Lo staff si raccomanda di trascrivere il nome di Oleksii Nikitin utilizzando la grafia ucraina: meglio non usare il russo, "Aleksej", la lingua che lo scrittore ucraino e russofono ha usato per scrivere il suo ultimo romanzo, Di fronte al fuoco, storia di llja Goldinov, pugile e agente segreto nell'Ucraina occupata dai nazisti. Che, a complicare ulteriormente il quadro linguistico, oltre al russo in contesti formali,e all'ucraino, usato nella vita di tutti i giorni, in privato parlava yiddish, la lingua degli ebrei dell'Europa orientale.
La questione della lingua non è mai stata neutrale in Ucraina, oggi meno che mai, con una guerra lanciata con la scusa di “proteggere” i russofoni come Nikitin che infuria da oltre tre anni. Non che ci siano rischi reali a usare la trascrizione russa, come ha fatto sulla copertina del libro l'editore italiano, Voland, ma è meglio non correre rischi, soprattutto ora che Nikitin è ancora in attesa del visto per raggiungere l'Italia dove, domenica, dialogherà con la traduttrice, Laura Pagliara, al festival Pordenonelegge [ndr, l’incontro è avvenuto il 21 settembre 2025].
Che cosa pensa di queste limitazioni ai viaggi per i maschi tra i 22 e i 60 anni che, a causa della legge marziale, non possono lasciare l'Ucraina?
Penso che qualche tipo di limitazione sia necessaria in tempo di guerra, ma come al solito le autorità prendono strane decisioni. Lasciare il paese per me ora è molto più difficile che nel 2022. Ma dobbiamo dire che qualsiasi altra persona al mio posto che avesse davvero la volontà di lasciare il paese per andare in Europa avrebbe trovato il modo.
Da dove arriva la sensibilitá per la questione linguistica in Ucraina?
Da molto lontano. Circa 100 anni fa l'Ucraina era un paese di molte culture. Ce n'erano quattro grandi: polacca, ebraica, ucraina e russa, a cui si aggiungevano tatari e tedeschi. All'epoca, la cultura polacca era probabilmente quella più elevata, perché era una cultura molto ricca e nobile. Due di queste quattro - polacca ed ebraica - scomparvero durante i primi 50 anni del XX secolo. La scomparsa della cultura polacca fu il risultato della guerra sovietico-polacca del 1919-1921. Dopo quella guerra non esisteva più una letteratura polacca in Ucraina, e i polacchi rimasti si sono ucrainizzati o russificati. Ora possiamo dire che i polacchi furono i primi repressi nell'Unione Sovietica. La seconda cultura scomparire fu quella ebraica. Questa sparizione fu il risultato della Seconda guerra mondiale: i tedeschi uccidevano gli ebrei e Stalin uccise gli scrittori. Quindi due culture si sono dissolte, e rimasero solo la russa e l'ucraina. La situazione era ancora molto particolare: nel primo anno dell'indipendenza dell'Ucraina abbiamo visto che la cultura russofona si sviluppò come mai prima. Negli anni Dieci c'erano tantissimi scrittori e poeti che scrivevano in russo, un numero molto più grande che in epoca sovietica o presovietica.
Poi, però, Putin ha annesso la Crimea e inviato truppe nel Donbass. In passato lei ha definito il presidente russo come il peggior nemico dei russofoni ucraini. Perché?
È vero. La situazione è paradossale. Dal 2014, quando la Russia ha dichiarato di voler difendere i russofoni in Ucraina, molti di loro hanno smesso di usare il russo. Sui social media si vedevano messaggi come: ‘Da oggi non parlerò più russo, non scriverò più in russo. Non ho bisogno della vostra difesa’. Questo è stato il risultato diretto della politica di espansione di Vladimir Putin. Quella di proteggere i russofoni era, ovviamente, una scusa. Putin non distingue tra verità e menzogna. Dice solo ciò che gli serve oggi per raggiungere i suoi obiettivi, e domani dirà l'opposto per raggiungere gli stessi obiettivi. Tutto quello che dice è propaganda, e anche quando noi ripetiamo le sue parole, in un certo senso contribuiamo a diffonderla.
Putin ha usato la lingua come strumento politico. Secondo lei, in Ucraina c'è qualcun altro che fa lo stesso?
Probabilmente sì, ma tutto dipende dal contesto. La differenza essenziale è che, se in Ucraina non esistesse più una cultura russa, questa sopravvivrebbe comunque in Russia, nella diaspora degli Stati Uniti e del Canada. Se invece sparisse la cultura ucraina in Ucraina sparirebbe del tutto. Per questo bisogna stare molto attenti quando si discute della lingua: la posta in gioco per l'ucraino è molto più alta.
Nell'esercito ucraino ci sono moltissimi russofoni. La questione linguistica è stata esagerata ad arte?
Certo. A Kyiv, ancora oggi, almeno un quarto delle conversazioni in strada avviene in russo. È impossibile vietare a qualcuno di parlare una lingua nella vita privata. Un conto però è la vita quotidiana, un altro è la cultura. L'attenzione che la Russia ha avuto in Europa non è stata solo il risultato della sua cultura, ma di una precisa politica di potere: la cultura russa è stata usata come strumento di soft power. Oggi la Russia cerca di distruggere la civiltà ucraina: la lingua, la letteratura, la memoria storica. Per questo chiediamo che l'Europa guardi alla cultura ucraina con più attenzione.
Qual è la salute della cultura ucraina?
È viva e molto attiva. Ci sono nuovi libri, nuovi autori, nuove mostre ed eventi letterari. A volte, a Kiev, nello stesso giorno ci sono tre o quattro eventi importanti e non so quale scegliere. La scena culturale è molto più vivace di 30 o 40 anni fa.
Nel suo ultimo libro racconta la storia di un pugile ebreo degli anni Quaranta. Come abbiamo visto, la cultura ebraica per secoli ha fatto parte integrante della cultura ucraina, in città come Odessa metà della popolazione era di religione ebraica. Ma dopo la guerra la situazione è cambiata. Qual è il posto della cultura ebraica nell'Ucraina di oggi?
Non esiste più in Ucraina una letteratura contemporanea in lingua yiddish o ebraica. Però ci sono traduzioni e nuove edizioni di testi di autori ebrei che hanno lavorato tra il XIX e il XX secolo. In questo senso la memoria della cultura ebraica è tornata in Ucraina, anche se non la cultura viva com'era allora.
In Ucraina c'è l'impressione che la "derussificazione" a volte finisca anche per cancellare la memoria ebraica poiché molti ebrei ucraini parlavano russo. A Odessa ci sono polemiche per il desiderio di parte delle autorità di cancellare la memoria di scrittori ebrei come Isaac Babel. Si tratta di un rischio reale?
Non parlerei di "degiudaizzazione", ma è vero che il processo di derussificazione è doloroso, soprattutto a Odessa. La città non riesce a immaginarsi senza il mondo russo, e ancora meno senza la Russia che oggi la bombarda quasi ogni notte. È un trauma enorme, e le persone cercano di fare ciò che possono per reagire.
Che tipo di letteratura pensa si scriverà in Ucraina dopo questa guerra?
Personalmente voglio scrivere un romanzo proprio su questo tema: il futuro della cultura russa in Ucraina, tra passato e prospettive.
In che lingua lo scriverà?
Finora ho scritto in russo, perché la mia padronanza del russo è migliore. Ma sono bilingue e ho usato l'ucraino in saggi e altri articoli che ho scritto. Forse sarà una sfida provare a scrivere in ucraino. Vedremo.
*Articolo originale su Domani, pubblicato su Valigia Blu per gentile concessione del direttore Emiliano Fittipaldi
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