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Tartarughe e plastica: come il sistema fossile minaccia l’ambiente marino

Gli indicatori del mare e gli indicatori … del male: il sistema fossile in tanti modi minaccia l’ambiente marino

Nei giorni scorsi, proprio durante la fase ferragostana, in cui l’attenzione ai tanti problemi si affievolisce e sonnecchia, ha avuto una certa rilevanza la questione del recupero di una tartaruga in mezzo alle schiume del nostro mare al largo di Punta Marina, proprio di fronte al rigassificatore. Si è sviluppata una polemica, nella quale CEstha, organizzazione senz’altro meritoria nel salvataggio di tartarughe e altri esseri viventi in difficoltà, si è (un po’ troppo, a nostro avviso) “scaldata” nel voler sostenere che con tutta probabilità il rigassificatore non c’entra nulla con l’evento in questione né con altri eventuali episodi simili.

Ci siamo presi la briga di informarci un po’, e abbiamo appreso che Fondazione Cetacea, altra organizzazione benemerita, che per altro collabora abitualmente con l’ Università di Bologna e quella di Camerino, sta studiano approfonditamente la questione, e segnala che  da metà giugno ad oggi oltre 50 le tartarughe marine di piccole e piccolissime dimensioni si sono spiaggiate lungo la costa dell’Adriatico, con una maggiore concentrazione lungo le coste di Veneto, Emilia-Romagna e Istria. Le tartarughe, che misurano dai 10 ai 40  cm di carapace, sono arrivate ai Centri di Recupero in condizioni per lo più drammatiche, fortemente debilitate, anemiche e ricoperte di balani (le concrezioni crostacee che aderiscono ai carapaci delle tartarughe).

La “sindrome della tartaruga debilitata” descrive gli effetti della patologia ma non identifica le  cause. Tuttavia, l’alto numero di quest’anno, secondo Fondazione Cetacea, richiama l’episodio del 2009,  in cui ben 173 tartarughe in meno di due mesi furono oggetto di interventi da parte degli istituti per il recupero delle tartarughe marine.  Ci fa piacere che  i veterinari e le biologhe del Centro di Recupero Cura e Riabilitazione di Riccione si stiano confrontando con i colleghi degli altri Centri  e con le Università per le necroscopie degli esemplari deceduti, per comprendere il fenomeno e, per quanto possibile, individuare le cause e indicare le possibili soluzioni. 

A noi, che non siamo specialisti del settore (e quindi attendiamo i risultati degli studi e delle ricerche scientifiche), ma abbiamo una chiara visione di quanto sia sbagliato il modello di sviluppo nel quale ci troviamo immersi e di quanto il sistema energetico basato sul dominio delle fonti fossili sia una delle cause principali della catastrofe climatico-ambientale, vengono spontanee alcune riflessioni: la prima è che la moria e le patologie delle tartarughe di questo periodo somigliano molto a quelle che si verificarono ai tempi dell’installazione del rigassificatore di Porto Viro (Rovigo), del quale – parimenti – si dichiarava che non avrebbe avuto significativi impatti sull’ambiente marino; salvo poi riconoscere senza batter ciglio un lauto indennizzo ai pescatori che protestavano,  pur di tacitarli.

L’altra riflessione riguarda il fatto che proprio pochi giorni fa, contemporaneamente alla nostra “questione tartarughe”, a Ginevra, 184 Paesi non sono riusciti a raggiungere un accordo per limitare l’uso delle plastiche, replicando quanto già successo circa un anno fa in Corea del Sud. Ad opporsi, manco a dirlo, sono stati quegli Stati che rappresentano massimamente il mondo dell’estrattivismo: Stati Uniti, Arabia Saudita, Iran, Russia e Paesi del Golfo.

Come a dire che questo manipolo di criminali climatici (e non solo climatici) intende dire ben chiaro al mondo che sono loro a comandare, e che nessuno si provi a metter in discussione l’estrattivismo come principio regolatore della vita sul Pianeta. Un regalo all’industria petrochimica, un tradimento dell’umanità e delle generazioni future.

Di fronte a questa vera e propria resa, dovrebbe scatenarsi a tutti i livelli (da quelli governativi a quelli istituzionali locali, ai comportamenti delle singole comunità) una reazione che costringa con i fatti ad iniziare davvero la svolta rinnovabile. E in questo senso, pensiamo che realtà associative importanti, come CEstha, che nei propri materiali divulgativi dichiarano apertamente la propria “collaborazione con ENI”, potrebbero e dovrebbero avere uno sguardo maggiormente critico sulla realtà e schierarsi chiaramente con chi del  modello fossile vuole fare – più rapidamente possibile – un ricordo del passato.

 

                                            Coordinamento ravennate Per il Clima – Fuori dal Fossile

 

Ravenna, 19 agosto 2025

Redazione Romagna

Fonte
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