Il 3 agosto è un’altra macchia nera nella storia dell’umanità. In quel giorno del 2014, si consumò ancora una volta una brutale operazione di pulizia etnica contro un popolo dimenticato: gli yazidi di Şingal.
Questo popolo non è solo una minoranza religiosa, ma il simbolo vivente dell’identità storica del Kurdistan e il custode di una tradizione culturale millenaria che ha resistito nei secoli a ogni tentativo di cancellazione. Il 3 agosto non è solo una data di lutto, ma il ricordo doloroso di un genocidio
pianificato e sistematico.
Sciovinismo e fondamentalismo islamico, uniti da un’ideologia profondamente ostile ai Kurdi e alla loro esistenza, colpirono duramente. Sotto la bandiera dell’ISIS, lanciarono un attacco violento al Kurdistan passando per Şingal, una delle porte simboliche della resistenza curda.
Il popolo yazida fu preso di mira con un piano preciso: annientarlo. L’obiettivo dell’ISIS e dei poteri che lo hanno sostenuto – tra cui la Turchia, l’Iran e il regime siriano – era chiaro: cancellare tutte le conquiste del popolo Kurdo, sia nel Kurdistan del Sud (Başûr) che nel Rojava. Riaffermare il proprio
dominio politico e ideologico e, nel farlo, sradicare le radici spirituali e culturali degli yazidi.
Eppure, l’ISIS non rappresentava solo una minaccia per il Medio Oriente. Mentre compiva massacri nel Kurdistan, colpiva anche l’Europa con attacchi sanguinosi. Il terrorismo non conosce confini, ma l’indifferenza sì.
Durante l’assalto a Şingal, le forze dell’ISIS occuparono città e villaggi, massacrando uomini e deportando donne e bambini. Migliaia di donne yazide furono ridotte in schiavitù, vendute nei mercati come oggetti, sottoposte a torture, stupri e umiliazioni inimmaginabili. Chi riuscì a fuggire, spesso a piedi e senza nulla, cercò rifugio tra le montagne o in altre regioni del Kurdistan.
Le montagne di Şingal, come sempre, si ergono fiere: divennero scudo e rifugio per gli yazidi in fuga.
Ma questa tragedia non ha colpito solo una comunità. Ha colpito l’intera umanità.
Il popolo curdo non rimase a guardare. Da ogni angolo del Kurdistan arrivarono aiuti, rifugi, braccia aperte. In particolare, le forze di difesa del Rojava mostrarono un coraggio straordinario, intervenendo rapidamente e fermando l’avanzata dell’ISIS con determinazione e sacrificio.
Oggi Şingal è stata liberata. Molti yazidi sono tornati, lentamente, sulle terre dei propri avi. Ma le ferite di quel genocidio sono tutt’altro che guarite. Migliaia di persone risultano ancora disperse. Centinaia di donne yazide sono tuttora prigioniere o non identificate. Le loro famiglie aspettano, nell’angoscia, notizie che non arrivano.
In questo contesto di dolore e speranza, la figura della donna yazida si è trasformata nel simbolo di una lotta silenziosa ma potente: quella contro l’oscurantismo, la schiavitù e il fanatismo religioso.
Şingal oggi ha ancora bisogno. Ha bisogno di protezione, giustizia, ricostruzione. Ha bisogno di verità e memoria. E, soprattutto, ha bisogno del sostegno della comunità internazionale: non a parole, ma con impegni concreti. Serve giustizia per i sopravvissuti, sicurezza per chi vive ancora nella paura, e la
piena libertà per chi vuole ricominciare.
Eppure, in questa undicesima commemorazione del genocidio yazida, a parlare è il silenzio. I difensori dei diritti umani, la politica, i media occidentali… tacciono. Addormentati nell’indifferenza e nell’oblio.
Pensano che l’ISIS sia stato sconfitto. Ma l’ISIS c’è ancora, sotto forma di cellule dormienti, e continua a colpire i Kurdi e il Kurdistan.
L’Occidente non soffre solo di memoria corta: si comporta come un cavallo con i paraocchi. Guarda e commenta solo ciò che vuole vedere, e tutto il resto – compresa Şingal – viene lasciato ai margini della coscienza collettiva.
La storia, però, non dimentica. La storia ha scritto il genocidio. E ha scritto, con la stessa forza, anche la resistenza delle donne di Şingal.
Gulala Salih
Presidente UDIK Unione donne Italiane e Kurde