“Grazie a tutti per la solidarietà”, abbiamo salvato casa, vite e vacanze. No lo Zingaro no! Ma si riprenderà, è resiliente. Sì, la solidarietà in Sicilia ormai serve anche per respirare. È diventato normale scrivere “stiamo bene” dopo una notte di fuoco, come se fosse un bollettino da zona di guerra. Alle 4.30 del mattino, autorizzati a rientrare in casa: che lusso, quasi come una concessione feudale. Nessun danno fisico, per fortuna. I danni morali? Ah, quelli ormai fanno parte dell’archivio sentimentale.
Ogni estate la scena surreale si ripete: il cielo che si tinge d’arancio, la montagna che si spegne, le località turistiche che si trasformano in gironi danteschi con vista mare. E ogni anno, puntuali, le stesse domande: ma com’è possibile? Perché nessuno fa nulla? E dove sono le istituzioni? Com’è possibile che un siciliano colpisca così la sua terra!
La risposta è semplice: le istituzioni ci sono e sanno, ma molto impegnate a tessere alleanze, non perdere consensi, assicurarsi il proprio futuro di potere. Sono bravissimi a giocare a nascondino. Invisibili come il fumo al buio, presenti solo nelle interviste post-incendio con tono grave e sguardo basso, come chi finge di non sapere dove ha parcheggiato la dignità.
La Sicilia brucia, ma non da oggi. Brucia da decenni. Brucia di incuria, di tagli, di abusivismo, di piani di prevenzione che esistono solo nel mondo parallelo dei comunicati stampa. E adesso brucia anche per il mostruoso e subdolo overtourism! E mentre i piromani prezzolati, veri o metaforici, agiscono indisturbati, noi ci arrampichiamo sulle scuse come su rami
secchi pronti a fare da esca.
“È l’autocombustione!”, sono quattro piromani malati! gridano ancora alcuni, con lo stesso tono usato per giustificare le apparizioni mariane o il prezzo sempre in ascesa del carburante. Qualcuno ci crede e intanto, a incenerirsi non sono solo i
boschi, ma anche le coscienze.
Siamo sinceri: la rassegnazione è diventata una forma di governo ed è contenuta nelle sue forme più subdole di propaganda. Viviamo sui social dove avvengono ormai le manipolazioni di massa. È il collante che tiene insieme una comunità che non protesta più perché ha smesso di sperare. E così, ogni estate, tra un’arancina e un incendio, si consuma il grande spettacolo della Sicilia dolente, quella che applaude ai canadair (privati) come fossero eroi mitologici, quella che ringrazia per “lo scampato pericolo” invece di pretendere il diritto a non averne affatto.
E la politica? La politica si indigna a orologeria. Oggi sì, domani in ferie. L’intervista del sindaco di turno, sudato e trafelato per l’impegno messo in campo, stila la lunga lista di ringraziamenti per tutti gli operatori che si sono adoperati indefessamente per limitare il disastro.
Nel frattempo, mentre le campagne si fanno cenere e il turismo balla sull’orlo del baratro, ecco riaffacciarsi vecchie facce, nomi già sentiti, slogan riciclati dal secolo scorso. Il futuro? Un Cuffaro, magari con un sorriso nuovo e un passato ben stirato. Non è
impossibile, anzi: è probabile.
Il dramma, però, è che tutto questo ci appare triste ma normale. Il degrado, l’emergenza, l’abbandono. Lo chiamiamo “fatalità”, lo raccontiamo come folklore. E così, a furia di anestetizzarci col dialetto e lo street food, ci brucia perfino la capacità di indignarci.
Il fuoco se ne andrà. Torneranno le piogge e le prime foglie d’autunno copriranno le ferite della terra. Ma la vera domanda è: chi spegnerà l’incendio che abbiamo dentro? La natura non protesta, si vendica e pagheremo caro!