documento affidato ai funzionari.
Dopo aver denunciato il genocidio in corso a Gaza, l’annessione israeliana della Cisgiordania e le complicità italiane legate al traffico d’armi e a tanto altro, il documento chiede di:

1) avviare una procedura per la sospensione di tutti gli accordi con Israele, ed in generale, alla luce dei gravi crimini commessi da Israele di astenersi dal contribuire al genocidio e all’apartheid della popolazione palestinese attraverso nuovi accordi di qualsiasi natura, inclusa quella economica,
militare e culturale;

2) effettuare una tempestiva ricognizione di tutte quelle attività promozionali, di scambio commerciale, culturale e sociale, nonché delle attività di mero rilievo internazionale con Israele, oggetto di richiamo per le sue condotte da parte della Corte Internazionale di Giustizia;

3) garantire un’adeguata accoglienza sanitaria e umanitaria ai profughi palestinesi in fuga dal genocidio ed incentivare la cooperazione con i presidi sanitari nel Territorio Palestinese Occupato, in primis nella Striscia di Gaza.

4) adire la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) in caso di violazioni della sovranità e dell’ordine giuridico internazionale, e la Corte Penale Internazionale (ICC) per i crimini commessi da Israele contro civili, operatori umanitari e imbarcazioni civili.

5) promuovere un’azione diplomatica multilaterale con altri Stati coinvolti nella missione e nel Mediterraneo.

Chiede anche una presa di posizione ufficiale del governo italiano circa l’aggressione alla nave Handala e conclude:

Non si possono ulteriormente tollerare né il totale disprezzo dei diritti umani da parte di Israele, né l’occupazione illegale del Territorio Palestinese, per altro sotto regime di apartheid.

Non si può tollerare il clima di guerra fomentato dalla stessa Unione Europea, attraverso la corsa agli armamenti e il conseguente attacco a tutti i diritti sociali.

A Gaza si muore sotto le bombe, ma anche per fame e denutrizione, occorre dire basta, ora.

La legalità internazionale, la dignità umana e la sovranità dello Stato italiano non possono essere piegate all’interesse geopolitico di uno Stato coloniale e aggressore.

È giunto il momento per la Repubblica Italiana di riprendere la propria autonomia morale e giuridica e di schierarsi dalla parte del diritto, della vita, della giustizia.

La città di Palermo è dal 1998 gemellata con la città di Khan Yunis nella striscia di Gaza e, poco dopo, si è aggiunto il gemellaggio con Ramallah in Cisgiordania. Incontri culturali, scambi di classi scolastiche, iniziative politiche e sociali si sono svolte da allora negli anni. Ma l’attuale governo della città a guida UDC, il partito di Cuffaro, ex presidente della regione che ha scontato in galera una condanna per associazione mafiosa, finge di non saperlo.

A partire da questa considerazione si è tenuta nel tardo pomeriggio un’assemblea ai Cantieri Culturali alla Zisa (raggiunta di corsa in bici, dalla Prefettura…) proposta dall’associazione Schierarsi.

Marcello Faletta, docente dell’Accademia di Belle Arti di Palermo, ha ricostruito con attenzione e passione la storia del sionismo, ideologia razzista e colonialista, a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento, sotto il governo del conservatore inglese Palmerston, ossia ben prima dell’affaire Dreyfus (1894-96) e del congresso di Basilea (1897) voluto da Theodor Herzl, autore de Lo Stato ebraico.

Ha ricordato il fermo antisionismo di Hannah Arendt, filosofa ebrea tedesca perseguitata dal nazismo ed esule negli USA, e la sua contrarietà alla nascita di uno Stato confessionale anziché laico nel 1948, nonché la sua denuncia ne La banalità del male (report puntuale del processo ad Eichmann nel 1961 a Gerusalemme, per il New Yorker) di numerose connivenze tra alcuni ebrei e il nazismo durante la Shoah, cosa che le costò l’ostracismo di molti connazionali statunitensi.
Insomma si può essere ebrei ed antisionisti e non per questo si è antisemiti…

Amal Khayal, dolcissima compagna gazawi, operatrice del Ciss a Gaza, che mai si risparmia e ad ogni incontro ci narra trattenendo a stento le lacrime la devastazione della Striscia a cui ha personalmente assistito, stavolta descrive le mutilazioni dei bimbi feriti e le amputazioni senza anestesia, come senza anestesia sono i parti cesarei delle innumerevoli giovani donne negli ospedali deliberatamente distrutti dai raid israeliani.

Che fare?

Zaher Darwish, di Voci del Silenzio, e Fateh Hamdan, di Palestina nel Cuore, espongono le loro diverse prospettive sulla questione palestinese.

Il primo sostiene l’impossibilità di trattare con l’entità sionista “criminale e genocida”: “Sarebbe come proporre a una donna stuprata il matrimonio riparatore” dice, e propone la creazione di un solo Stato “dal fiume [Giordano] al mare” per i due popoli.

Il secondo, appartenuto all’OLP di Arafat, che ha personalmente conosciuto e amato, pur riconoscendo il fallimento dell’illusione degli accordi di Oslo del 1993, sostiene comunque la necessità di trattative per la pace e suggerisce la soluzione di “Due popoli, Due Stati”.

Entrambi concordano, però, sull’urgenza che tutti gli Stati del cosiddetto Occidente e della NATO riconoscano lo Stato di Palestina e la smettano di fare affari, militari e d’altro genere, con Israele.

E noi europei riflettiamo che non abbiamo alcun diritto di ergerci a giudici e risolutori di un conflitto che non solo non stiamo patendo in prima persona, ma che abbiamo contribuito a innescare e continuiamo a fomentare per interessi di primazia economica e geopolitica…

Ai palestinesi le decisioni sulla terra palestinese. A noi il dovere di farci tramite di un dialogo che non ci veda protagonisti, ma rei confessi di tutte le atrocità commesse da più di due secoli in nome dell’imperialismo “bianco”.

Cosa ci lascia, infine, l’esempio di ieri sera? La consapevolezza che è possibile e perciò indispensabile che voci diverse, ispirate a diverse appartenenze, ad ogni costo dialoghino per trovare percorsi condivisi di resistenza ed empatia.

 

 

Daniela Musumeci

Fonte
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