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Perché si dovrebbe smettere di “non” parlare del post del prof. Nivarra

Nella vicenda del post presunto antisemita mi ha colpito (come al solito navigo in solitaria) la delicatezza,  il fair play, con cui il prof. Nivarra è stato trattato. Temevo che gli sarebbe toccata una sorte pari a quella dei docenti no tav o no vax licenziati in tronco. Ma per fortuna questo non è stato. A livello istituzionale si è trattato con tatto e delicatezza.

Sì delicatezza, nonostante tutto, come si vede nell’intervista rilasciata dal rettore, che sì lo giudica inopportuno e non condivisibile ma nello stesso tempo lo assolve da possibili temute conseguenze. Non ci saranno provvedimenti disciplinari. Che trovo giusto.

Quando inizialmente avevo letto i suoi post pubblici avevo pensato: è impazzito, ha deciso di farla finita! È un kamikaze!

E invece dovevo ricredermi: il suo post tiene, lui spiega, non si pente e raccoglie anche solidarietà trasversale. Buon per lui, che non è andato al tappeto.

Anche stamattina, prima di prendere questi appunti, ho letto decine di post e qualche articolo di giornale e quello che ne risulta è infatti una sconfitta, ma poco sonora, ai punti.

È proprio alla nobile arte della boxe che ho pensato: i suoi detrattori, gli avversari o ex amici del prof., portano  colpi solo con i pugni chiusi e imbottiti, indirizzandoli solo sulla parte anteriore del corpo, sopra la cintura e senza colpire la nuca, la schiena, i reni, alle spalle o sotto la cintura. Nessun colpo basso. Tutti evitano di richiamare al presente  proprio quel passaggio “controverso” della sua biografia che a Palermo è noto a tutti, almeno a tutti quelli che leggono qualche giornale e conoscono un po’ storie. Per sintesi e per onestà intellettuale lo nomino senza giri di parole: il “sistema Saguto”.

Ora il prof. Nivarra da quella vicenda giudiziaria in cui era stato coinvolto ne è venuto fuori; ma il suo nome, fino ad oggi, a quella  era , a futura memoria , collegato, immortalato. Con una battuta direi che solo una seconda morte, come in Vampire Diaries, poteva salvarlo da quella sentenza senza appello. Anche se su questo  sinceramente non penso ad improbabili strategie in base alle quali avrebbe fatto tanto rumore su questo caso per ridurre il rumore di fondo dell’altro.

Per quel che vale la mia opinione, propendo per l’intemperanza mista a incipiente senilità (argomenti che conosco in prima persona, ahimè). Quindi sgombriamo il campo da fumi e doppi giochi, riprendendo ill filo che stavo seguendo: se il prof. è stato del tutto scagionato, di quel processo che lo aveva coinvolto noto che resta veramente poco. Come se nella storia dimenticata del passato prossimo di Palermo (associato a una formula passata ormai ai libri di storia: il “sistema Saguto”) insistesse una rimozione collettiva e quotidiana.

Come potrebbe altrimenti un sistema scomparire solo con la condanna di uno sparuto manipolo di corrotti? Fino al punto che dal 2023 non c’è più stato alcun riferimento o notizia con un paio di eccezioni confinate in trafiletti in caratteri minuscoli?

Ebbene, per rinfrescarmi la memoria, questo è quanto ho trovato che fosse ancora riassuntivo e prossimo ad un concetto che non è in saggi di storia ma confinato nelle “memorie” del processo:

“Quello messo in piedi dall’ex magistrato Silvana Saguto era un “sistema”, ma non un’associazione a delinquere.” Questo si leggeva nelle motivazioni della sentenza con cui il Tribunale di Caltanissetta, presieduto da Andrea Catalano, condanna, tra gli altri, la Saguto a 8 anni sei mesi e l’amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara a 7 anni e sei mesi.

Secondo il tribunale “i reati sono stati commessi ciascuno in adesione ad un patto corruttivo, di scambio di reciproche utilità tra i concorrenti senza che mai si possa individuare l’appartenenza a un gruppo stabile e duraturo“. Sull’associazione a delinquere, dunque il tribunale non accoglieva la ricostruzione della Procura, rappresentata in aula dai Pm Claudia Pasciuti e Maurizio Bonaccorso. Perché “Ciò che manca nel caso di specie – si legge nelle motivazioni – è l’accertamento dell’esistenza di una struttura organizzativa idonea a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira. Nel caso di specie i pretesi reati fine o scopo dell’associazione hanno la caratteristica di essere commessi ciascuno di essi in adesione a un patto corruttivo di scambio di reciproche utilità tra i concorrenti, senza che mai si possa individuare l’appartenenza ad un gruppo stabile e strutturato“.

Che ironia quella della storia: mentre si definisce un sistema, nella stessa definizione lo si nega. A Palermo un sistema corruttivo con scambi e favori volti all’accumulazione di profitti non smette di non esserci!

Perciò Silvana Saguto e i suoi fedelissimi venivano condannati e la ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, era radiata dalla magistratura: perché avrebbe messo in atto una “grave distorsione – per tempi, modalità e protrazione delle condotte – delle funzioni giudiziarie da avere arrecato, oltre che danni patrimoniali ingentissimi all’erario e alle amministrazioni giudiziarie, anche un discredito gravissimo all’amministrazione della giustizia“. Il re è morto, viva il re.

E concludo con una circoscritta riflessione sul caso , che nel mio post non tocca la questione dell’antisemitismo e non si riferisce al caso individuale del prof.Nivarra: quella sentenza è stata una svolta rispetto a quelle storiche del maxiprocesso e di tangentopoli. Lì non era il pugno di dollari ma il sistema che era messo sotto accusa.  Il “sistema”, se c’è ancora, non è trattabile perché è fuori, fuori portata. Del resto, quando un disturbo è cronico, sistemico, le sue manifestazioni topiche o specifiche non rischiano di produrre solo una singolare ma duratura risposta autoimmune?

Michele Ambrogio

Fonte
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