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Blocco del porto di Trieste contro le armi per Israele e per l’applicazione del Trattato di pace. La mobilitazione di USB

Nei prossimi giorni, Trieste diventerà un epicentro della protesta sociale: sindacati, movimenti, associazioni e partiti politici si uniranno per sostenere la Sumud Flotilla globale e chiedere un Trattato di pace reale, puntando a fermare il traffico di armi verso Israele.

L’USB ha iniziato venerdì con una mobilitazione presso Ronchi dei Legionari, da cui è partito un corteo verso la sede di Leonardo, azienda di armi coinvolta in accordi con imprese israeliane e nella fornitura di sistemi considerati utili all’esercito israeliano per i bombardamenti su Gaza. Fonti affidabili segnalano che Leonardo ha firmato partnership con l’Israeli Innovation Authority e l’Università di Tel Aviv (Ramot) nell’ambito dell’innovazione, un terreno che includerebbe tecnologie con applicazioni militari. Secondo Greenpeace Italia, Leonardo è coinvolta in esportazioni dal 2019 al 2023 verso Israele che includono elicotteri leggeri (AW119 Koala) e cannoni navali, oltre al contributo attraverso radar e componenti elettronici.
Leonardo ha affermato che non sono state concesse nuove autorizzazioni all’export di armi verso Israele dopo il 7 ottobre (data che ha segnato l’inizio degli attuali eventi in Gaza); ma organizzazioni per la trasparenza chiedono chiarimenti su quali siano effettivamente i materiali implicati.

Nel mirino anche la joint venture con la turca Baykar, che ha dato impulso alla produzione di droni, veicoli senza pilota e sistemi avanzati per il puntamento. Tuttavia, non tutte le fonti confermano che Leonardo produca proprio quei droni specifici usati sulla Striscia di Gaza; ciò che è certo è che l’azienda è tra i player del complesso militare-industriale con relazioni economiche/inventariali verso
Ma è il futuro del porto franco di Trieste a concentrarsi come tema centrale della protesta. Il corteo partirà da Piazza Sant’Antonio per rivendicare che venga finalmente applicato il Trattato di pace del 1947, che prevedeva Trieste come “zona neutrale” (Stato di zona neutrale). Si tratta di una norma che, secondo gli organizzatori, è rimasta largamente disattesa. Oggi si denunciano violazioni gravi: trasformazione dello scalo in una piattaforma per il transito di merci belliche, e un coinvolgimento sempre più evidente nella logica strategica NATO.

Preoccupa i lavoratori portuali anche la ricaduta che avrà su di loro il progetto IMEC (“corridor network” infrastrutturale che collegherebbe India, Medio Oriente e Europa), che farebbe passare merci — anche militari — attraverso porti come Haifa (Israele) e tramite Trieste come snodo europeo. Fonti istituzionali confermano infatti che Trieste è candidata come porto europeo del corridoio IMEC, in virtù della sua posizione strategica e delle infrastrutture logistiche della regione.

Il 15 settembre dunque è previsto uno sciopero in porto, con presidio dei lavoratori che si rifiuteranno di movimentare merci con destinazione o origine israeliana. È una modalità di protesta che punta concretamente a bloccare la catena logistica.
Questa mobilitazione non è isolata: si inserisce in una campagna nazionale dell’USB, già attiva in porti come Genova e Livorno. Il motto è chiaro: “Facciamo noi l’embargo se non lo fa lo Stato.” Giovanni Ceraolo, coordinatore nazionale porti USB, annuncia che sono in corso contatti con delegazioni europee per estendere queste azioni di boicottaggio.

Ruben Cernelli, portuale triestino, sintetizza l’obiettivo: “Vogliamo riuscire a chiudere completamente con la guerra e con la possibilità del passaggio di merci belliche nei porti”. La manifestazione testimonia la forza del dissenso collettivo. A Trieste nasce un fronte di resistenza che non si limita a parole, ma agisce con concretezza per spezzare la catena che va dalle fabbriche ai moli adriatici e sostiene le popolazioni oppresse. La protesta vale non solo come gesto simbolico, ma come azione politica incisiva: mette sotto accusa chi beneficia, direttamente o indirettamente, del commercio delle armi, e chiede trasparenza, responsabilità, indipendenza del porto e rispetto del diritto internazionale. Il porto triestino sta diventando sempre di più uno snodo logistico essenziale per i fronti bellici.
Il diritto internazionale è chiarissimo a riguardo e il Trattato di Pace, all’Allegato VI, Articolo 3 – tuttora vigente – stabilisce con estrema chiarezza la neutralità e la smilitarizzazione del Territorio Libero e del Porto Franco Internazionale di Trieste.

“Il nostro Porto non può e non deve divenire parte attiva di qualsiasi conflitto in corso, e i triestini vanno informati tempestivamente su ogni traffico di materiale bellico.
Chiediamo piena trasparenza su questo genere di traffici, spesso opachi quando non proprio secretati, i venti di guerra si faranno sempre più forti, anche qui a Trieste”, affermano i lavoratori dell’USB.

Il porto di Trieste, pur chiudendo il primo semestre 2025 sostanzialmente stabile in termini di tonnellaggio movimentato (–0,21%) rispetto al 2024, sta crescendo nei collegamenti Ro-Ro e nei treni con la Germania, elemento che testimonia la sua importanza logistica nell’Europa centro-orientale e nell’asse commerciale verso Est e Medio Oriente.
Questa protesta assume quindi un valore doppio: internazionale, perché si lega a questioni umanitarie e geopolitiche ben oltre i confini locali, e concreto, perché tenta di incidere sulle strutture materiali del potere — porti, traffici, industrie.

Laura Tussi

Fonte
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