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L’università di Siena dice sì a Israele e alla Leonardo SpA

Solo la metà degli atenei italiani ha rinunciato alle collaborazioni con la Leonardo SpA, una delle più grandi aziende al mondo per la produzione di armi e “sistemi di difesa”, o con il sistema accademico israeliano, che come ha sottolineato Maya Wind nel suo ultimo libro “Torri d’avorio e acciaio”, è di fatto un tutt’uno con quello militare-industriale. Tra le università contrarie a interrompere questa collaborazione si distingue quella di Siena, che recentemente ha rigettato una mozione che chiedeva un rifiuto esplicito e ufficiale verso qualsiasi tipo di connivenza, oggi ancora più ipocrita di prima, con il principio del cosiddetto “dual use”, della ricerca accademica e delle partnership.

Va ricordato ancora una volta come lo stesso sistema accademico italiano, poco tempo prima, non si mise nemmeno semplicemente a dibattere su questo tema controverso quando si trattò invece di boicottare la Russia, sanzionata su tutta la linea nel giro di pochi giorni.

Pubblichiamo qui la risposta a questo diniego del collettivo studentesco di Siena “Cravos” (garofano), dal nome in portoghese del fiore che dette il nome alla pacifica rivoluzione che nel 1974 traghettò il Portogallo verso la democrazia, quella a cui oggi noi oggi, in Italia, 50 anni dopo, abbiamo rinunciato:

Nella giornata del 13 ottobre, l’Università di Siena ha respinto la mozione proposta da Cravos e dal Comitato Palestina Siena per interrompere i rapporti con le università israeliane, con Leonardo S.p.A. e con l’esercito statunitense. La mozione proponeva inoltre di aderire all’appello dei rettori di Gaza, di avviare collaborazioni con le università palestinesi e di istituire un regolamento che garantisse l’estraneità dell’Ateneo a collaborazioni con enti coinvolti in violazioni dei diritti umani o orientati alla produzione di armi. Si tratta di una mozione costruita dal basso, sottoscritta in meno di due settimane, solo per quanto riguarda la comunità accademica dell’Università di Siena, da oltre 1.000 studentesse e studenti, 123 lavoratori e lavoratrici, 168 dottorandi e specializzandi e 170 docenti.

Durante il Senato abbiamo presentato relazioni delle Nazioni Unite e rapporti indipendenti che documentano il coinvolgimento delle università israeliane, di Leonardo spa e dell’esercito americano nell’occupazione illegale dei Territori Palestinesi e nelle violazioni sistematiche dei diritti umani. Tra le argomentazioni più ricorrenti di chi ha votato contro la mozione vi è stata la presunta “necessità di un maggior nesso di causalità” tra questi enti e i crimini in corso. Ma quel nesso è evidente, e non lo diciamo noi: è documentato da numerosi rapporti di organizzazioni internazionali e da studi indipendenti. Tra questi, relazioni delle Nazioni Unite, di Amnesty International e di Human Rights Watch che denunciano il ruolo delle università israeliane nel sostegno all’apparato militare e di sicurezza israeliano, nonché il coinvolgimento di Leonardo S.p.A e dell’esercito statunitense nella fornitura di armi e tecnologie impiegate nei Territori Palestinesi occupati.

È in questa rete di sostegno economico, accademico e militare che si radica la violenza dell’occupazione e la distruzione della Palestina. Un altro argomento richiamato dai senatori contrari è stato quello della presunta inopportunità di stabilire ex ante con quali soggetti l’Ateneo possa o meno collaborare, indipendentemente dallo scopo dei singoli accordi. Riteniamo invece che sia non solo possibile, ma anche necessario in determinati casi. Il problema non è solo contribuire con le conoscenze, il tempo e il lavoro dei ricercatori allo sviluppo di tecnologie militari, ma anche normalizzare rapporti con enti coinvolti nella violazione dei diritti umani. Per questo abbiamo presentato elementi concreti per richiedere la rescissione immediata degli accordi con i tre enti citati e al tempo stesso chiesto l’istituzione di un regolamento che garantisca l’estraneità dell’Ateneo a tutte le collaborazioni che possano avere ricadute in ambito militare o comportare violazioni dei diritti umani.

Per interrompere questi accordi non serviva una commissione o un nuovo regolamento: sarebbe bastato riconoscere la realtà, ossia il coinvolgimento di tali enti nella violazione dei diritti umani. Sarebbe bastata la volontà di essere coerenti con i principi già sanciti dallo Statuto di Ateneo: promuovere la libertà, la giustizia, la pace e il rispetto della dignità umana. Nei giorni precedenti e durante la seduta abbiamo chiesto al rettore di scendere nel cortile del rettorato per comunicare alla manifestazione indetta a sostegno della mozione la decisione dell’Ateneo. Al rifiuto del rettore di scendere, studentesse e studenti sono entrati pacificamente nell’aula del Senato per chiedere i motivi della bocciatura. Dopo 15 minuti di confronto, il rettore ha sospeso la seduta del Senato Accademico. La riunione è ripresa il 14 ottobre, in modalità telematica, per discutere un testo che non era stato preventivamente comunicato a tutti i senatori nei giorni precedenti. Abbiamo votato contro tale risoluzione, approvata dalla maggioranza, poiché lo riteniamo uno strumento volto a mantenere in vita proprio quei rapporti che la nostra mozione intendeva interrompere. Nella risoluzione si afferma l’impegno a “esercitare una vigilanza rigorosa su eventuali compromissioni dei soggetti con cui si interagisce, fino al punto di sospendere o rescindere accordi istituzionali” in caso di violazioni del diritto internazionale o dei diritti umani. Ricordiamo, a questo proposito, che già a maggio 2024 era stata istituita una commissione per verificare gli accordi, ma in un anno e mezzo il suo lavoro si è limitato a un parziale censimento dei casi potenzialmente problematici.

Oggi, inoltre, non viene nemmeno ipotizzata la ripresa o la prosecuzione di quel percorso, lasciando la questione a un proposito puramente astratto. Il documento approvato da Unisi riprende quanto avvenuto in molti altri atenei italiani: la spinta della comunità accademica verso la rescissione degli accordi con Israele e con l’industria bellica è stata neutralizzata dai vertici universitari, che hanno preferito ricorrere a formule vaghe e compromissorie. Ne risultano testi di facciata, che esprimono buone intenzioni, ma non incidono sulle collaborazioni con enti direttamente coinvolti nella guerra e nell’occupazione.

Infine, rileviamo una profonda contraddizione nel documento approvato dal Senato, che da un lato riconosce la legittimità delle proteste, mentre dall’altro, attraverso dichiarazioni ai giornali e negli organi collegiali, i vertici dell’Ateneo, e il Ministro dell’Università e della Ricerca, hanno contribuito a creare un clima di forte pressione nei confronti delle studentesse e degli studenti impegnati nella mobilitazione. In alcuni casi, sono state minacciate denunce e procedimenti disciplinari nei confronti di chi ha semplicemente espresso in modo pacifico una posizione condivisa da una parte ampia della società civile, che nelle piazze di queste settimane chiede la fine degli accordi con gli enti coinvolti nella pulizia etnica in Palestina e si oppone all’aumento delle spese militari. Continueremo a coltivare nel territorio senese quel tessuto sociale che da due anni anima il movimento al fianco del popolo palestinese e a proporci come alternativa, dentro e fuori l’Università, che rimetta al centro dell’agenda politica il diritto allo studio, all’abitare, il lavoro, contro le politiche di riarmo e ogni tentativo di reprimere la protesta.

Stefano Bertoldi

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