Viviamo un momento storico difficile. Ogni giorno siamo raggiunti da un flusso continuo di notizie e informazioni che ci aggiornano incessantemente su quanto avviene in ogni momento in ogni parte del globo: guerre, violenze, epidemie, disastri climatici, diritti violati e non riconosciuti, repressioni da parte di regimi autoritari, amplificazione delle disuguaglianze sociali. E più arrivano notizie di eventi tragici che si agglutinano uno sull’altro, più scorriamo compulsivamente siti e social per avere informazioni, spesso frammentarie e contraddittorie, su quanto sta accadendo, più veniamo sopraffatti dal peso emotivo di quel che leggiamo ogni giorno.
Il risultato è che sempre più persone stanno smettendo di informarsi e di seguire cosa accade nel mondo. Un fenomeno cresciuto durante la pandemia e che, con il passare degli anni sta coinvolgendo sempre più persone.
“Ora che non guardo più le notizie, non provo più quell'ansia. Non ho più paura”, spiega al Guardian Mardette Burr, una pensionata dell'Arizona che afferma di aver smesso di guardare le notizie circa otto anni fa. “C'erano volte in cui mi svegliavo alle due o alle tre del mattino sconvolta per qualcosa che stava succedendo nel mondo su cui non avevo alcun controllo”.
Non è l'unica. Secondo l’indagine annuale del Reuters Institute for the Study of Journalism, pubblicata a giugno, quest'anno, il 40% degli intervistati di quasi 50 paesi, ha dichiarato di evitare le notizie “a volte” o “spesso”. È il dato più alto mai registrato, l’11% in più rispetto al 2017. La percentuale era ancora più alta negli Stati Uniti (il 42%) e nel Regno Unito (il 46%).
Le ragioni sono diverse: la maggior parte ha affermato di non cercare attivamente le notizie perché influivano negativamente sul loro umore; altri hanno lamentato di essere stanchi della quantità delle notizie, di essere sovraccaricati dalla copertura di guerre e conflitti con la percezione di non poter fare nulla per cambiare il corso degli eventi; altri ancora hanno indicato la sfiducia nei confronti dei media stessi tra i motivi del loro disimpegno.
Julian Burrett, un professionista del marketing britannico, ha detto sempre al Guardian di aver deciso di non informarsi più dopo la pandemia, quando aveva avvertito di sentirsi quasi dipendente dai continui aggiornamenti negativi: ha cancellato la maggior parte delle app multimediali dal suo telefono e ha iniziato a non seguire più i notiziari televisivi. L'anno scorso, Burrett ha creato una piccola comunità su Reddit, r/newsavoidance, per “valutare i pro e i contro, i consigli e i trucchi e gli strumenti per evitare le notizie”.
Non tutti decidono di non informarsi più. Altri intervistati dal Guardian hanno affermato di controllare le notizie una volta alla settimana per tenersi informati senza sentirsi sopraffatti o di dare un’occhiata solo ai titoli per evitare contraccolpi emotivi.
Alcuni studi pubblicati in questi anni suggeriscono che una maggiore esposizione alle notizie, in particolare attraverso la televisione e i social media, e soprattutto la copertura di eventi tragici o angoscianti, può avere un impatto negativo sulla salute mentale.
“Nei casi di maggiore esposizione, abbiamo osservato la segnalazione di più casi di ansia, depressione, sintomi di stress post-traumatico e di stress acuto”, ha affermato Roxane Cohen Silver, docente di psicologia, medicina e salute pubblica all'Università della California, Irvine, e autrice di diversi studi sugli effetti del consumo di informazioni su eventi tragici, dall'11 settembre e dalla pandemia di Covid-19 ai disastri climatici e alle sparatorie di massa.
Tuttavia, prosegue Silver, è possibile continuare a informarsi senza essere esposti al flusso costante di notizie, come iscriversi a newsletter o seguire alcune fonti ritenute affidabili, disattivare le notifiche sui propri smartphone, limitare la consultazione dei social media a determinate fasce orarie.
“Viviamo in un mondo in cui è possibile accedere alle notizie 24 ore su 24, 7 giorni su 7, ed essere sommersi da informazioni in ogni momento. Ma questo non significa che si debba farlo”, spiega sempre al Guardian Benjamin Toff, direttore del Minnesota Journalism Center dell'Università del Minnesota, e autore del libro “Avoiding the News”.
È importante, osserva Toff, che le persone continuino a informarsi perché è forte il rischio che un minore desiderio di informarsi si traduca poi in un maggiore disimpegno civile e politico. “Più ci si disimpegna, più ci si disconnette dalle notizie, più diventa difficile cercare di dare un senso a ciò che sta accadendo in una determinata vicenda”, spiega. E a farne le spese è la salute delle nostre democrazie.