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La difesa dei beni comuni può e deve nascere dal basso: il caso virtuoso delle “Giardiniere” di Milano

Chi oggi lotta a Milano per la Piazza d’Armi e contro le Residenze Lac non difende solo un bosco o un prato, ma l’idea stessa di democrazia urbana

Le Giardiniere di Piazza D’Armi”: il nome è già un manifesto politico e sociale, richiama il lato nascosto del Risorgimento milanese, fatto anche da donne attive, che si ritrovavano nei giardini e partecipavano ai moti carbonari per la liberazione di Milano dagli Austriaci. Oggi quello spirito si rinnova nell’attivismo di un gruppo di cittadine che curano la propria città, Milano, come si fa con un giardino, per salvaguardarne il patrimonio ambientale.

Le Giardiniere nascono dieci anni fa per difendere la Piazza d’Armi: un’area di 42 ettari a nord-ovest di Milano, adibita agli inizi del ‘900 a cittadella militare (vi sorgevano una fabbrica di dirigibili e il primo aerodromo, la Caserma Santa Barbara e i magazzini militari) e utilizzata fino agli anni ’80 per esercitazioni con carri armati. In seguito, grazie alla dismissione, dopo vent’anni di abbandono l’area si è parzialmente rinaturalizzata, ridiventando un gioiello a livello floro-faunistico: è nato addirittura un bosco spontaneo (il bosco dell’Averla) e sono presenti vaste radure, zone umide, frutteti (che ospitano antiche varietà di piante da frutto, in gran parte portate qui dagli emigrati dal Sud Italia), orti urbani e attività di apicoltura.

Dopo la cessione al demanio, l’area è stata concessa a una società del Ministero dell’Economia e delle Finanze, incaricata del recupero e della valorizzazione, che significa soprattutto sviluppo immobiliare…

La mobilitazione delle Giardiniere è riuscita a bloccare gran parte del progetto previsto, portando all’istituzione di vincoli sull’area e sugli immobili presenti: nell’ottobre 2019, il MIBACT ha imposto un vincolo su circa 32 ettari, vietando nuove costruzioni e imponendo vincoli paesaggistici e visivi. Successivamente, nel febbraio 2020, il PGT ha identificato l’intera area come parco urbano, destinando il 75% (circa 31,5 ettari) a verde e limitando i permessi edificatori a 145.000 mq di SLP.

In Piazza d’Armi la speculazione immobiliare non è stata totalmente eliminata, ma notevolmente ridotta e, soprattutto, sono state prescritte e adottate regole e vincoli ai quali gli operatori dovranno attenersi nel recupero degli immobili.

Così, da oltre dieci anni, le Giardiniere sono le protagoniste di azioni di politicità sociale: si muovono nel contesto sociale della città assumendo il territorio, l’ambiente, il paesaggio di Milano come patrimonio collettivo da difendere. E questo le avvicina all’ambito di interesse e coinvolgimento in cui opera il Forum Salviamo il Paesaggio-Difendiamo i territori.

Questa vicenda non è però isolata e si inserisce nel quadro più ampio della trasformazione urbana spinta dal modello Milano, che si regge su una narrativa basata su parole mistificatrici, quali “innovazione”, “rigenerazione”, “valorizzazione immobiliare”, in contrasto con una realtà sciaguratamente ispirata al consumo di suolo, alle nuove costruzioni, alla gentrificazione, alla negazione dei bisogni reali dei cittadini.

E proprio a Milano si susseguono in questi giorni le famose vicende immobiliari oggetto di iniziative giudiziarie, che riempiono le pagine dei giornali e occupano spazio sui media,  in cui sono coinvolti, insieme a funzionari tecnici del comune di Milano,  progettisti illustri e gli stessi amministratori (dal sindaco Sala all’assessore alla Rigenerazione Urbana Tancredi), a causa delle procedure disinvolte con cui da oltre dieci anni si autorizzano torri alte decine di piani al posto di piccole costruzioni oppure palazzi dentro cortili pre-esistenti, con semplici permessi di costruire e SCIA senza alcun Piano Attuativo e soggette a oneri molto ridotti rispetto a quelli legittimamente dovuti.

Fra i numerosi cantieri al centro delle indagini anche quello delle Residenze Lac, al Parco delle Cave in zona Baggio dove, al posto di un immobile di due piani, è sorto un cantiere con tre torri (rispettivamente di 9, 10 e 13 piani, per un altezza variabile da 27 a 43 m), oggetto di un esposto inoltrato dalle Giardiniere alla Procura di Milano, le cui indagini e accertamenti hanno evidenziato l’utilizzo improprio della SCIA, l’assenza di servizi e il contesto ambientale ignorato, determinando così gravi danni ad un ambito di “interesse ecologico” non solo per residenti ma anche per la compromissione al bene comune e al paesaggio.

Nel luglio del 2024 il cantiere è stato sequestrato e tale misura è stata confermata nello scorso maggio dalla Corte di Cassazione, che ha respinto il ricorso presentato dai costruttori di Nexity Parco delle Cave srl. Le motivazioni della sentenza, pubblicate in questi giorni, riguardano questo caso ma contengono elementi giuridici e orientamenti interpretativi estendibili ad altre situazioni oggetto di indagine. In particolare, esse ribadiscono che «Non possono essere realizzati edifici con volumi ed altezze superiori» a determinati limiti «se non previa approvazione di apposito piano particolareggiato o lottizzazione convenzionata» e che c’è «un interesse pubblico all’organizzazione del territorio». Altri elementi riguardano gli «indebiti vantaggi tributari ai danni dell’erario» e la monetizzazione degli standard urbanistici «fortemente» sottostimata.

Viene pure smontata la narrativa sulle “famiglie sospese” per cui tutti quei cittadini che (più o meno incautamente) hanno comprato case negli stabili o nei cantieri bloccati sono presentati come vittime, mentre chi denuncia gli abusi e fa bloccare i cantieri è visto come un ostacolo allo sviluppo.

Per i giudici “…è solo apparente il contrasto tra l’interesse collettivo al ripristino della legalità urbanistica violata e quello all’abitazione. La pianificazione urbanistica”, spiegano, “risponde non semplicemente a una mera esigenza di prevalenza statale nella gestione del territorio, bensì a un interesse pubblico all’organizzazione del territorio, intesa non in sé, bensì quale strumento per assicurare la migliore crescita e sviluppo dei consociati”.

E, “in tale quadro, la tutela di autonomi diritti personali, quale quello dell’abitazione (per giunta nella struttura abusiva), non può ricercarsi in contrapposizione e violazione di quegli strumenti normativi (id est la disciplina dell’urbanistica, dell’edilizia e, più in generale, dell’ambiente) che rispetto ai primi sono, piuttosto, serventi, nel senso della loro strumentale necessità per lo sviluppo migliore degli altri”.

E dunque le vere vittime siamo tutti noi cittadini, privati dei beni comuni.

La maggior parte dei sequestri di cantieri finora effettuati nasce, infatti, grazie alle denunce arrivate da cittadini e comitati, che si vedono sottrarre beni comuni come il suolo e il paesaggio e, soprattutto, il proprio diritto alla città pubblica.

Lo sviluppo immobiliare milanese, legato a un ristretto numero di operatori e di fondi esteri, risponde infatti solo a logiche di rendita finanziaria, che fanno esplodere i prezzi di acquisto (ben oltre 10.000 euro al mq) e non tengono conto delle esigenze della maggior parte della popolazione, fra cui lavoratori e studenti, che ha assoluto bisogno di case a prezzi accessibili. Inoltre, i mancati oneri comportano la perdita della possibilità di dotare la città di quei servizi essenziali (scuole, trasporto pubblico, ambulatori) proprio in quelle zone dove l’immissione di nuovi residenti fa crescere le esigenze di servizi.

Nel quadro di pratiche urbanistiche fuori dalle regole che il Sistema Milano pare aver istituzionalizzato da oltre un decennio, le Giardiniere tentano di riportare la legalità in un contesto politico e amministrativo che ha visto e vede la subordinazione degli interessi generali a quelli privati, in particolare immobiliari.

In tale ottica, le Giardiniere e alcuni Comitati hanno scelto di costituirsi parte civile, con la possibilità di chiedere in futuro un risarcimento dei danni fin qui subiti dalla collettività: non per ostilità verso lo sviluppo, ma per tutelare la funzione pubblica e sociale dei beni comuni. La domanda che pongono è chiara: quale danno ambientale è stato prodotto? Quale danno collettivo per la città e i suoi abitanti?

È importante sottolineare che la richiesta danni punta al totale ripristino della legalità e dello stato originario, all’abbattimento delle volumetrie illegittime e all’esatta individuazione delle responsabilità penali. Non a risarcimenti monetari o, peggio ancora, a qualche tipo di compensazione (siamo, ahimé, abituati alle panchine, piste ciclabili, parcheggi e aiuole residuali spacciate di interesse pubblico).

La vicenda della Piazza d’Armi e delle residenze Lac dimostra che il paesaggio, l’ambiente e il diritto alla città non sono negoziabili. Non si tratta solo di salvare uno spazio verde o di evitare un’irregolarità amministrativa: ogni abuso edilizio priva le comunità di un pezzo di futuro e sottrae a Milano ciò che la rende vivibile: natura, memoria, relazioni, paesaggio. Perché la città appartiene a chi la vive, non a chi la sfrutta.

Chi oggi lotta per la Piazza d’Armi e contro le residenze Lac non difende solo un bosco o un prato: difende l’idea stessa di democrazia urbana.

Milano può scegliere: continuare sulla strada della speculazione o ascoltare chi, come Le Giardiniere, coltiva il futuro.

Per sostenere Le Giardiniere, partecipare a iniziative e presidi, diffondere consapevolezza e, soprattutto, aderire alla costituzione di parte civile, scrivere a: legiardinieremilano@gmail.com.

Ringraziamo le Giardiniere: Licia Martelli, Sonia Occhipinti, Valeria Bacchelli, Evi ParissentiMaria Castiglioni per le preziose testimonianze e il dettagliato resoconto delle vicende di Piazza d’Armi e delle residenze Lac

Nota

Il Forum nazionale Salviamo il Paesaggio – Difendiamo i Territori ha seguito con grande attenzione le vicende dell’urbanistica milanese, a partire dal tentativo (poi ritirato) di introdurre il disegno di legge cosiddetto salvaMilano, concepito per legalizzare le numerose violazioni urbanistiche milanesi, ma che avrebbe avuto ricadute devastanti su tutta l’Italia. In quell’occasione, il nostro Paolo Berdini è stato ascoltato in audizione al Senato in rappresentanza del Forum, esponendo con chiarezza le gravi conseguenze del provvedimento.

Il Forum ha successivamente aderito alla rete Milano Città Pubblica, che riunisce l’attivismo civico e politico che rivendica per Milano la preminenza dell’interesse pubblico nella gestione del territorio.

In questo contesto, la vicenda giudiziaria delle residenze Lac è emblematica e costituisce un caso di riferimento per la riflessione sulle regole urbanistiche, sui diritti ambientali e sulla funzione pubblica del paesaggio e del suolo. Proprio per questo, il Forum ha scelto di supportare i comitati locali nelle iniziative giudiziarie in corso, per contribuire a riaffermare, anche nei tribunali, il principio di legalità nella pianificazione urbanistica e la tutela dei beni comuni.

Forum Salviamo il Paesaggio

Fonte
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