Amnesty International e Human Rights Watch hanno denunciato che, dopo le ostilità di giugno con Israele, le autorità iraniane stanno portando avanti una terrificante campagna di repressione con la scusa della sicurezza nazionale.
Dal 13 giugno sono state arrestate oltre 20.000 persone tra le quali dissidenti, difensori dei diritti umani, giornalisti, utenti dei social media, familiari di persone uccise nel corso delle proteste e cittadini stranieri. Tra le comunità prese di mira ci sono gli afgani, i beluci e i curdi, così come minoranze religiose quali i ba’hai, i cristiani e gli ebrei.
“Mentre le persone cercano di riprendersi dopo gli effetti devastanti del conflitto tra Iran e Israele, le autorità di Teheran stanno portando avanti una terrificante repressione, tra misure di sorveglianza di massa rafforzate, arresti di massa e incitamento alla discriminazione, all’odio e alla violenza contro le minoranze”, ha dichiarato Saha Hashash, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.
Le forze di sicurezza hanno ucciso persone, tra le quali una bambina di tre anni, ai posti di blocco. Funzionari dello stato e organi di stampa governativi hanno chiesto l’accelerazione delle esecuzioni di condanne a morte, in alcuni casi invocando la ripetizione dei massacri delle prigioni del 1988, quando alti dirigenti dello stato ordinarono le esecuzioni sommarie ed extragiudiziali di migliaia di detenuti politici. Almeno nove persone sono state messe a morte per reati di natura politica e/o accuse di spionaggio per Israele e una proposta di legge per ampliare l’applicazione della pena di morte è in attesa dell’approvazione da parte del parlamento.
“Da giugno la situazione dei diritti umani in Iran è precipitata in una crisi ancora più profonda. Le autorità prendono di mira e usano come capri espiatori dissidenti e appartenenti alle minoranze etniche per un conflitto col quale non hanno avuto niente a che fare. Il pugno di ferro contro una popolazione che sta ancora facendo i conti con le conseguenze della guerra è il segnale che sta incombendo una catastrofe dei diritti umani, soprattutto contro i gruppi più marginalizzati e perseguitati del paese”, ha aggiunto Michael Page, vicedirettore di Human Rights Watch per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.
Le due organizzazioni per i diritti umani hanno sollecitato le autorità iraniane a istituire immediatamente una moratoria sulle esecuzioni in vista dell’abolizione della pena di morte, a scarcerare tutte le persone imprigionate arbitrariamente e ad assicurare che tutte le altre siano protette dalle sparizioni forzate, dai maltrattamenti e dalla tortura. Gli altri stati dovranno svolgere indagini e processi su crimini di diritto internazionale commessi dalle autorità iraniane, applicando il principio della giurisdizione universale.
Arresti di massa e allarmanti richieste di accelerare processi ed esecuzioni
Dopo l’escalation delle ostilità con Israele, i servizi d’intelligence e le forze di sicurezza dell’Iran hanno iniziato a eseguire arresti di massa con la scusa della sicurezza nazionale.
Il 22 luglio Gholamhossein Mohseni Eje’i, il capo del potere giudiziario, ha annunciato che “coloro che avevano collaborato con Israele” sarebbero andati incontro a dure punizioni, tra cui la pena di morte. Il 12 agosto Saeed Montazer al-Mahdi, portavoce delle forze di polizia, ha annunciato che a quella data erano state arrestate circa 21.000 persone. Alti funzionari dello stato hanno chiesto l’accelerazione dei processi e delle esecuzioni per il “sostegno” o “la collaborazione” con stati nemici. I mezzi d’informazione statali hanno invocato la ripetizione dei massacri delle prigioni del 1988: ad esempio un articolo di “Fars News” ha scritto che “gli elementi mercenari meritano esecuzioni come quelle del 1988”.
Il potere giudiziario ha anche annunciato la formazione di tribunali speciali incaricati di processare “traditori e mercenari”. Il parlamento ha assegnato una corsia preferenziale a una legislazione d’emergenza, in attesa dell’approvazione definitiva da parte del Consiglio dei guardiani, che amplierebbe l’applicazione della pena di morte a reati definiti in modo vago contro la sicurezza nazionale, come “spionaggio” e “cooperazione con governi ostili”.
Le persone già in carcere corrono grandi rischi di subire sparizioni, maltrattamenti, torture, processi iniqui ed esecuzioni arbitrarie.
L’intensificazione della repressione contro le minoranze etniche
Le autorità iraniane stanno inoltre usando il clima post-conflitto come giustificazione per colpire ulteriormente le già oppresse minoranze etniche.
Il 1° luglio, nella provincia del Sistan e Belucistan, le forze di sicurezza hanno ucciso illegalmente due donne beluce durante un’irruzione nel villaggio di Gounich. Una fonte ben informata ha riferito ad Amnesty International che gli agenti hanno esploso pallini metallici e proiettili veri contro un gruppo di donne, uccidendo all’istante Khan Bibi Bamri e ferendo Lali Bamri, poi deceduta in ospedale. Altre dieci donne sono rimaste ferite.
Gli agenti hanno fornito giustificazioni contrastanti, parlando della presenza di “un gruppo terrorista”, poi di “afgani” e infine di “Israele”. Video verificati da Amnesty International mostrano guardie rivoluzionarie puntare le armi contro un gruppo di donne; poi si sentono ripetuti colpi d’arma da fuoco.
Il 25 giugno gli organi d’informazione statali hanno annunciato l’arresto di oltre 700 persone per collaborazione con Israele, facendo riferimento alle province di Kermanshah e del Khuzestan, dove vivono minoranze etniche come i curdi e gli arabi ahwazi. Secondo la Rete per i diritti umani del Kurdistan, alla data del 24 luglio, erano state arrestate almeno 330 persone appartenenti alla minoranza curda.
Le autorità hanno anche condotto una campagna di arresti di massa e di espulsioni contro persone provenienti dall’Afghanistan, soggette a stigmatizzazione da parte degli organi di stampa statali.
La repressione contro baha’i, cristiani ed ebrei
Le autorità hanno usato il contesto sicuritario per intensificare la repressione contro le minoranze religiose.
Presi particolarmente di mira sono stati i fedeli baha’i, grazie a una campagna propagandistica coordinata di incitamento all’odio, alla violenza e alla discriminazione che li descriveva falsamente come spie e collaboratori di Israele. Il 18 giugno “Raja News”, organo d’informazione affiliato ai guardiani della rivoluzione, ha accusato i baha’i di “agire per conto di Israele ed esserne spie”. In una dichiarazione diffusa il 28 luglio il ministero dell’Intelligence ha parlato di una “setta sionista”.
Dalle ricerche di Amnesty International e di Human Rights Watch è emerso che fedeli baha’i sono stati sottoposti ad arresti e imprigionamenti arbitrari, irruzioni nelle loro abitazioni, confische delle loro proprietà e chiusura dei loro esercizi commerciali.
Il 28 giugno Mehran Dastoornejab, 66 anni, è stato arrestato nella sua abitazione di Marvdasht, nella provincia di Fars. L’hanno picchiato e hanno sequestrato i suoi averi. Le autorità hanno negato ogni informazione al suo avvocato fino a quando, il 6 agosto, l’uomo è uscito su cauzione dalla prigione di Shiraz. Rispettivamente il 25 giugno e il 7 luglio i coniugi Noyan Hejazi e Leva Samil sono stati arrestati nella provincia di Mazandaram e scarcerati su cauzione il 3 agosto. Nel frattempo, non avevano mai potuto vedere un avvocato.
Secondo Human Rights in Iran, un’organizzazione della diaspora iraniana, alla fine di giugno almeno 35 esponenti delle comunità ebraiche di Shiraz e di Teheran sono stati interrogati circa i loro legami con parenti in Israele e avvisati di evitare ulteriori contatti.
Nonostante le iniziali smentite attraverso i mezzi d’informazione statali, alla fine di luglio e all’inizio di agosto Homayoun Sameyeh Najafabadi, parlamentare della comunità ebraica, ha confermato sul suo canale Telegram che membri della comunità erano stati arrestati in tre province per accuse non rese note; diversi di loro erano stati processati da un tribunale rivoluzionario di Teheran per accuse di spionaggio, poi decadute.
In un comunicato del 28 luglio il ministero dell’Intelligence ha accusato settori della comunità cristiana di essere “mercenari del Mossad”, i servizi segreti esteri israeliani. Il 17 agosto sono state trasmesse alla radio “confessioni” di cristiani precedentemente arrestati, presumibilmente ottenute con la tortura. Il 24 luglio un gruppo per i diritti umani della diaspora iraniana ha denunciato l’arresto, nel mese precedente, di almeno 54 cristiani.
L’uso illegale della forza ai posti di blocco
I posti di blocco istituiti a partire da giugno sono diventati un altro strumento di repressione. Sono state condotte massicce ispezioni di veicoli e verifiche sui telefoni cellulari. Persone sono state arrestate per “collaborazione” con Israele, spesso solo perché sui loro smartphone erano stati trovati dei post. I posti di blocco sono stati usati anche per arrestare “cittadini stranieri non autorizzati”, un termine discriminatorio col quale le autorità chiamano le persone originarie dell’Afghanistan.
Il 1° luglio a Tarik Darreh, nella provincia di Hamedan, le forze di sicurezza hanno ucciso due persone e ferita una terza che, secondo i mezzi d’informazione, avevano forzato un posto di blocco. Il giorno dopo Hemat Mohammadi, capo della sezione giudiziaria delle forze armate di quella provincia, ha parlato di un’indagine in corso aggiungendo tuttavia che le forze di sicurezza avevano aperto il fuoco contro un veicolo che non si era fermato a un posto di blocco. Sui social media le due persone uccise sono state identificate come Alireza Karbasi e Mehdi Abaei.
Il 17 luglio, secondo fonti giornalistiche e dichiarazioni ufficiali, a Khomein (nella provincia di Markazi) le forze di sicurezza hanno ucciso quattro familiari che viaggiavano su due automobili: Mohammad Hossein Sheikhi, Mahboubeh Sheikhi, Farzaneh Heydari e Raha Sheikhi, quest’ultima una bambina di tre anni. Il governatore della provincia di Khomein, Vahid Baratizadeh, ha reso noto che era stato aperto il fuoco contro due veicoli “sospetti”. Il 12 agosto un portavoce del governo ha annunciato, senza fornire ulteriori dettagli, l’arresto di alcuni agenti coinvolti nella sparatoria.
In alcun modo, dall’esame delle dichiarazioni ufficiali, è emerso che le persone uccise avessero posto in essere un’immediata minaccia di morte o di grave ferimento, unica circostanza in cui, ai sensi del diritto internazionale, l’uso strettamente necessario della forza potenzialmente legale è legittimo.