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Perché Israele ha attaccato la Siria

È la mattina dell’11 luglio 2025 quando un venditore ambulante di frutta e verdura druso, Fadlallah Duwara, percorre l’autostrada tra al-Sweida e Damasco: una banda composta da beduini lo ferma, lo picchia, lo rapisce e lo deruba.

Sembra un episodio di cronaca, ma in una Siria che sta vivendo un vuoto di potere dopo la caduta di Assad riattiva una storia tra due etnie segnata da rivalità per la terra, alimentate da tensioni mai sopite tra nomadismo e agricoltura.

Dopo poche ore da questo episodio, le comunità druse locali reagiscono: istituiscono posti di blocco, rapiscono beduini per riottenere quanto sottratto al venditore, iniziano i primi scontri armati.

Da un lato ci sono le sole comunità druse, dall’altro quelle beduine che però godono di un sostegno diretto – secondo alcune fonti – indiretto secondo altre, delle forze di sicurezza schierate dal governo transitorio di Ahmed al‑Sharaa che dovrebbero riportare l’ordine.
In tempi recenti le tribù beduine avevano esercitato un controllo del territorio indiretto per il governo provvisorio.

Questa disparità tra le forze in campo si evidenzia: secondo l’Osservatorio sui Diritti Umani siriano nei primi quattro giorni si raggiungono 89 civili drusi uccisi a sangue freddo, oltre 200 tra i miliziani armati e molte decine di feriti. Nel giro di una settimana, tra dichiarazioni di tregua e rotture, il bilancio tra i drusi arriva a oltre 550 tra civili e milizie armate.

Israele, che nei mesi precedenti aveva creato una cintura di sicurezza, superando la Purple line, adducendo come motivazione la labilità istituzionale siriana che avrebbe potuto non garantire che qualche milizia ostile potesse attaccare il Golan, non attende il dipanarsi degli eventi. Dopo qualche giorno interviene militarmente in maniera simmetrica colpendo principalmente le forze siriane dispiegate nell’area, e successivamente sedi di comando e di governo.

Questa prima serie di raid israeliani portano al ritiro delle forze governative siriane e nei giorni successivi oltre 40 beduini vengono uccisi principalmente per rappresaglia dalle forze druse. Dopo qualche giorno interviene un cessate il fuoco tra Israele e Siria ma le violenze tra drusi e beduini non cessano.

Ma l’intervento degli israeliani, oltre ad aver attivato la diplomazia internazionale, non sfugge agli occhi dell’opinione pubblica mondiale così come non sfuggono le immagini che al confine con la Siria vedono dozzine di drusi accalcarsi ai valichi di frontiera arrivando a sfondare fisicamente quelle barriere pensate per proteggere da attacchi esterni per la prima volta nella storia del paese.

La ragione ufficiale dell'intervento del governo israeliano è nota: parla di violazione di quella “buffer zone” demilitarizzata istituita dopo la Guerra di Kippur e di necessaria messa in sicurezza del confine ma evidenzia con forza l’espressa volontà di tutelare le comunità druse. A una prima lettura quest’ultima motivazione appare capziosa, ma ha una concretezza che affonda nel lungo e complesso legame tra i drusi e gli ebrei israeliani. 

Dalla seconda metà in poi dell’Ottocento, le migrazioni ebraiche in Palestina hanno trasformato il paesaggio demografico e politico. Prima e dopo, pur senza generare un’identità condivisa tra ebrei e drusi e mantenendo percorsi distinti, non è mai mancata una comprensione reciproca.

Il punto di contatto iniziale era rappresentato da quei tratti comuni, sovrapponibili nelle diversità, di cui il più marcato è quel complesso di pratiche religiose e sociali mirate all’autoconservazione identitaria e alle sue conseguenze nelle società in cui erano inseriti - come marginalità, adattamento e persecuzione.

Dalla non belligeranza all’alleanza: i drusi e la comunità ebraica


A parte alcuni episodi violenti nel XIX secolo (il pogrom del 1834, gli eventi di Safed del 1837, la rivolta del 1838), legati a contesti di caos politico, non si sono mai registrate azioni sistematiche dei drusi contro gli ebrei documentate per tutto il periodo Ottomano.

Va evidenziato che la presenza di drusi durante quegli eventi non fu una partecipazione “comunitaria” intenzionale, ma ascrivibile ad azioni individuali, o di bande criminali - per motivi opportunistici - in occasione dei saccheggi.

Durante il Mandato britannico, avviato dopo il 1917, la comunità mantenne una neutralità attiva, evitando il coinvolgimento diretto nelle tensioni tra arabi ed ebrei. 

Negli anni della Rivolta Araba (1936–1939), i drusi adottarono una strategia di “neutralità attiva”, ispirata ai principi della Taqiyya (prudenza in contesti ostili) e del Ḥifẓ al-ikhwān (tutela dei fratelli)

La “neutralità attiva” dei drusi durante la Rivolta Araba prese forma concreta in tre modalità: la partecipazione a milizie filo-britanniche (Peace Bands), la protezione diretta dei villaggi ebraici adiacenti, e atti individuali di salvataggio di civili ebrei. Fu un primo segnale tangibile del legame crescente tra drusi e Yishuv.

Negli anni successivi, fino a ridosso della nascita dello stato di Israele, i rapporti furono caratterizzati da un costante avvicinamento su tutti questi tre piani.

Durante la guerra del 1948, molti drusi si rifiutarono di combattere al fianco dell’Arab Liberation Army. Dopo la sconfitta del Reggimento druso, circa 200 disertarono e una parte di loro fu integrata nell’Haganah. La loro lealtà sul campo fu osservata con attenzione e, al termine del conflitto, diversi drusi furono inseriti nelle neonate Forze di Difesa Israeliane.

Durante il conflitto immediatamente successivo, conseguente all’invasione dei paesi arabi confinanti del neonato Stato di Israele, che ebbe termine nella primavera del 1949, il comportamento dei drusi sul campo fu osservato attentamente.

Sia in base ai rapporti - ormai divenuti storici - tra ebrei e drusi, sia per l’osservazione diretta della loro condotta militare, i soldati drusi vennero progressivamente assorbiti definitivamente nella struttura delle Israeli Defence Forces.

Con la Nationality Law del 1952, ai drusi fu riconosciuta la cittadinanza israeliana. Dal 1956 la leva militare divenne obbligatoria per i giovani drusi, a differenza degli altri cittadini arabo-israeliani. Come per tutti, la loro identificazione etnica, inizialmente marcata nei documenti ufficiali, fu rimossa solo nel 2005.


Il servizio militare come leva di integrazione


In Israele, il servizio militare scandisce le esistenze di tutti i cittadini e rappresenta un passaggio identitario cruciale. A partire dalla Guerra del Sinai del 1956, non esiste una generazione di israeliani che non sia stata coinvolta, direttamente o indirettamente, in qualche forma di conflitto armato o mobilitazione militare in contesti critici.

Per molti giovani drusi, l’integrazione nelle Forze di Difesa Israeliane (IDF) ha favorito legami sociali duraturi, soprattutto grazie al sistema dei riservisti, basato su unità territoriali che rinsaldano la coesione tra coscritti anche dopo la leva. 

Questo ha generato opportunità concrete di mobilità sociale e costruito nel tempo una percezione pubblica positiva della comunità drusa, fondata su dedizione, lealtà e condivisione di valori con i commilitoni ebrei. Il principio etico della “tutela dei fratelli”, centrale nell’identità drusa, ha alimentato questo riconoscimento reciproco, sebbene la retorica dell’inclusione spesso sovrastimi la reale estensione dell’integrazione.

Scuola e università: un esempio di difficoltà dell’inclusione dei drusi

L’inserimento della scuola drusa nel sistema educativo statale è avvenuto solo nel 1975. Da allora, i risultati sono migliorati: in alcuni contesti, la percentuale di studenti drusi che superano l’esame finale al liceo è superiore a quella dei coetanei ebrei. Ma l’accesso all’università resta problematico. Le cause principali sono la distanza dai grandi poli universitari (come Tel Aviv e Gerusalemme), collegamenti pubblici carenti, costi di vita elevati per famiglie a reddito medio-basso, e barriere linguistiche e culturali.

Il divario si accentua nelle discipline scientifiche, dove i test di ingresso sono complessi anche per gli studenti ebrei. Pur esistendo programmi dedicati per colmare questi vuoti, il gap economico e didattico resta profondo. Il programma ATUDA (Atuda Akademit, “riserva accademica”) proposto dall’esercito israeliano ha colmato in parte questo vuoto economico, consentendo a molti giovani drusi di frequentare l’università con un sostegno finanziario, anche se l’accesso generalizzato resta un punto debole.

Alla fine del percorso, gli studenti possono decidere se intraprendere una carriera militare oppure rivolgersi, a quel punto con una formazione accademica ritenuta eccellente, al mercato tradizionale del lavoro qualificato.

A fronte di una percentuale di cittadini drusi stimata attorno al 2%, alcune rilevazioni indicano che circa il 10% dei giovani drusi arruolati - la cui partecipazione all’IDF è superiore rispetto ai coetanei ebrei - aderisce al programma ATUDA, con tutti i benefici che ne derivano per il loro avanzamento sociale, sia sul piano individuale che comunitario.

L’alto tasso di partecipazione drusa nelle forze armate e nei servizi di sicurezza ha alimentato l’idea di una piena integrazione. In realtà, si tratta di una visibilità settoriale. Nei ruoli apicali della pubblica amministrazione, dell’accademia, delle professioni legali, dei media e dell’hi-tech, i drusi restano largamente sottorappresentati.

Il divario salariale (in media il 25% in meno rispetto agli ebrei) riflette un doppio scarto: geografico (concentrati in aree periferiche) e strutturale (accesso limitato ai circuiti economici centrali). A ciò si aggiunge la prevalenza nei settori pubblici meno retribuiti: insegnamento, amministrazione, sicurezza.

Lo strappo del 2018


Il 19 luglio del 2018 la Knesset approvò la Basic Law: Israel -The Nation-State of the Jewish People, una legge costituzionale che definisce Israele ufficialmente come Stato ebraico.

Il testo di legge è simbolico e stabilisce uno status esclusivo per gli ebrei nell'autodeterminazione nazionale, che l’ebraico è la lingua ufficiale e declassa l’arabo ad uno status speciale. Sin dall’inizio, cosa poi ribadita dai pronunciamenti dell’Alta Corte a fronte degli appelli dei 3 parlamentari drusi allora presenti alla Knesset, è stato chiaro che fosse una legge che non avrebbe avuto nessun riflesso sull’uguaglianza de facto dei cittadini israeliani non ebrei. Ma il suo valore simbolico è stato lacerante per la comunità drusa che ha percepito la rottura unilaterale e immotivata di un patto tra popoli alla cui parte avevano adempiuto lealmente.

Il 4 agosto 2018, circa 50 mila drusi, una quota rilevante della popolazione adulta, scesero in piazza a Tel Aviv. Ci furono diverse dimissioni di ufficiali drusi dalle IDF e altri atti di protesta. Uno degli slogan di quella piazza ben esprime il loro sentimento: “Siamo uguali nel sangue, ma non nella legge.”

A seguito di una presa di posizione pubblica molto vasta anche di moltissimi israeliani ebrei, Benjamin Netanyahu ha promesso una Basic Law specifica sulla comunità drusa, ma a oggi non è stata neanche portata nella commissione competente.

Le forze di opposizione non hanno dimenticato la questione e i Democratici in particolare hanno inserito nel loro programma la promessa di superare quella legge con una nuova Costituzione che includa tutte le minoranze.

La conseguenza più evidente è un calo di fiducia istituzionale e, seppur in un quadro di calo di partecipazione elettorale, il voto druso è passato dall’80% degli anni ’90 rispettivamente al 55% nelle elezioni del 2020.

I drusi del Golan

Nel 1967, Israele ha occupato e poi annesso le Alture del Golan. Per la morfologia elevata del territorio erano sempre state strategicamente vantaggiose per attacchi mirati dell’esercito siriano e milizie ostili.

L’occupazione è avvenuta senza riconoscimento internazionale, se non dagli USA durante la prima presidenza Trump. Ai drusi residenti dell’area fu offerta la possibilità di ottenere cittadinanza israeliana o il permesso di residenza permanente, che prevede tutti i diritti amministrativi ma non quelli politici. La maggioranza ha mantenuto lo status siriano, per fedeltà culturale e per il peso delle reti familiari transfrontaliere. Attualmente la popolazione drusa nel Golan conta circa 29 mila persone.

Nel corso di quasi 60 anni, a partire dal giugno 1967, i rapporti tra i drusi del Golan e le istituzioni israeliane si sono progressivamente ridefiniti. Le richieste di cittadinanza israeliana sono aumentate gradualmente, pur restando per decenni numericamente contenute.

Con l’acuirsi dei conflitti interni siriani e l’instabilità politica crescente, le domande di cittadinanza hanno registrato un incremento significativo: dalle circa 90 richieste nel 2020 si è passati a 1050 solo nella prima metà del 2025. Attualmente, circa il 20% dei residenti drusi del Golan ha ottenuto la cittadinanza israeliana.

Israele, i drusi del Golan e la crisi siriana, oggi

Dal primo fragile cessate il fuoco di dieci giorni fa, Israele ha condotto sporadici attacchi aerei, adottando per il momento una strategia di de-escalation. 

La Siria, con la mediazione statunitense, ha concordato a Parigi la possibilità di effettuare interventi mirati per ristabilire l’ordine.

Tuttavia, le violenze non sono mai cessate e il bilancio delle vittime - seppur estremamente incerto - resta gravissimo, a seconda delle fonti. L’Osservatorio siriano per i diritti umani, probabilmente l’unica fonte realmente affidabile, ha fornito la stima più alta: quasi 1350 persone uccise, di cui almeno 200 giustiziate (dato aggiornato al 23 luglio).

I filmati che documentano queste uccisioni arbitrarie contribuiscono ad alimentare la tensione e l’indignazione. Diffusi sulle piattaforme social, mostrano esecuzioni sommarie e altri atti di violenza omicida. Pur non essendo datati con precisione, sono stati geolocalizzati in quell’area e attribuiti a giorni recenti dai team di fact-checking. Rievocano le immagini sconvolgenti delle esecuzioni durante la precedente guerra civile.

La nuova crisi mette in luce anche la fragilità della Siria post-Assad. Il governo ad interim guidato da Ahmed al-Sharaa, proveniente da milizie sunnite radicali, non gode della fiducia delle minoranze religiose. Le promesse di riconciliazione si scontrano con la realtà di una società profondamente lacerata. Il rischio è che l’ondata settaria travolga i tentativi di ricostruzione politica ed economica. In questo scenario, l’intervento israeliano ha anche una funzione di contenimento: proiettare influenza in una regione instabile e sfruttare il conflitto siriano per mantenere alta l’attenzione interna, in un momento in cui il governo Netanyahu è politicamente sotto pressione.

Le fragilità economiche della regione sono emerse fin da subito: in poco tempo è già emergenza alimentare, in un’area assediata dalle forze siriane. Israele resta in attesa: oltre all’interesse strategico per un’enclave drusa, pesa anche un sentimento reale di protezione verso la comunità, e il governo Netanyahu non può ignorarlo.

Per quanto drammatico, e dalla durata ancora indefinita, questo conflitto segna una nuova fase in una storia di oltre un secolo, tra due popoli che hanno saputo trovare più punti di contatto che di divergenza per larga parte della loro storia comune.

Questa scelta di reciproca lealtà tra drusi ed ebrei - quel “Patto di sangue”, come sembra che lo definì Ben Gurion -  però avrà sicuramente il valore e peso che merita nelle decisioni israeliane.

(Immagine anteprima: frame via YouTube)

 

Fonte
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