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Il caso Epstein manda in crisi Trump e la sua propaganda

“State facendo un dramma di una cosa poco importante”. Così Donald Trump ha risposto ai giornalisti in Scozia, che chiedevano novità sull’interrogatorio che il vice-procuratore Todd Blanche ha fatto a Ghislaine Maxwell, ex compagna e complice di Jeffrey Epstein. Sono passate ormai tre settimane da quando la segretaria alla Giustizia, Pam Bondi, ha rilasciato il memo in cui definiva un suicidio la morte di Epstein in carcere e confermava che non avrebbe più rilasciato nuovi documenti sul finanziere pedofilo, e da quando gli stessi sostenitori di Trump hanno iniziato a incalzarlo sulla vicenda, come abbiamo raccontato su Valigia Blu. Le notizie sul caso, però, continuano a riempire i social network e le prime pagine dei giornali. Nonostante Trump provi in ogni modo a cambiare discorso e a porre l’attenzione dei cittadini su altri temi, il caso Epstein perseguita incessantemente l’amministrazione.

Dopo le rivelazioni del Wall Street Journal, secondo cui il nome di Trump, insieme a molti altri, sarebbe presente tra i documenti sul caso Epstein in possesso del governo, il presidente ha provato a cambiare la narrazione molteplici volte, con scarsi risultati. Il fatto che Trump ed Epstein fossero stati amici negli anni ’90 è una rivelazione che non sorprende nessuno: il New York Times ha ricostruito i circa dieci anni in cui i due si frequentavano da vicini di casa a Palm Beach e il litigio che li ha allontanati. La disputa verteva sull’acquisto di una proprietà, che vide Trump vincitore, sull’estromissione di Epstein dal club esclusivo di Mar-a-Lago perché si era comportato in modo inappropriato con la figlia di un altro membro e avrebbe, a detta del presidente, “rubato alcune ragazze giovani che lavoravano da me”. Il riferimento potrebbe essere a Virginia Giuffre, prima lavoratrice per conto di Trump e poi costretta da Epstein a prostituirsi. Giuffre è morta suicida quest’anno.

La nuova teoria cospirazionista con cui Trump ha cercato di riprendere il controllo del ciclo delle notizie è quella secondo cui l’inchiesta del cosiddetto Russiagate, in base alla quale la Russia ha cercato di interferire a favore di Trump alle elezioni presidenziali del 2016, sarebbe in realtà una truffa architettata dall’allora presidente Obama per screditarlo prima ancora dell’inizio della sua presidenza. A proporre questa teoria a Trump è stata la sua direttrice dell’intelligence, Tulsi Gabbard, che ha affermato la settimana scorsa che Obama, insieme al suo team, avrebbe avallato l’idea che la Russia avesse interferito nelle elezioni, nonostante sapesse di essere falso, in quello che per Trump si configurerebbe come alto tradimento. Va messo in chiaro che Gabbard non ha rilasciato alcun elemento reale che corrobori le sue affermazioni, e il fatto che queste interferenze ci siano state è provato da una commissione d’inchiesta bipartisan del Congresso, in cui era presente anche Marco Rubio, oggi Segretario di Stato. La motivazione che spinge Gabbard è rientrare nelle grazie della presidenza, dopo esserne uscita nei mesi precedenti: da sempre isolazionista e contraria a ogni intervento all’estero degli Stati Uniti, non era stata inserita da Trump tra le persone che lo consigliavano durante l’escalation bellica tra Israele e Iran, anche perché aveva testimoniato a marzo di fronte al Congresso affermando che l’Iran non stava costruendo armi atomiche, dichiarazione che Trump stesso ha definito “sbagliata”.

La teoria che vede Obama parte di una cospirazione per screditare Trump piace molto al Presidente statunitense. Nei giorni scorsi, nel tentativo di renderla virale, ha pubblicato sui suoi profili ufficiali un video fatto con l’intelligenza artificiale in cui Obama veniva arrestato da Trump stesso all’interno dello Studio Ovale e un fotomontaggio che vede Obama scappare in autostrada da Trump e Vance che lo inseguono, ripreso dalle immagini televisive della fuga del giocatore di football OJ Simpson dalla polizia nel 1994. Inoltre, ha dichiarato che Obama “gli deve molto”, dato che, per via della sentenza della Corte Suprema che dà ai presidenti un’immunità quasi totale per gli atti compiuti in carica, non potrebbe essere processato.

Inoltre, Trump ha cercato di postare molti messaggi sui social per distogliere l’attenzione da Epstein, nel tentativo che uno di questi ottenesse le prime pagine: ha richiesto che la Coca-Cola producesse una versione della bibita con zucchero di canna, perché secondo lui sarebbe più buona, e l’azienda ha acconsentito. Inoltre, ha minacciato i Washington Commanders, la squadra di football della capitale, che non darà il permesso per la costruzione di un nuovo stadio, progetto di cui si parla da anni, se non torneranno al loro vecchio nome, Washington Redskins, abbandonato perché ritenuto offensivo nei confronti dei nativi americani. In un’altra teoria strampalata che riguarda i principali vip democratici, ha invece affermato che Beyoncè, Oprah Winfrey e il reverendo Al Sharpton sarebbero stati pagati da Kamala Harris per darle l’endorsement alle ultime elezioni. Nulla di tutto questo ha però spostato l’attenzione del pubblico dal caso Epstein, e in vari eccessi di rabbia Trump ha incolpato direttamente i suoi sostenitori, scrivendo che credono alle falsità dei democratici.

Nella narrazione di Trump, dunque, anche le nuove rivelazioni sul caso Epstein non sarebbero altro che una caccia alle streghe nei suoi confronti, e per questo l’obiettivo da attaccare è tornato a essere il sistema mediatico che continua a parlarne. A finire nel mirino è stato il Wall Street Journal, che ha pubblicato le più importanti rivelazioni esclusive, citato in giudizio per la cifra record di 10 miliardi di dollari. Proprietario del quotidiano è il magnate australiano Rupert Murdoch, conservatore e sostenitore dei Repubblicani, che si è rifiutato di insabbiare la storia che la sua redazione aveva scoperto. Il suo comportamento è ambivalente: sul quotidiano Epstein compare in prima pagina, mentre su Fox News, la rete televisiva conservatrice sempre di proprietà di Murdoch e molto apprezzata da Trump, Epstein non viene mai citato. Negli ambienti conservatori si ritiene che Murdoch e Trump non abbiano un buon rapporto: d’altronde, quando durante la notte elettorale del 2020 Trump cercò di propagare la bugia secondo cui Biden stava rubando le elezioni, Fox News assegnò per prima tra tutte le reti l’Arizona a Biden, infervorando la Casa Bianca. Inoltre, si dice che Murdoch abbia cercato per anni un nuovo volto repubblicano da sostituire a Trump: la scelta sarebbe ricaduta su Ron Desantis, che è stato però sconfitto senza appello dallo stesso Trump alle scorse primarie. Il presidente ha richiesto con urgenza una deposizione dello stesso Murdoch per questa causa civile sul caso Epstein, ma il magnate non sembra, a oggi, intenzionato a cedere.

Nel frattempo, la Camera è stata mandata in vacanza in anticipo: questo perché alcuni Repubblicani avevano intenzione di votare insieme ai Democratici per imporre alla Casa Bianca di rilasciare tutti i file su Epstein in loro possesso, e lo speaker Mike Johnson ha deciso di anticipare la chiusura per evitare che il voto avesse luogo. Chiaramente, il suo obiettivo è che al rientro a settembre il clamore su Epstein si sarà sgonfiato, e i temi all’ordine del giorno saranno altri. Inoltre, Norm Eisen, responsabile etico della presidenza Obama e sostenitore della totale trasparenza governativa verso i cittadini, ha fatto una richiesta FOIA (Freedom of Information Act, utilizzato dai cittadini per poter vedere materiali della pubblica amministrazione) per poter visionare i documenti in mano al governo riguardanti il caso Epstein.

Sembra, quindi, che lo scandalo non si fermerà a breve, nonostante tutti i tentativi della Casa Bianca di cambiare discorso: d’altronde, Trump ha modificato in corsa anche il modo in cui parla dei documenti in suo possesso su Epstein. A volte sono carte senza valore, altre documenti falsi fabbricati ad arte da Obama e Biden per screditarlo. Sono affermazioni evidentemente in contraddizione tra loro: questi documenti possono essere artificialmente falsi o autentici ma di scarsa importanza, ma non entrambe le cose. Quello che è certo è che finora Trump ha potuto dire sempre ogni cosa e il suo contrario, sostenuto dai suoi supporter: questa volta, però, le sue rassicurazioni non sembrano bastare per mettere tutto a tacere.

Immagine in anteprima via cato.org

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